L’evoluzione delle società umane secondo Diamond

di Angelo Abbondandolo

 

Introduzione

Nel dicembre del 1835 novecento guerrieri maori, provenienti dalla Nuova Zelanda, sbarcarono nelle isole Chatham, situate 800 chilometri a est, e fecero schiavi i loro abitanti. Costoro cercarono di fermare gli invasori con offerte di pace e amicizia e perfino proponendo loro la spartizione delle loro risorse, ma per tutta risposta furono attaccati in massa dai maori, che li uccisero quasi tutti, cibandosi poi dei cadaveri. Come raccontò un sopravvissuto: «(i maori) iniziarono a sgozzarci come pecore … noi eravamo terrorizzati e cercavamo di darci alla macchia o di nasconderci in qualche buco sottoterra. Ma non servì a nulla: ci scoprirono e ci uccisero, uomini, donne e bambini indiscriminatamente».

Questa storia ce l’ha raccontata Jared Diamond, famoso fisiologo e biogeografo americano, in Armi, acciaio e malattie, un saggio sullo sviluppo delle società umane negli ultimi 13.000 anni (Diamond 1997). La tesi che vi si espone è, nelle parole dello stesso Diamond, che «i destini dei popoli sono stati così diversi a causa delle differenze ambientali, non biologiche, tra i popoli medesimi». Gli argomenti che la sostengono sono il frutto di moltissimi anni di studio dell’autore, a tavolino, ma soprattutto sul campo. Dopo 4 anni passati in Europa, Diamond ha trascorso i successivi 33 anni in Sudamerica, Sudafrica, Indonesia, Australia e, specialmente, Nuova Guinea, tutte aree del pianeta dove egli ha vissuto per lungo tempo a stretto contatto con le popolazioni locali, apprendendone i linguaggi e studiandone i costumi. Queste esperienze gli sono servite per maturare la sua risposta alla domanda: perché certi popoli sono rimasti all’età della pietra, quando altri hanno sviluppato società industriali complesse?

Io qui della vicenda dei maori ho riportato i fatti nudi e crudi, ma ci ritornerò alla fine dell’articolo per mostrare come essa illustri a meraviglia la teoria di Diamond. Che esistano enormi disuguaglianze tra i popoli è sotto gli occhi di tutti e dunque fuori discussione. Sono le spiegazioni delle disuguaglianze che non sono condivise da tutti. Queste spiegazioni sono tutte riconducibili a due sole teorie: la teoria delle differenze razziali, dunque differenze biologiche, del tipo: “gli aborigeni australiani sono rimasti cacciatori-raccoglitori perché sono meno intelligenti degli europei o degli americani”. L’altra teoria è quella di Diamond, che spiega le disuguaglianze con differenze ambientali, non biologiche.

Ognuno di noi, abituato alla più tradizionale teoria delle differenze razziali, fa una certa fatica ad accettare il punto di vista di Diamond, a meno che non gli vengano portate prove assolutamente convincenti. Diamond, che è uno scienziato, lo sa bene e dedica alla raccolta delle prove il suo impegno maggiore. Vedremo che la vicenda delle isole Chatham è un bell’esempio di “esperimento naturale di evoluzione storica”, che è il massimo che si possa richiedere in un campo in cui le prove sperimentali di laboratorio sono evidentemente escluse.

Era un obbligo per Diamond, che s’interroga sulle cause remote delle differenze attuali tra i popoli, partire dalle origini. Di questa sua introduzione trattengo soltanto alcune date essenziali riguardanti la diffusione del genere umano sul pianeta.

I primi reperti fossili di utensili, ancora estremamente rudimentali, risalgono a due milioni e mezzo di anni fa. Intorno a un milione di anni fa, l’uomo esce per la prima volta dall’Africa, culla del genere umano. La nascita dell’uomo moderno si fa risalire solo a circa 200.000 anni fa e il luogo di origine viene identificato in quella che è l’attuale Etiopia.

