Crocifissi negli edifici pubblici

A cura di Marco Accorti e Mez

  1. NON SI PUÒ RICORRERE ALLA COSIDDETTASOLUZIONE BAVARESE”?
  2. I CATTOLICI SONO IN MAGGIORANZA E QUINDI POSSONO DECIDERE DI METTERE I CROCIFISSI NELLE AULE
  3. COMINCIATE COL TOGLIERCI I CROCEFISSI DALLE SCUOLE E POI TOGLIERETE DANTE
  4. PER VOI SONO UN PEZZO DI LEGNO SENZA SIGNIFICATO. CHE MALE VI FANNO? SIETE INTOLLERANTI
  5. I CROCIFISSI SONO SIMBOLO UNIVERSALE DI PACE, DI AMORE
  6. I CROCIFISSI SONO IL SIMBOLO DEI VALORI CHE STANNO ALLA BASE DELLA NOSTRA IDENTITÀ ITALIANA E DELLA NOSTRA CULTURA
  7. DIRITTO DI RECIPROCITÀ. IN ARABIA SAUDITA È VIETATO COSTRUIRE CHIESE, ESPORRE SIMBOLI DI ALTRE RELIGIONI; SONO PERMESSI SOLO I LORO SIMBOLI E NOI FACCIAMO ALTRETTANTO
  8. C’È UNA LEGGE CHE IMPONE IL CROCIFISSO NELLE AULE. IL GIUDICE NON HA RISPETTATO LA LEGGE DEL 1924; CASO MAI DOVEVA MANDARLA ALLA CORTE COSTITUZIONALE

IL PUNTO GIURIDICO SUL CROCIFISSO:

1. Non si può ricorrere alla cosiddetta “soluzione bavarese”?

Per il quotidiano della Cei Avvenire, che sembra apprezzare questa soluzione, in Baviera «il crocifisso è di norma esposto nelle aule; se però alcuni studenti obiettano che esso lede la loro libertà di coscienza, le autorità scolastiche aprono un procedimento di conciliazione, che può condurre alla rimozione».

Si comincia a parlare di “soluzione bavarese” per la questione dei crocifissi nelle aule delle scuole pubbliche, che l’UAAR è riuscita a far arrivare, attraverso un suo socio che ha accettato di esporsi in prima persona con un ricorso al TAR del Veneto, alla Corte costituzionale. La seduta pubblica è stata fissata per il 26 ottobre e la sentenza seguirà in qualche mese.

L’UAAR pensa che la soluzione bavarese sia assolutamente sbilanciata. La via bavarese farebbe diventare norma l’esposizione del crocifisso, peggiorando la situazione attuale, in palese contrasto con i principî fondamentali della laicità dello Stato e dell’eguaglianza dei cittadini. Si accetterebbe dunque il principio che i valori, i simboli, le pretese della chiesa cattolica sono in Italia al di sopra delle leggi e della Costituzione e che, mentre i cittadini cattolici possono avere i loro simboli esposti nelle aule, quelli che appartengano ad altre religioni minoritarie o che non abbiano nessuna religione, come i 10 milioni di italiani atei o agnostici, no.

Verrebbe istituito un procedimento di conciliazione che esporrebbe gli studenti e i genitori che volessero che i crocefissi fossero tolti a esporsi pubblicamente, in modo che eventuali autorità scolastiche clericali potrebbero poi ridicolizzarli e decidere di lasciare il crocifisso: oltre al danno anche la beffa. Quanti studenti che vorrebbero fare la richiesta, avrebbero il coraggio di farla? È tollerabile che sia violata la privacy in una materia così delicata?

E nei tribunali, che effetto avrebbe la “soluzione bavarese”? Li mettiamo o li togliamo prima di ogni procedimento a seconda dell’imputato? E se sono coimputati un cattolico e un musulmano?

2. I cattolici sono in maggioranza e quindi possono decidere di mettere i crocifissi nelle aule

Questo nella dittatura della maggioranza, non nella democrazia liberale!

La democrazia liberale si fonda sul rispetto e sulla garanzia delle minoranze, in modo particolare nel campo delle libertà civili, libertà di pensiero in primis. Lo Stato che fa ufficialmente propria una religione, non importa quanto diffusa, non è una democrazia liberale ma, a seconda del grado di discriminazione dei non appartenenti al culto ufficiale, un ibrido che inclina verso lo Stato confessionale o teocratico.

