Interrogazione parlamentare del senatore Senese del 29 luglio 2000

Al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro dell’interno e per il coordinamento della protezione civile.

Premesso che:

  • il “ritorno”, con l’avvento del fascismo, del crocifisso nelle aule delle scuole elementari (circolare Ministero della pubblica istruzione 22 novembre 1922) e poi di ogni ordine e grado (circolare Ministero della pubblica istruzione 26 maggio 1926), nonché negli uffici pubblici in genere (ordinanza ministeriale 11 novembre 1923 n. 250) e nelle aule giudiziarie (circolare Ministero della giustizia 29 maggio 1926, n. 2134/1867) è comunemente indicato nella dottrina storica e giuridica come uno dei sintomi più evidenti del neo-confessionalismo statale;
  • del tutto opposta è la laicità dello Stato individuata come «profilo della forma di Stato delineata nella carta costituzionale della Repubblica» da Corte costituzionale n. del 1989, che ravvisa in detto principio la garanzia di un «regime di pluralismo confessionale e culturale» che presuppone innanzitutto l’esistenza di una pluralità di sistemi di senso e di valore, di scelte personali riferibili allo spirito o al pensiero, dotati di pari dignità ed implicanti una pari tutela della libertà di religione e di quella di convinzione, comunque orientata; infatti, anche «la libertà di manifestazione dei propri convincimenti morali o filosofici» è garantita, in connessione con la tutela della «sfera intima della coscienza individuale» (così Corte costituzionale n. del 1991), conformemente all’interpretazione dell’articolo 19 della Costituzione, che tutela la libertà di religione, non solo positiva ma anche negativa, id est anche la professione di ateismo o di agnosticismo (si vedano Corte costituzionale nn. 117 del 1979 e 33 del 1996), e all’articolo 9 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo resa esecutiva con legge n. 848 del 1955; il suddetto principio si pone come condizione limite del pluralismo, nel senso garantire che il luogo pubblico sia neutrale tra i vari sistemi di credo e tale permanga nel tempo, impedendo che il sistema contingentemente affermatosi come maggioritario getti le basi per escludere definitivamente gli altri sistemi.

Ciò in quanto il ricordato principio di laicità non coincide con quello classico dell’irrilevanza, e quindi indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni, ma all’opposto implica una garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione in regime di pluralismo confessionale e culturale, atteggiandosi come laicità positiva o attiva che implica come compito dello Stato quello di svolgere interventi per rimuovere ostacoli e impedimenti in modo da uniformarsi (Corte costituzionale n. 195 del 1993) a «quella distinzione tra ordini distinti che caratterizza, nell’essenziale, fondamentale o supremo principio costituzionale di laicità o non confessionalità dello Stato» (Corte costituzionale n. 334 del 1996), in tale prospettiva si colloca l’eliminazione, operata dalla citata sentenza n. 334 del 1996 della Corte costituzionale (così come dal precedente n. 149 del 1995), di ogni riferimento alla divinità dalla formula del giuramento sul presupposto che «la religione e gli obblighi morali che ne derivano non possono essere imposti come mezzo al fine dello Stato».

 

Quell’eliminazione, invero, neutralizza l’efficacia civile, cioè il valore pubblico e strumentale ai fini dello Stato, del fattore religioso: non esclude dalla sfera pubblica gli atti di valenza religiosa e non modifica, quindi, né riduce, il tasso di pluralismo, ma all’opposto va «nel senso di un ordinamento pluralista che, riconoscendo la diversità delle posizioni di coscienza, non fissa il quadro dei valori di riferimento e quindi attribuisce né esclude connotazioni religiose al giuramento ch’esso chiama a prestare»; alla luce dei sopra ricordati insegnamenti deve essere interpretata anche la disposizione dell’articolo 9 degli accordi di modificazione dei patti lateranensi, ratificati con legge 25 marzo 1985, n. 121.

 

L’affermazione secondo cui «i principî del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano», che il crocifisso è «il simbolo di questa nostra civiltà» e «il segno della nostra cultura umanistica e della nostra coscienza etica», utilizzate dal Ministero dell’interno nella nota 5 ottobre 1984, n. 5160/M/1 (in risposta a nota del Ministero della Giustizia del 29 maggio 1984, protocollo 612/1/4 del 29 maggio 1984) per giustificare il mantenimento del crocifisso nelle aule giudiziarie se assunte come espressione di un principio generale, non sembrano compatibili con i principi affermati dalla Corte Costituzionale.