In quell’epoca gli uomini si erano già diffusi in gran parte dell’Asia e dell’Europa, ma le Americhe e l’Australia erano ancora disabitate. Il continente americano fu l’ultimo ad essere colonizzato, probabilmente verso la fine dell’ultima glaciazione. La via più semplice per raggiungere l’America dall’Eurasia è lo stretto di Bering, tra la Siberia e l’Alaska, e a partire da 14.000 anni fa la presenza umana è ben documentata nel nord dell’Alaska. Appena mille anni più tardi l’uomo ha già raggiunto l’estremo sud del continente americano. Prima di 10.000 anni fa, gli uomini avevano ormai colonizzato gran parte delle terre abitabili: tutti i continenti, salvo l’Antartide, e molte grandi isole, come la Nuova Guinea.

Il consumo delle risorse: le estinzioni degli animali

Le Americhe, prima che vi arrivassero gli esseri umani, erano popolate da mammiferi di grossa taglia, come i mammut al Nord, la capra di montagna del Grand Canyon, e poi elefanti, cavalli, leoni, ghepardi e persino cammelli e bradipi giganti nelle grandi praterie del West. Tutte queste specie si estinsero in un periodo che corrisponde all’arrivo degli esseri umani.

Si possono fare diverse ipotesi per spiegare queste estinzioni di massa, ad esempio i cambiamenti climatici: ve ne fu uno, imponente, proprio 13.000 anni fa, con la fine dell’ultima glaciazione. Ma, osserva Diamond, «perché i grandi mammiferi americani, sopravvissuti a ventidue ere glaciali, scelsero proprio la fine della ventitreesima per sparire all’unisono, alla presenza di uomini inoffensivi?». La sua risposta è che quegli uomini erano tutt’altro che inoffensivi e sterminarono nel giro di pochi millenni la megafauna americana per ricavarne cibo, pelli, e altri oggetti utili. Questa convinzione è avvalorata dal fatto che questa storia si è ripetuta, con le stesse coincidenze temporali, in altri luoghi.

Il mammut e il rinoceronte lanoso della Siberia si estinsero all’epoca dell’arrivo degli uomini, 20.000 anni fa. L’Australia e la Nuova Guinea, prima che l’Uomo vi mettesse piede, erano abitate da marsupiali giganti, come canguri e diprodonti grandi come rinoceronti, marsupiali carnivori simili al leopardo, grossi uccelli simili allo struzzo che arrivavano a pesare due quintali, serpenti e anfibi enormi. Di tutte queste grosse specie non rimane più traccia: gli ultimi fossili risalgono a 35.000 anni fa, poche migliaia di anni dopo la colonizzazione umana.

Si può muovere un’obiezione alla teoria di Diamond: perché non sono stati sterminati dall’Uomo anche gli animali dell’Africa e dell’Eurasia? Gli uomini, replica Diamond, avevano affinato le loro capacità di cacciatori gradualmente, nel corso di milioni di anni e gli animali avevano avuto tutto il tempo di adattarsi, in senso darwiniano, alla presenza di questa specie ostile e pericolosa: contemporaneamente alla crescente bravura dei cacciatori, che si andavano dotando di armi sempre più efficaci, cresceva l‘abilità delle prede di difendersi da loro. Ma in alcune terre, come la Siberia, le Americhe e l’Australia-Nuova Guinea, i cacciatori si trovarono di fronte ad animali che non avevano mai visto l’uomo prima, che non avevano imparato a temerlo e che ne diventarono per questo facile preda.

Un forte argomento a sostegno dell’idea di Diamond è che incontri sbilanciati tra abili cacciatori e prede impreparate si sono verificati in epoca storica e sono dunque ben documentati. Ne sono esempi gli incontri dell’uomo con il dodo dell’isola Mauritius, il moa della Nuova Zelanda, i lemuri giganti e l’ippopotamo pigmeo del Madagascar. È utile, ai fini della storia che sto per raccontare, ricordare ancora che in America i cavalli erano scomparsi in epoca preistorica, 13.000 anni fa e ricomparvero solo al seguito degli invasori europei.