Il principio di laicità dello Stato, conquista della modernità occidentale, garantisce che lo spazio pubblico sia ideologicamente e religiosamente neutro, in modo che tutti i cittadini si possano sentire rappresentati e non esclusi, a prescindere dalle loro credenze. Nessun gruppo, per quanto numeroso, può quindi appropriarsi dello spazio pubblico a danno degli altri, per quanto pochi, e contrassegnarlo con i simboli religiosi o ideologici di una sola parte. Negli uffici pubblici trovano collocazione legittima solo simboli come la bandiera nazionale o l’immagine del Presidente della Repubblica in cui si può effettivamente esprimere l’idea di unità nazionale.

Solo così si realizza il fondamentale principio dell’uguaglianza previsto dall’art. 3 Cost., per il quale «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Se l’effettiva attuazione di questo principio dovesse dipendere dall’appartenenza al gruppo maggioritario, ogni uguaglianza svanirebbe.

3. Cominciate col toglierci i crocifissi nelle scuole e poi toglierete Dante

Non confondiamo il contenuto culturale della scuola coi suoi arredi e coi simboli esposti! Fa lo stesso una scuola in cui si spiega il contenuto filosofico del marxismo, insieme alle altre dottrine politiche, e una nelle cui aule campeggi, dietro alle spalle dell’insegnate, un ritratto icona di Karl Marx o un manifesto con croce e martello…?

Qualcuno può davvero immaginare che la richiesta di togliere il manifesto marxista equivalga alla pretesa di non far conoscere agli studenti opere letterarie di scrittori comunisti italiani, magari altrettanto critici verso il socialismo reale quanto Dante fu critico nei confronti del potere temporale della chiesa cattolica?

C’è una differenza radicale, e anche abbastanza ovvia, tra ciò che entra nei programmi scolastici come materia di studio, e quindi anche di vaglio critico, e ciò che viene affisso alla parete come simbolo, sottratto, nella sua fissità di icona, al mutare dei contenuti e all’esercizio della critica.

4. Per voi sono un pezzo di legno senza significato. Che male vi fanno? Siete intolleranti

I simboli non sono mai indifferenti. E forse oggi il crocifisso è più indifferente a molti cattolici tiepidi e distratti che agli appartenenti ad altre religioni o ai non credenti. Per costoro il crocifisso nei luoghi pubblici diventa un simbolo di esclusione. L’emblema di una cittadinanza parziale o inferiore. Il segno tangibile di una discriminazione rispetto al resto alla comunità civile organizzata nell’ente o nell’istituto che invece, in quanto pubblico, dovrebbe far sentire tutti a proprio agio.

Su questo punto il giudice Montanaro, nella sua ordinanza del 22/10/2003, ha usato parole particolarmente incisive: «…nell’ambito scolastico, la presenza del simbolo della croce induce nell’alunno una comprensione profondamente scorretta della dimensione culturale dell’espressione di fede, perché manifesta l’inequivoca volontà dello Stato, trattandosi di scuola pubblica, di porre il culto cattolico al centro dell’universo, come verità assoluta, senza il minimo rispetto per il ruolo svolto dalle altre esperienze religiose e sociali nel processo storico dello sviluppo umano…». È anche «il segno visibile che la scuola, di fronte al fatto religioso arretra la sua sfera d’azione, rinuncia alla sua funzione educativa, compie la precisa scelta di abbandonare il criterio dell’approccio culturale e critico…». Per cui «la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche comunica un’implicita adesione a valori che non sono realmente patrimonio comune di tutti i cittadini, presume una omogeneità che in realtà non c’è mai stata e sicuramente non può affermarsi sussistere oggi» e che finisce per connotare in modo confessionale la scuola pubblica, ridimensionandone fortemente l’immagine pluralista.

5. I crocifissi sono simbolo universale di pace, di amore

Anzitutto il crocifisso è simbolo religioso e non genericamente culturale. E non è nemmeno il simbolo di tutti i cristiani: è adottato solo da alcune confessioni cristiane, tra cui la cattolica.

