Comunicato stampa del professor Montagnana dell’1 marzo 2000

«Abbandonò il seggio: la Cassazione annulla la condanna»

CROCIFISSO NEI SEGGI ELETTORALI?

LECITO IL NO DELLO SCRUTATORE

Disporrà il ministro Bianco che nei seggi elettorali non siano presenti simboli religiosi? Dopo la sentenza pronunciata oggi dalla IV^ sezione penale della Corte di Cassazione, il responsabile del Viminale dovrà certamente porsi questa domanda. Infatti è stata annullata la sentenza con la quale la Corte d’Appello di Torino - in sede di revisione - aveva condannato il professor MarcelIo Montagnana di Cuneo: si era rifiutato di fare lo scrutatore nelle elezioni politiche del 1994, sostenendo che nei seggi non è rispettata la laicità dello Stato, perché essi sono generalmente contrassegnati con il simbolo della religione cattolica. La sentenza, perché il fatto non costituisce reato, è definitiva.

Appena nominato scrutatore, Montagnana informò le autorità che, se non avessero dato chiare disposizioni sul rispetto della forma laica dello Stato nei seggi, non avrebbe fatto lo scrutatore, per non avallare un’offesa alla Costituzione. Né il ministro dell’Interno, né il Sindaco di Cuneo si interessarono della cosa; per cui, al momento dell’insediamento del seggio, Montagnana consegnò una dichiarazione scritta per spiegare perché non accettava l’incarico.

 

Rinviato a giudizio, perché il rifiuto veniva considerato «senza giustificato motivo» (art. 108, DPR 361/57), nell’aprile 1996 il Pretore di Cuneo pur riconoscendo che egli aveva «agito per motivi di particolare valore morale e sociale in favore dei principi costituzionali di laicità dello Stato e di non-discriminazione religiosa», e che aveva «orientato la propria azione alla tutela di un bene giuridicamente protetto», lo condannava alla multa di 400.000 lire.

 

Il ricorso in appello veniva esaminato nel febbraio 1998 dalla I^ sezione penale della Corte di Torino, che assolveva Montagnana «perché il fatto non sussiste, avendo l’imputato agito per giustificato motivo».

 

Ma la Procura avanzava ricorso per Cassazione. E nell’ottobre 1998 la III^ sezione penale della Suprema Corte annullava l’assoluzione per difetto di motivazione e rinviava il caso alla medesima Corte d’Appello di Torino, enunciando nel contempo il principio di diritto in base al quale valutare se il rifiuto è o non è «giustificato». In sintesi: c’è «giusto motivo» quando il diritto invocato determina un inevitabile conflitto con il contenuto dell’incarico; in questo caso, con la veste di pubblico ufficiale.

 

Nell’aprile 1999 la II^ sezione penale della Corte d’Appello torinese - nella cui aula incombe un vistoso crocifisso - invece di motivare la precedente assoluzione secondo il criterio indicato dalla Suprema Corte, confermava la condanna inflitta dal Pretore, e aggiungeva tutte le spese processuali.

 

Perciò stavolta ricorreva per Cassazione l’imputato, sottolineando che non era stato affatto rispettato il principio di diritto fissato dalla Suprema Corte, come è stato ora riconosciuto.

 

A sei anni dal fatto Montagnana ha così commentato: «Tutto il lavoro che la magistratura ha dovuto sobbarcarsi per questi cinque processi poteva essere evitato se, insieme alle consuete disposizioni riguardanti ogni consultazione elettorale, il ministro dell’Interno avesse semplicemente aggiunto tre parole per avvertire che nei seggi non devono essere presenti simboli di alcun genere, “compresi quelli religiosi”. Non capisco perché i ministri giurano di osservare fedelmente la Costituzione se poi mostrano di non conoscere il supremo principio costituzionale che delinea la forma laica dello Stato, cioè la neutralità delle istituzioni rispetto alle religioni e alle ideologie. Chissà se il ministro Bianco si ricorderà di far rispettare questo principio costituzionale a cominciare dalle imminenti elezioni regionali?».

Marcello Montagnana, 1° marzo 2000
Borgo san Dalmazzo (CN)
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