La conquista del Nuovo Mondo da parte degli Europei

Il 16 novembre 1532, a Cajamarca, sulle Ande, il potente imperatore inca Atahualpa si trovò a fronteggiare il conquistatore spagnolo Francisco Pizarro, inviato nel Nuovo Mondo da Sua Maestà Cattolica re Carlo di Spagna. Pizarro si trovava in terre sconosciute, a capo di 168 soldati; Atahualpa aveva un esercito di 80.000 uomini e milioni di sudditi intorno a sé. Con queste cifre, il risultato di uno scontro tra spagnoli e inca sembrerebbe scontato, ma lo svolgimento dei fatti fu contrario ad ogni ragionevole previsione. Nella sintesi che ne fa Diamond «… pochi minuti dopo averlo incontrato, Pizarro fece prigioniero Atahualpa, lo tenne in ostaggio per otto mesi, durante i quali si fece consegnare il più spropositato riscatto della storia (circa 80 metri cubi d’oro!), e infine, rimangiandosi ogni promessa, lo fece uccidere». La cronaca di questi avvenimenti, scritta da testimoni oculari, è molto istruttiva. Vi si legge anche: «E sarà [la narrazione] a maggior gloria di Dio, perché essi [gli spagnoli] hanno conquistato e condotto sotto la nostra fede cattolica un così gran numero di pagani, con il Suo santo aiuto». È questo un piccolo esempio dell’idea che Diamond ha della religione come fonte di legittimazione delle guerre di conquista e, più in generale, delle istituzioni politiche.

Nell’agguato teso da Pizarro all’imperatore inca ebbero un ruolo determinante i cavalli: l’irruzione di questi animali sconosciuti gettò i guerrieri inca nel più profondo terrore; le armi degli spagnoli (i soldati avevano in realtà solo una dozzina di archibugi, ma avevano l’acciaio: spade e corazze) fecero il resto. Ed ecco una conseguenza dell’estinzione dei grandi mammiferi: i cavalli (loro malgrado) sono stati per secoli uno strumento bellico efficacissimo ma, come abbiamo visto, questi animali erano scomparsi in America 13.000 anni prima dell’arrivo degli spagnoli. I discendenti degli antichi abitatori del Nuovo Mondo non ne conservavano più memoria.

La superiorità militare non è la sola spiegazione della vittoria degli spagnoli. Prima dell’agguato di Cajamarca, l’imperatore regnante Huayna Capac e il suo erede erano morti per un’epidemia di vaiolo, portato dagli spagnoli a Panama e in Colombia, e la guerra di successione che si era aperta tra Atahualpa e suo fratello aveva fatto trovare agli spagnoli un impero in crisi e diviso. Ed eccoci al terzo ingrediente dello sviluppo delle società, oltre alle armi e all’acciaio: le malattie. Esse furono «uno dei grandi agenti della storia mondiale: un’epidemia di una malattia infettiva trasmessa da invasori relativamente immuni a popoli indigeni privi di difese» fece in tante occasioni di gran lunga più vittime della superiorità bellica.

Questo punto va spiegato meglio. I germi delle nostre malattie infettive sono quasi invariabilmente di origine animale. La vita a stretto contatto con gli animali domestici espose gli uomini al contagio di germi che inizialmente infettavano solo gli animali e che modificarono, per mutazione e selezione darwiniana, la loro specificità di ospite.

Una lunga storia di stretta coabitazione animale-uomo permise a quest’ultimo di adattarsi, darwinianamente, alle infezioni, attraverso la formazione di difese immunitarie e la selezione di individui geneticamente resistenti. Popoli vissuti in regioni prive di animali domestici rimasero privi di difese contro molte malattie infettive.

Dunque, c’è un legame tra suscettibilità alle malattie infettive e coabitazione uomo/animali. Questa coabitazione fu molto stretta e durò molto a lungo in diverse regioni dell’Eurasia, ma non in America, in Australia e in tante altre regioni che furono poi colonizzate dagli europei. Le ragioni le vedremo più avanti.

Dicevamo che «Morbillo, vaiolo, influenza, tifo, peste e altre malattie decimarono i popoli di interi continenti e furono potenti alleati degli Europei». Gli esempi sono numerosi. Gli aztechi furono decimati da un’epidemia di vaiolo portata dagli spagnoli. Le malattie portate dagli europei sterminarono il 95% degli indiani d’America. Fu il vaiolo ad annientare nel 1713 i boscimani del Sudafrica. E furono ancora epidemie importate dal vecchio Mondo ad uccidere gli aborigeni australiani a partire dalla fine del ‘700 e gli abitanti delle Figi, delle Hawaii, delle Tonga e di altre isole. La popolazione maya della regione centrale dello Yucatan, già in declino per altre cause, si ridusse da 30.000 a 3.000 individui nei due secoli successivi all’arrivo di Cortéz (1524). La popolazione di Hispaniola (Haiti), che contava 8 milioni di abitanti nel 1492, scomparve completamente in meno di 50 anni.