Il crocifisso raffigura l’esecuzione della condanna a morte di un uomo e ha un immediato significato accusatorio nei confronti degli ebrei a lungo definiti “deicìdi”. Non si può pretendere di farlo diventare simbolo di valori, come pace o amore, che non sono affatto prerogativa delle sole confessioni cristiane che lo adottano. Valori che, tra l’altro, non si riconnettono per nulla al carattere cruento dell’evento raffigurato.

La sua universalità, poi (contraddittoriamente invocata insieme alla sua pretesa italianità…), è tale solo in rapporto alle mire universalistiche della confessione cattolica, che si definisce come portatrice di un messaggio rivolto a tutti gli uomini. Ma ogni pretesa universalistica rischia di entrare pericolosamente in contraddizione con l’idea di pace e infatti, nel corso della storia, ha giustificato crimini orrendi commessi col fine di evangelizzare tutti quei popoli che nel crocifisso non si riconoscevano.

E qui è evidente la contraddizione tra i pretesi valori e la realtà storica. Se attribuiamo ai simboli i significati di cui si sono effettivamente caricati nel corso dei tempi per il modo in cui sono stati usati e per ciò che hanno effettivamente rappresentato, allora il crocifisso appare carico di ben altro che pace e amore. Quel simbolo gronda sangue, intolleranza, fanatismo, violenza, odio, sopraffazione, sterminio e oscurantismo. Sotto quel simbolo sono state commesse stragi di eretici, crociate e stermini di altre civiltà, caccia alle streghe e torture, persecuzione della libertà di pensiero e del progresso della conoscenza. Nel Novecento è stato impugnato da tutti i regimi fascisti d’Europa e sud America, con cui la chiesa cattolica si è regolarmente compromessa per ottenerne in cambio potere e privilegî.

Sotto quel simbolo si combattono ancor oggi battaglie ideologiche tutt’altro che universalmente condivise: l’opposizione al riconoscimento dei diritti civili degli omosessuali, l’opposizione alla diffusione del preservativo per contrastare l’AIDS, l’opposizione alla contraccezione come strumento di maternità responsabile e ovviamente alle legislazioni che hanno legalizzato l’aborto, l’opposizione al divorzio civile e alla ricerca sugli embrioni…

Oggi il crocifisso ha connotazioni ideologiche che tanto più si pretendono universali quanto più sono di parte. La pretesa universalità è di per sé stessa un grave disconoscimento della stessa esistenza di posizioni diverse.

6. I crocifissi sono il simbolo dei valori che stanno alla base della nostra identità italiana e della nostra cultura

Il crocifisso è il simbolo della religione cattolica, certo non della cultura italiana o europea che non può essere ridotta al mero elemento religioso prevalente, ma ha invece molte radici, alcune delle quali avverse o comunque irriducibili al cristianesimo. Le più profonde tra queste radici, quelle che hanno segnato tutto il corso successivo, affondano nella civiltà greco-romana. Il cristianesimo si è costruito come tale, cioè come qualcosa di diverso dalla setta ebraica che era in origine, solo attingendo dalle categorie della filosofia ellenistica e costruendo il suo apparato organizzativo e giuridico sulla struttura del diritto romano.

Filosofia greca e diritto romano sono i grandi pilastri della civiltà occidentale, ne costituiscono la struttura profonda. L’Italia è stata poi teatro di una lunghissima serie di dominazioni e influenze culturali, che si sono succedute e intersecate in modo inestricabile nel corso dei secoli e hanno prodotto un popolo molto vario sia in senso etnico che culturale, con gli antichi riti pagani che spesso riemergono sotto la copertura di feste cristiane. La nostra ricchezza dipende anche da questa varietà di influenze, non riducibile alla omologazione nella confessione cattolica.

L’unità nazionale Italiana, poi, è il frutto del Risorgimento, ovvero di lotte aspre contro lo Stato Pontificio e contro il papato combattute per tutto l’ottocento da parte di patrioti laici o cattolici liberali, morti e perseguitati pur di distinguere il potere temporale dalla religione.

