La laicità nella legislazione italiana: alcune considerazioni di una cittadina preoccupata

di Enrica Rota

 

Da molte parti, e piuttosto spesso, si sente affermare quanto sia laica la nostra Costituzione e come essa ben garantisca la laicità dello Stato. Esiste anche una sentenza della Corte Costituzionale (la n. 203 del 1989) in cui si afferma che la laicità è “principio supremo” dello Stato repubblicano. Eppure, nella nostra Costituzione, le parole “laico” e “laicità” non si trovano proprio, non compaiono neanche una volta.

Ben diverso, per esempio, il caso della Costituzione francese, dove già all’art. 2 si legge: “La Francia è una Repubblica indivisibile, laica, democratica e sociale”. E, più specificatamente riguardo alla scuola, già si leggeva nella Costituzione del 1946, che è alla base di quella attuale: “L’organizzazione dell’insegnamento pubblico, gratuito e laico in tutti i gradi è un dovere dello Stato”.

Molto interessante, a questo proposito, è anche la Charte de la laïcité à l’école (Carta della laicità a scuola) presentata dal Ministro dell’Istruzione, Vincent Peillon, il 9 settembre 2013 ed affissa in tutte le scuole statali francesi, che per così dire rincara la dose, affermando per esempio:

2. La Repubblica laica determina la separazione tra le religioni e lo Stato. Lo Stato è neutrale nei confronti delle convinzioni religiose o spirituali. Non esiste una religione di Stato.

3. La laicità garantisce a tutti la libertà di coscienza. Ciascuno è libero di credere o di non credere. La laicità permette la libera espressione delle proprie convinzioni nel rispetto di quelle altrui e nei limiti dell’ordine pubblico.

6. La laicità della Scuola offre agli allievi le condizioni per poter formare la loro personalità, esercitare il loro libero arbitrio e prepararsi alla cittadinanza. Essa li protegge da ogni forma di proselitismo e pressione che impediscano loro di fare autonomamente le loro scelte.

11. Il personale ha il dovere della più completa neutralità: non deve manifestare le sue convinzioni politiche o religiose durante l’esercizio delle sue funzioni.

12. Gli insegnamenti sono laici (…).

Al confronto, la nostra Costituzione appare timida ed incerta: negli articoli che trattano di religione e di libertà religiosa (n. 3, n. 7, n. 8, n. 19 e n. 20) infatti mancano, oltre alle parole “laico” e “laicità” come detto prima, anche il principio della neutralità ed equidistanza dello Stato da tutte le religioni come formulato nella “Carta della laicità” francese qui sopra (art. 2), ed il riconoscimento della libertà di non credere (art. 3). Quest’ultima libertà viene invece riconosciuta in maniera esplicita dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 203 del 1989, che estrapola (al punto 3) “la libertà negativa di non professare alcuna religione” dagli art. 3 e 19 della Costituzione.

Passiamo dunque ad esaminare un po’ più da vicino questa sentenza, che da molti è ritenuta una pietra miliare per la laicità del nostro Paese. La Corte doveva decidere sulla costituzionalità o meno di alcuni punti del “Nuovo Concordato” (legge 25 marzo 1985, n. 121) relativi all’insegnamento della religione cattolica nelle scuole statali; eccoli:

l’art. 9, n. 2 (La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado. Nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori, è garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento. All’atto dell’iscrizione gli studenti o i loro genitori eserciteranno tale diritto su richiesta dell’autorità scolastica, senza che la loro scelta possa dar luogo ad alcuna forma di discriminazione);

e il punto 5, lettera b), numero 2 del Protocollo addizionale (Con successiva intesa tra le competenti autorità scolastiche e la Conferenza Episcopale Italiana verranno determinate le modalità di organizzazione di tale insegnamento, anche in relazione alla collocazione nel quadro degli orari delle lezioni).

La sentenza, che è (almeno per una non-addetta-ai-lavori come la sottoscritta) un vero capolavoro di azzeccagarbuglismo, dopo lunghe e convolute considerazioni, tramite una serie di argomentazioni contorte e cavillose e con non poche arrampicate sugli specchi riesce, per così dire, a salvare capra e cavoli e a concludere affermando che l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole italiane come delineato dal Nuovo Concordato ed in quanto facoltativo, e perciò rispettoso della libertà dei diversamente o non credenti, non è in contrasto con la Costituzione; la Corte inoltre afferma di essere giunta a questa conclusione proprio in base al principio supremo della laicità dello Stato che ritiene in essa implicito. Si arriva dunque al paradosso di uno Stato sedicente laico che “entro un quadro normativo rispettoso del principio supremo di laicità” (punto 5 della sentenza) ed anzi “proprio per la sua forma di Stato laico” (punto 7) conferisce ad una religione, e ad una soltanto, una condizione privilegiata rendendola essa sola oggetto di studio (sia pur non obbligatorio) nelle scuole statali. Tutte le religioni sono uguali, insomma, ma certamente ce n’è una, in Italia, che è più uguale delle altre.

