Interrogazione parlamentare di alcuni senatori verdi del 19 luglio 2000

Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della pubblica istruzione, al Ministro dell’interno, al Ministro della giustizia.

 

Per sapere

 

premesso che:

 

  • la Corte di cassazione, IV sezione penale, con sentenza n. 439 dell’8 aprile 2000, ha stabilito che «costituisce giustificato motivo di rifiuto dell’ufficio di presidente, scrutatore o segretario […] la manifestazione della libertà di coscienza, il cui esercizio determini un conflitto tra la personale adesione al principio supremo di laicità dello Stato e l’adempimento dell’incarico […] in relazione alla presenza nella dotazione obbligatoria di arredi dei locali destinati a seggi elettorali […] del crocifisso o di altre immagini religiose»; in motivazione la Suprema Corte rileva l’esistenza di alcune circolari ministeriali che hanno reintrodotto, dopo l’avvento del fascismo, il crocifisso negli uffici pubblici: per il ministero della pubblica istruzione la circolare del 22 novembre 1922 e del 26 maggio 1926, per il ministero di grazia e giustizia la circolare del 29 maggio 1926, n. 1867 nonché, per gli uffici pubblici in genere, l’ordinanza ministeriale dell’11 novembre 1923, n. 250;
  • risulta allo scrivente che altri provvedimenti amministrativi hanno il medesimo contenuto: per il ministero della pubblica istruzione le circolari del 14 marzo 1923 n. 25 e del 19 ottobre 1967, n. 367 e per il ministero dell’interno la circolare del 16 dicembre 1922, n. 15900.12;

le citate circolari ministeriali, secondo la Corte di cassazione, trovavano fondamento nel principio della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano, come allora statuito dall’articolo 1 dello statuto albertino del 1848 e in seguito dall’articolo 1 del Trattato del 1929 (c.d. Patti Lateranensi). Il protocollo addizionale alla legge 25 marzo 1985, n. 121 (che ha ratificato il nuovo Accordo tra la Repubblica italiana e la Santa Sede) prevede espressamente che tale principio non è più in vigore, cosicché le circolari in discorso - rileva la Corte - risultano attualmente sprovviste di fondamento normativo (come peraltro riconosciuto espressamente nella nota del ministero dell’Interno 5 ottobre 1984, n. 5160/M//1).

 

Né a diversa conclusione può giungersi invocando l’articolo 9 della citata legge n. 121 del 1985 a norma del quale «i principî del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano». Infatti, osservano i giudici di legittimità, tale articolo «è privo di valenza generale perché non è un principio fondamentale dei nuovi accordi di revisione» e pertanto «non vale ad autorizzare l’amministrazione pubblica ad emanare norme interne dal contenuto più disparato ed in particolare sull’affissione del crocifisso, per giunta non a richiesta delle persone che le frequentano (come nel caso dell’istruzione religiosa) ma obbligatoriamente».

 

In base al mutato quadro normativo e alla più recente evoluzione giurisprudenziale la Corte ritiene inoltre infondato il parere 27 aprile 1988, n. 63 del Consiglio di Stato, secondo il quale non dovrebbero ritenersi abrogati, a seguito della approvazione del Nuovo Concordato, l’articolo 118 R.D. 30 aprile 1924, n. 965 e l’All. c R.D. 26 aprile 1928, norme secondarie che dispongono la esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche; la Corte costituzionale, sin dalla sentenza n. 203 del 1989, ha più volte affermato l’esistenza del «principio supremo della laicità dello Stato» che integra uno dei profili della forma di Stato configurata dalla Costituzione repubblicana del 1948.

 

Il principio di laicità pone in capo allo Stato l’obbligo di garantire e salvaguardare un «regime di pluralismo confessionale e culturale» (sent. n. 203/89), muovendo dal riconoscimento (ex artt. 2, 3 e 19 Cost.) del diritto alla libertà di coscienza in relazione all’esperienza religiosa che «spetta ugualmente tanto ai credenti quanto ai non credenti, siano essi atei o agnostici» (sent. n. 334/96). Lo Stato laico, in definitiva, deve prescindere dal principio di maggioranza ma anzi «operare nel senso di un ordinamento pluralista che, riconoscendo la diversità delle posizioni di coscienza, non fissa il quadro dei valori di riferimento» (sent. n. 334/96).

 

A tale proposito la citata sentenza n. 439/2000 della Corte di cassazione afferma che il principio di laicità «si pone come condizione e limite del pluralismo, nel senso di garantire che il luogo pubblico deputato al conflitto tra i sistemi indicati sia neutrale e tale permanga nel tempo: impedendo, cioè, che il sistema contingentemente affermatosi getti le basi per escludere definitivamente gli altri sistemi»; se non ritengano doveroso disporre l’annullamento delle circolari citate in premessa, a tutela dei valori di libertà di coscienza e pluralismo in tema di religione, nonché del principio di laicità dello Stato, posti in luce dalle citate pronunce giurisprudenziali.

 

Primo firmatario: Luigi Saraceni
Cofirmatari: Mauro Paissan, Giorgio Gardiol, Lino De Benetti.