7. Diritto di reciprocità. In Arabia saudita è vietato costruire chiese, esporre simboli di altre religioni; sono permessi solo i loro simboli e noi facciamo altrettanto

È veramente curioso che in Italia la laicità dello Stato appaia come una concessione all’Islam! La laicità dello Stato è un contrassegno della modernità occidentale, una conquista che segna l’emancipazione delle istituzioni pubbliche dalla sottomissione al potere religioso, non un patto di reciprocità tra il cattolicesimo e un’altra specifica religione mediterranea, o tra l’Italia e l’Arabia Saudita… Le religioni e gli Stati sono due cose ben diverse, nella prospettiva laica raggiunta dall’occidente moderno.

Ed esistono molte altre religioni al mondo, oltre all’Islam. Ed esiste in Italia un gran numero di cittadini non credenti in alcuna religione, superiore alla quantità degli islamici. Perché mai la laicità dello spazio pubblico andrebbe negata in funzione di quel che fanno i Paesi retti da teocrazie islamiche, la cui ferocia si esercita nei confronti dei loro stessi cittadini, non solo contro gli stranieri di altre religioni?

Il mondo islamico è semplicemente rimasto fermo al medioevo. Dovremmo tornarci anche noi, per coerente reciprocità? Non possiamo abbassare il nostro livello di civiltà per rendere a qualcuno la pariglia.

Dobbiamo essere fieri della nostra libertà e dobbiamo scommettere sul fatto che la maggior parte degli immigrati islamici, proprio a contatto con una civiltà che li accoglie senza discriminazioni religiose, ma pretende da tutti il rispetto dei propri principî, conquisti anche le loro menti e i loro cuori. Gli faccia finalmente conosce il sapore della libertà.

8. C’è una legge che impone il crocifisso nelle aule. Il giudice non ha rispettato la legge del 1924; caso mai doveva mandarla alla Corte costituzionale

L’esposizione del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche era prescritta da due regolamenti degli anni ’20: l’art. 118 del R.D. 965/1924 per le scuole medie, l’art. 119 del R.D. 1297/1928 per le scuole elementari. Nessuna norma lo ha invece mai disposto per le scuole materne.

Non si tratta dunque di norme con forza di legge, che possano essere sottoposte al giudizio della Corte Costituzionale, ma di norme regolamentari, cioè di livello secondario, che devono trovare fondamento in una legge.

Più precisamente si tratta di regolamenti di epoca fascista, che s’inserivano in un sistema costituzionale, quello dello Statuto Albertino, che all’art. 1 sanciva che la religione cattolica era la sola religione dello Stato. La dottrina giuridica e storica hanno sempre indicato in quei regolamenti uno dei sintomi più evidenti del neo-confessionismo statale del regime fascista, che ha nel Concordato del 1929 il suo ideale punto di arrivo.

Nella sua ordinanza del 22/10/2003 il giudice dell’Aquila Mario Montanaro ha considerato quei regolamenti abrogati dalla revisione del Concordato entrata in vigore con L. 121/1985. Questa revisione ha esplicitamente abrogato il principio della religione cattolica come religione di Stato. Dice l’ordinanza: «Come noto, l’abrogazione esplicita di un principio giuridico comporta necessariamente e naturalmente l’abrogazione tacita delle disposizioni che vi fanno riferimento, in particolare se si tratta di normativa di rango secondario, che offre minore resistenza nell’eventuale contrasto determinatosi con l’introduzione di una nuova disciplina nella materia, dovendo le disposizioni regolamentari, per loro stessa natura, eseguire il dettato di determinate disposizioni di legge».

Insomma: i regolamenti devono trovare una base in norme o principî di livello superiore; caduto il principio della religione cattolica come religione di Stato, quei regolamenti hanno perso la base legislativa su cui poggiavano, si trovano in contraddizione col principio opposto introdotto esplicitamente nel 1985 e sono stati quindi implicitamente abrogati (Vedi dettagli ulteriori sulla ordinanza del giudice Montanaro) Alcuni giuristi, ad es. il prof. Sergio Lariccia, ordinario di Diritto Amministrativo dell’Università di Roma “La Sapienza”, non solo hanno confermato la natura regolamentare delle norme del 1924/1928, ma hanno ricordato che il nuovo Testo Unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado (approvato con il d. lgs. 16 aprile 1994, n. 297) che regola anche la materia dell’arredo scolastico:

  • non fa più menzione del crocifisso tra gli arredi;
  • afferma di contenere tutte «le disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione»;
  • si pone in una prospettiva culturale completamente diversa rispetto a quella confessionale;
  • dichiara abrogate le disposizioni contrarie o incompatibili.