Dove si trovi, nella sentenza 203/1989, quel principio della “neutralità” dello Stato nei confronti di tutte le religioni che invece il ministro francese Peillon ha voluto sottolineare nella sua Charte proprio perché è alla base di ogni “vera” laicità … resta un mistero … o meglio, nessun mistero, non si trova proprio per niente. Come del resto, a ben vedere, non è presente neanche nella nostra Costituzione. Ci sono i Patti Lateranensi, che lo impediscono! Ed infatti all’art. 8, che è quello subito successivo al fatidico art. 7 dei Patti, si legge: “Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. (…)” – “egualmente libere”, notiamo, NON “eguali”! “Eguali” non lo potevano scrivere, i nostri Padri Costituenti … c’era l’articolo immediatamente precedente che lo impediva! E dunque optarono per le “egualmente libere”, che certamente non è la stessa cosa. Insomma, comunque si voglia rigirare la frittata, la ingombrante presenza dei Patti Lateranensi all’interno della nostra Costituzione ne pregiudica drasticamente ed irrimediabilmente la laicità. E non è un caso che questa parola, nella Costituzione, non compaia proprio mai.

Stando così le cose, sarebbe stato meglio se la Corte Costituzionale, nel suo pronunciarsi a favore della costituzionalità dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole statali, si fosse semplicemente appellata agli art. 7 e 8 della Costituzione, sottolineando il fatto che la “eguale libertà” di tutte le religioni non ne implica l’eguaglianza e dunque neanche un eguale trattamento da parte dello Stato (a causa dell’esistenza, per l’appunto, dei Patti Lateranensi) ed evitando di tirare in ballo il “principio supremo” della laicità: sarebbe stata una scelta più lineare, meno farraginosa ed inoltre, a mio modesto avviso, decisamente più onesta. Si optò invece per la classica “botte piena e moglie ubriaca” cercando di conciliare eguaglianza e privilegio, laicità e confessionalismo, libertà religiosa ed indottrinamento in una sola fede, e completamente disconoscendo quel principio della neutralità dello Stato, della sua equidistanza da tutte le fedi che sta alla base della “vera” laicità, quella che viene garantita per esempio dalla legislazione francese. Perché da lì non si scappa: in uno Stato laico “gli insegnamenti sono laici” e la scuola è laica – come afferma senza mezzi termini la Charte de la laïcité.

La sentenza 203/1989 è stata a mio avviso deleteria per due ordini di motivi. Innanzitutto, elevando la laicità a “principio supremo” della Repubblica (e perciò implicando che quest’ultima sia effettivamente laica) taglia le gambe sul nascere a qualsiasi istanza di cambiamento o tentativo di modifica del nostro ordinamento in senso più laico di quanto non sia: se siamo già perfetti, infatti, non vi è proprio nulla da modificare! In secondo luogo, optando per una laicità devota, una pia laicità, una laicità all’italiana insomma, quella di uno Stato che non è “indifferente” dinanzi alle religioni (punto 4 della sentenza), ma che tiene conto del “valore della cultura religiosa” e del “patrimonio storico” costituito dal cattolicesimo per il popolo italiano, e che infine, come visto prima, “proprio per la sua forma di Stato laico” fa impartire l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche (!!!) – optando per questo, appunto, la Corte Costituzionale non ha fatto altro che fare il gioco della chiesa al cento per cento, presentandole, e su un piatto d’argento, proprio quel concetto fasullo di laicità del quale essa ha fatto tesoro (la “buona” laicità, la “sana” laicità, la “autentica” laicità, la “nuova” laicità, ecc.) e che continuamente contrappone alla “cattiva”, “insana”, “falsa”, “superata” laicità, a quel “laicismo”, insomma, che è, a suo modo di vedere, il nefasto frutto della rivoluzione francese ed il sintomo di una mentalità sbagliata, nemica della religione e secolarizzata contro la quale continuamente scaglia i suoi anatemi.

Noi semplici cittadini, che passiamo la nostra vita tra crocifissi nei luoghi pubblici, obiettori di coscienza nella sanità, Papa Francesco su tutti i canali, carità obbligatoria con l’otto per mille, esenzioni ICI-IMU-TASI e quant’altro per la chiesa, ed infine ora scolastica di indottrinamento cattolico in tutte le scuole, oltretutto ficcata nel bel mezzo dell’orario curricolare, non possiamo se non rimanere perplessi (ed oltremodo preoccupati) di fronte alla continuamente proclamata, ripetuta e strombazzata laicità del nostro Paese perché, pur non essendo giuristi, non ci sembra proprio che la laicità sia di casa in Italia, tanto nella vita quotidiana quanto nella legislazione, né che ci sia stato lasciato lo spazio necessario per poter modificare la situazione.

Da L’ATEO 5/2014