 

Soprattutto, esse non valgono ad offrire un fondamento normativo all’ostentazione del crocifisso negli uffici pubblici, fondamento la cui mancanza peraltro è espressamente riconosciuta dallo stesso Ministero dell’interno, che però ritiene di sopperirvi con le motivazioni sopra riportate; il riconoscimento contenuto nell’articolo 9 della citata legge n. 121 del 1985 non è un principio fondamentale degli accordi di modificazione dei patti lateranensi, ma è solo funzionale all’assicurazione dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, peraltro non obbligatorio ma limitato agli alunni che dichiarino di volersene avvalere (senza che agli altri possa farsi carico di un onere alternativo, così Corte Costituzionale n. 13 del 1991).

 

Quel riconoscimento non può dunque autorizzare l’amministrazione pubblica ad emanare norme interne che impongano l’affissione del crocifisso in uffici pubblici aperti a cittadini di tutte le convinzioni religiose ed a loro servizio; neppure è sostenibile la giustificazione collegata al valore simbolico di un’intera civiltà o della coscienza etica collettiva, «universale, indipendente da una specifica confessione religiosa» secondo un parere del Consiglio di Stato 27 aprile 1988, n. 63. A parte che in altro ordinamento dell’Unione europea si è ritenuto una sorta di «profanazione della croce» non considerare questo simbolo collegamento con uno specifico credo (così Corte costituzionale tedesca 16 maggio 1995), decisiva è la considerazione che la giustificazione indicata urta contro il chiaro divieto dell’articolo 3 della Costituzione che non consente discipline differenziate in base alla religione e giustificate dal richiamo alla cosiddetta coscienza sociale (così Corte Costituzionale n. 329 del 1997 che ribalta la risalente pronuncia della stessa Corte del 28 novembre 1957, n. 125 alla quale si richiama il citato parere del Consiglio di Stato); anche le norme regolamentari contenute nell’articolo 18 del regio decreto 30 aprile 1924, n. 965, e nell’Allegato c) regio decreto 26 aprile 1928, n.127 - parimenti richiamate dal parere del Consiglio di Stato - devono ritenersi non più in vigore perché trovavano il proprio fondamento nel principio della religione cattolica come sola religione di Stato, contenuto nell’articolo 1 dello Statuto Albertino e considerato espressamente non più in vigore dal punto 1 del protocollo addizionale degli accordi di revisione del 1984, sì che caduto quel principio cade anche la normativa seconda che ne costituiva attuazione; conclusivamente, l’esposizione del crocifisso negli uffici pubblici, dalle scuole ai seggi elettorali si rivela arbitraria, priva di fondamento normativo e in contrasto con il supremo principio della laicità dello Stato, così come da ultimo riconosciuto recentemente dalla Corte Suprema di Cassazione (Sez. IV, Montagnana ric. 1-3/6 aprile 2000) che ha annullato senza rinvio la condanna di un cittadino che, designato all’ufficio di scrutatore in occasione delle elezioni politiche del 1994, rifiuta di assumere l’ufficio in quanto la presenza del crocifisso nei seggi elettorali, violando il principio di laicità dello Stato, non rispettava la libertà di coscienza; appare evidente l’esigenza di rimuovere situazioni che sono o possono essere avvertite come fonte di divaricazione tra la coscienza dei singoli cittadini e le istituzioni; la presidenza della Repubblica, alla quale il cittadino che rifiutò l’ufficio di scrutatore si è rivolto, ha trasmesso al Ministero dell’interno la lettera con la quale il predetto, in occasione delle ultime elezioni regionali, restituiva i certificati elettorali in segno di protesta per il permanere dell’illegittima situazione, si chiede di conoscere:

 

  1. quali siano le valutazioni degli interrogati sulla questione di cui alla premessa;
  2. quali provvedimenti gli stessi interrogati intendano assumere per far cessare una situazione di fatto determinata dalle dipendenti amministrazioni (l’esposizione del crocifisso negli uffici pubblici) e giudicata, oltre che dalla dottrina, anche dalla Corte Suprema di Cassazione come lesiva del principio di laicità dello Stato.