Quindi, anche nell’ipotesi che l’abrogazione delle norme degli anni ’20 non fosse avvenuta nel 1985 con la revisione del Concordato, sarebbe comunque avvenuta col TU 297/1994 (Vedi dettagli ulteriori sul T.U. approvato con d. lgs. 297/1994).

La Corte Costituzionale, con ordinanza n. 389 del 15 dicembre 2004, ha confermato la validità di queste osservazioni, rimandando la questione al TAR del Veneto.

IL PUNTO GIURIDICO SUL CROCIFISSO

  1. Struttura argomentativa dell’ordinanza Montanaro
    1. quella che ipotizza la rimozione del crocifisso solo su richiesta di chi si ritenga leso;
    2. quella che prevede l’esposizione dei simboli di tutte le religioni.
  2. L’esposizione del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche era prescritta da due regolamenti degli anni ’20: l’art. 118 del R.D. 965/1924 per le scuole medie, l’art. 119 del R.D. 1297/1928 per le scuole elementari. Nessuna norma lo ha invece mai disposto per le scuole materne.
    Non si tratta dunque di norme con forza di legge, che possano essere sottoposte al giudizio della Corte Costituzionale, ma di norme regolamentari, cioè di livello secondario, che devono trovare fondamento in una legge.
    Più precisamente si tratta di regolamenti di epoca fascista, che s’inserivano in un sistema costituzionale, quello dello Statuto Albertino, che all’art. 1 sanciva che la religione cattolica era la sola religione dello Stato. La dottrina giuridica e storica hanno sempre indicato in quei regolamenti uno dei sintomi più evidenti del neo-confessionismo statale del regime fascista, che ha nel Concordato del 1929 il suo ideale punto di arrivo.

    Nella sua ordinanza del 22/10/2003 il giudice dell’Aquila Mario Montanaro ha considerato quei regolamenti abrogati dalla revisione del Concordato entrata in vigore con L. 121/1985. Questa revisione ha esplicitamente abrogato il principio della religione cattolica come religione di Stato. Dice l’ordinanza: «Come noto, l’abrogazione esplicita di un principio giuridico comporta necessariamente e naturalmente l’abrogazione tacita delle disposizioni che vi fanno riferimento, in particolare se si tratta di normativa di rango secondario, che offre minore resistenza nell’eventuale contrasto determinatosi con l’introduzione di una nuova disciplina nella materia, dovendo le disposizioni regolamentari, per loro stessa natura, eseguire il dettato di determinate disposizioni di legge».
    Insomma: i regolamenti devono trovare una base in norme o principî di livello superiore; caduto il principio della religione cattolica come religione di Stato, quei regolamenti hanno perso la base legislativa su cui poggiavano, si trovano in contraddizione col principio opposto introdotto esplicitamente nel 1985 e sono stati quindi implicitamente abrogati.

    Contro la possibile obiezione che la religione cattolica è professata dalla maggioranza degli italiani, l’ordinanza afferma che «così ragionando si continua sostanzialmente a considerare la religione cattolica come “religione di Stato”» e che «come è stato rilevato in dottrina, evocare il criterio della maggioranza del gruppo (numericamente o culturalmente prevalente), in materia di libertà è l’argomento più denso di pericoli per le libertà dei consociati».

    Il giudice Montanaro richiama inoltre la sentenza 439 dell’1/3/2000 della Corte di Cassazione che ha ritenuto doverosa di rimozione del crocifisso dai seggi elettorali, motivandola sul solco tracciato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 203 del 1989 per la quale la laicità dello stato è principio fondamentale del nostro ordinamento giuridico.
    «Le giustificazioni addotte per ritenere non in contrasto con la libertà di religione l’esposizione del crocifisso nelle scuole (e negli uffici pubblici) così come ogni altra forma di confessionalismo statale, sono divenute ormai giuridicamente inconsistenti, storicamente e socialmente anacronistiche, addirittura contrapposte alla trasformazione culturale dell’Italia e, soprattutto, ai principî costituzionali che impongono il rispetto per le convinzioni degli altri e la neutralità delle strutture pubbliche di fronte ai contenuti ideologici».

    Inoltre nell’ordinanza il giudice Montanaro prende in considerazione due soluzioni alternative alla rimozione dei crocifissi da tutte le aule scolastiche:

    L’opinione per cui il crocifisso potrebbe rimanere nelle aule scolastiche quando l’insieme degli studenti (se maggiorenni, o dei loro genitori se minorenni) di una scuola pubblica vi colgano tutti pacificamente, anche implicitamente, un comune significato culturale (oltre a quello della fede dei soli cristiani), e andrebbe invece rimosso se anche un solo alunno si ritiene leso nella propria libertà religiosa negativa, e ne richiede la rimozione. Questa soluzione viene contestata dal giudice perché non è in questione solo «la libertà di religione degli alunni, ma anche la neutralità di un’istituzione pubblica» e «non è possibile prospettare una realizzazione del principio di laicità dello Stato… a richiesta». Quel principio deve essere connaturato all’operare stesso dell’amministrazione pubblica, alla quale l’art. 97 cost. impone l’imparzialità.
    La questione investe la natura neutrale dell’istituzione pubblica e non riguarda soltanto i figli di genitori non cattolici: «…nell’ambito scolastico, la presenza del simbolo della croce induce nell’alunno una comprensione profondamente scorretta della dimensione culturale dell’espressione di fede, perché manifesta l’inequivoca volontà dello Stato, trattandosi di scuola pubblica [e oltretutto di scuola dell’obbligo n.d.r] di porre il culto cattolico al centro dell’universo, come verità assoluta, senza il minimo rispetto per il ruolo svolto dalle altre esperienze religiose e sociali nel processo storico dello sviluppo umano…». È anche «il segno visibile che la scuola, di fronte al fatto religioso arretra la sua sfera d’azione, rinuncia alla sua funzione educativa, compie la precisa scelta di abbandonare il criterio dell’approccio culturale e critico…». Per cui «la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche comunica una implicita adesione a valori che non sono realmente patrimonio comune di tutti i cittadini, presume una omogeneità che in realtà non c’è mai stata e sicuramente non può affermarsi sussistere oggi» e che finisce per connotare in modo confessionale la scuola pubblica, ridimensionandone fortemente l’immagine pluralista.
    Ciò facendo si pone in contrasto con quanto ha stabilito la Corte Costituzionale al riguardo, rilevando come il principio di pluralità debba intendersi quale salvaguardia del pluralismo religioso e culturale (sentenza C. Cost. n. 203/1989 e n. 13/1991) che può realizzarsi solo se l’istituzione scolastica rimane imparziale di fronte al fenomeno religioso.

    Per gli stessi motivi, altrettanto lesiva della libertà di religione e della laicità della scuola sarebbe l’esposizione nelle aule scolastiche di simboli di altre religioni. Tale affissione, che peraltro non potrebbe essere in concreto esaustiva, anche se eliderebbe la natura confessionale che ha l’esposizione del solo crocifisso, comunque finirebbe per ledere la libertà religiosa negativa di coloro che non hanno alcun credo.

  3. Disposizioni legislative in materia di istruzione
  4. Il prof. Sergio Lariccia, ordinario di Diritto amministrativo alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Roma “La Sapienza”, in un commento del 19 novembre 2003 [vedi sul forum collegato ai Quaderni Costituzionali per ulteriori pareri di giuristi italiani sul crocifisso negli edifici pubblici], conferma la natura regolamentare delle norme del 1924/1928, e ricorda che il d. lgs. 16 aprile 1994, n. 297, di approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado (che regola anche la materia dell’arredo scolastico) non fa più menzione del crocifisso e dichiara abrogate le disposizioni contrarie o incompatibili.

    Quanto segue è lo schema della sua argomentazione.

Natura regolamentare delle disposizioni del 1924/1928

«Dopo che, nel 1857, una circolare aveva previsto la presenza del crocefisso nelle scuole con riferimento alla legge 22 giugno 1857, n. 2328 (c. d. legge Lanza), l’apposizione del crocefisso nelle aule scolastiche fu prevista dalla circolare del ministero della pubblica istruzione 22 novembre 1922, che precede di due anni la riforma Gentile realizzata con l’approvazione del r. d. 1° ottobre 1923, n. 2185. Dopo la riforma Gentile, due sono le disposizioni che, nel ventennio fascista, prevedono la presenza del crocefisso nelle aule scolastiche: l’art. 118 r. d. 30 aprile 1924, n. 965 sull’Ordinamento interno delle giunte e degli istituti di istruzione media (“Ogni istituto ha la bandiera nazionale; ogni aula l’immagine del Crocefisso”) e l’art. 10 e allegato C al r. d. 26 aprile 1928, n. 1297, di approvazione del regolamento generale sui servizi dell’istruzione elementare.

Si trattava di atti normativi di natura regolamentare che il giudice non avrebbe potuto impugnare davanti alla corte costituzionale, considerando che alla corte costituzionale, in base all’art. 134 della costituzione, che si riferisce a “leggi ed atti aventi forza di legge”, è istituzionalmente sottratto il sindacato sui regolamenti. Sulla natura di norme regolamentari delle norme in questione avevano convenuto:

  1. il Consiglio di Stato, che, nel parere della III sezione del 27 aprile 1988, n. 63, aveva ritenuto non abrogate le citate disposizioni di natura regolamentare;
  2. la Corte di Cassazione, con la sentenza della IV sezione penale 1° marzo 2000, n. 439, con la quale si è deciso che la rimozione del simbolo del crocefisso da ogni seggio elettorale si muovesse nel solco tracciato dalla giurisprudenza costituzionale in termini di laicità e di pluralismo;
  3. e la stessa Avvocatura dello Stato, nel corso del giudizio davanti al tribunale di L’Aquila, la quale ha sostenuto la perdurante vigenza della disciplina normativa in questione, ma non ha affatto contestato la natura regolamentare della medesima.

Sottratti al controllo della corte costituzionale, i regolamenti sono sottoposti al regime degli atti amministrativi: essi sono dunque disapplicabili dal giudice ordinario qualora risultino in contrasto con norme di fonte legislativa».

Il testo unico del 1994

«Più complesso si presenta il problema di valutare se una norma di legge ordinaria sussistesse, in tema di affissione dei crocefissi nelle aule scolastiche, dopo l’approvazione della legge 28 luglio 1967, n. 641, il cui art. 30 disciplinava la materia dei Sussidi per l’arredamento di scuole elementari e medie, e dopo l’emissione della circolare 19 ottobre 1967, n. 361, che, nell’allegato B, richiamando gli artt. 120 e 121 del già ricordato r. d. n. 1297 del 1928 e l’art. 30 della legge n. 641 del 1967, stabiliva le formalità per la richiesta di contributi, da compilarsi a cura dei comuni, per provvedere alla fornitura dell’arredo scolastico e, come primo arredo, considerava proprio il crocefisso.

In questa materia vi è stata tuttavia una successiva legislazione che induce a ritenere abrogata la precedente normativa (legge e circolare) del 1967: in particolare vanno considerati la legge 23 dicembre 1991, n. 430 e il d. lgs. 16 aprile 1994, n. 297, di approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado, che, negli articoli riguardanti l’arredo scolastico - art. 2 della legge n. 430 del 1991 e artt. 107 (scuole materne), 159 (scuole elementari) e 190 (scuole medie) del d. lgs. n. 297 del 1994 - non fanno alcuna menzione del crocefisso come arredo. Così l’art. 159 d. lgs. n. 297 del 1994 stabilisce che “Spetta ai comuni provvedere […] alle spese necessarie per l’acquisto, la manutenzione, il rinnovamento del materiale didattico, degli arredi scolastici, ivi compresi gli armadi o scaffali per le biblioteche scolastiche, degli attrezzi ginnici […]”.

L’art. 676 del Testo Unico, con riferimento alla materia scolastica regolata in precedenza, stabilisce: “Le disposizioni inserite nel presente testo unico vigono nella formulazione da esso risultante; quelle non inserite restano ferme ad eccezione delle disposizioni contrarie o incompatibili con il testo unico stesso, che sono abrogate”.

Questa disposizione, il cui significato sembra chiaro, determina l’abrogazione della disciplina che in precedenza prevedeva la presenza del crocefisso nelle aule scolastiche. La disciplina legislativa del 1994, che contiene tutte “le disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione”, si pone in una prospettiva completamente diversa rispetto a quella che negli anni precedenti. Il discorso potrebbe essere assai lungo ed è qui consentito soltanto fare un rapido cenno.

  • L’art. 1 d. lgs. n. 297 del 1994, la cui rubrica non a caso ha come titolo Formazione e personalità degli alunni e libertà di insegnamento, esplicitamente afferma la finalità di “promuovere, attraverso un confronto aperto di posizioni culturali, la piena formazione della personalità degli alunni”;
  • l’art. 2 (Tutela della libertà di coscienza degli alunni) […] nel n. 1 prevede che “L’azione di promozione di cui all’articolo 1 è attuata nel rispetto della coscienza morale e civile degli alunni”;
  • l’art. 118, a proposito delle finalità della scuola elementare, stabilisce che “La scuola elementare […] concorre alla formazione dell’uomo e del cittadino secondo i principî sanciti dalla Costituzione e nel rispetto e nella valorizzazione delle diversità individuali, sociali e culturali. Essa si propone lo sviluppo della personalità del fanciullo promuovendone la prima alfabetizzazione culturale”;
  • l’art. 309, a proposito dell’insegnamento della religione cattolica, stabilisce che “nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado l’insegnamento della religione cattolica è disciplinato dall’accordo tra la Repubblica italiana e la Santa Sede e relativo protocollo addizionale […]”;
  • l’art. 311 fonda sul diritto di garantire “la libertà di coscienza di tutti” il diritto degli alunni delle scuole pubbliche non universitarie di “avvalersi o di non avvalersi di insegnamenti religiosi”.

Conclusioni

«I principî vigenti in materia scolastica dopo l’approvazione del d. lgs n. 297 del 1994 sono coerenti con le disposizioni costituzionali, che sono espressamente richiamate nel testo, e modificano il quadro legislativo vigente in precedenza; in particolare, il richiamo alla disposizione contenuta nell’art. 1 del protocollo addizionale, che esplicitamente abroga il principio della religione cattolica come sola religione dello stato, deve indurre a ritenere abrogate le disposizioni sull’affissione obbligatoria del crocefisso.

Giustamente si osserva nell’ordinanza del giudice Montanaro che l’oggetto del ricorso riguarda la questione della laicità delle istituzioni: affermazione che assume grande importanza nella specie in quanto, se non è in questione soltanto la libertà di religione degli alunni, ma anche la neutralità di un’istituzione pubblica, non è possibile prospettare una realizzazione del principio di laicità dello stato e della libertà di religione dei consociati “a richiesta”, rendendosi invece necessaria una soluzione che sia connaturata all’operare stesso dell’amministrazione pubblica.

Il pluralismo religioso e culturale, sulla cui importanza nel sistema costituzionale possono leggersi le sentenze della corte costituzionale 12 aprile 1989, n. 203 e 14 gennaio 1991, n. 13, può realizzarsi soltanto se l’istituzione scolastica rimane imparziale di fronte al fenomeno religioso. L’imparzialità dell’istituzione scolastica pubblica di fronte al fenomeno religioso deve realizzarsi attraverso la mancata esposizione di simboli religiosi piuttosto che attraverso l’affissione di una pluralità di simboli, che - si osserva giustamente nell’ordinanza - non potrebbe in concreto essere tendenzialmente esaustiva e comunque finirebbe per ledere la libertà religiosa negativa di coloro che non hanno alcun credo.

Pluralismo religioso e culturale, libertà di coscienza e di religione per tutti, eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, eguale libertà delle confessioni religiose, imparzialità dei poteri pubblici di fronte al fenomeno religioso, laicità delle istituzioni civili: sono questi i principî sui quali è fondata la decisione emessa del giudice nell’ordinanza riguardante la rimozione del crocefisso dalle aule scolastiche. L’opinione che, in conclusione, vorrei qui esprimere riguarda la necessità di ribadire la supremazia del diritto, quello che nel mondo anglosassone si definisce The Rule of Law: senza il diritto non c’è libertà ma arbitrio; e sempre più si afferma l’esigenza che la costituzione, con le sue disposizioni, i suoi principi consolidati e i suoi valori, sia fonte di garanzia per tutti. Fa piacere che un giudice lo abbia ritenuto un principio irrinunciabile per la democrazia e la giustizia nel nostro paese».