Dunque, d’accordo, furono “armi, acciaio e malattie” a permettere che pochi europei soggiogassero moltitudini di abitanti dell’America, dell’Africa, dell’Australia e di tante isole della Polinesia e Micronesia. Ma questo lo sapevamo già: perché gli inca furono sconfitti? Ma perché gli spagnoli avevano armi migliori, lo sanno tutti! Già, ma Diamond non si accontenta di conoscere quelle che chiama “le cause prossime”, lui vuol conoscere le cause remote che fecero sì che, nel 1500, gli spagnoli fossero bene armati e gli inca no: perché i fucili li inventarono gli europei e non i popoli del Centroamerica? Perché questi popoli non avevano anche loro inventato la scrittura, le grandi navi e un’organizzazione politica complessa? Nella sua operazione di ricostruzione storica, Diamond continua a spostare all’indietro nel tempo la ricerca delle cause. E questo lo porta a considerare la nascita dell’agricoltura come causa remota decisiva nella genesi delle disuguaglianze tra i popoli.

La nascita dell’agricoltura

I nostri antenati, da quando si separarono dai progenitori delle grandi scimmie, 7 milioni di anni fa, e fino a 10.000 anni fa, ricavavano il loro sostentamento dalla raccolta di erbe e frutti selvatici e dalla caccia. Erano, come si dice, dei “cacciatori-raccoglitori” e passavano in queste attività quasi tutto il loro tempo; inoltre tutti facevano tutto, non c’erano grandi divisioni di compiti.

La scoperta che era possibile produrre cibo piuttosto che cercare quello disponibile in natura fu una rivoluzione di straordinaria portata. Alcuni, in Europa e in Cina, ci arrivarono autonomamente; altri, come gli antichi egizi, copiarono le tecniche agricole dai loro vicini. Lo studio dei reperti fossili ha permesso di dare risposte piuttosto precise alla domanda principale: dove, quando e come nacquero l’agricoltura e l’allevamento? È un argomento di grande ampiezza, al quale Diamond dedica almeno sette capitoli del suo saggio. Limitiamoci qui a ricordare solo qualche punto.

Sono stati identificati cinque grandi centri di “domesticazione” di piante e animali: 1. La Mezzaluna Fertile, che comprende Mesopotamia, Levante e Antico Egitto (piante: grano, piselli, olivo; animali: pecora, capra; data più antica: 8.500 a.C.); 2. Cina (riso, miglio; maiale, baco da seta; prima del 7.500 a.C.); 3. Mesoamerica (mais, fagioli, zucca; tacchino; prima del 3.500 a.C.); 4. Ande e Amazzonia (patata, manioca; lama, cavia; prima del 3.500 a.C.); 5. USA orientali (girasole, chenopodio; nessun animale; 2.500 a.C.). Per altri quattro centri (Africa equatoriale occidentale, Etiopia, Nuova Guinea e Sahel, la fascia che attraversa l’Africa Centrosettentrionale dall’Atlantico al Corno d’Africa) vi sono molte incertezze.

L’agricoltura e l’allevamento comparvero quindi in poche aree del mondo, in tempi molto diversi e si diffusero poi o nel corso di invasioni o per apprendimento da popoli vicini. Il passaggio da cacciatori-raccoglitori a agricoltori-allevatori fu lungo e graduale e le due attività spesso vennero esercitate parallelamente. L’idea è che la scelta tra l’una e l’altra attività fosse frutto di una competizione: si diventava agricoltori-allevatori quando la raccolta e la caccia non erano più convenienti. Nella Mezzaluna Fertile, la diminuzione delle gazzelle, principale fonte di cibo per i cacciatori-raccoglitori, potrebbe aver spinto costoro a passare alla domesticazione degli ovini e al loro allevamento. Gli ultimi, pochissimi cacciatori-raccoglitori ancora viventi sono confinati in zone inadatte all’agricoltura, come i deserti e le regioni artiche.

Con qualche eccezione, la tendenza di passare dalla raccolta alla produzione di cibo è stata costante. Tra le cause, vi erano certamente l’impoverimento delle risorse naturali e la necessità di fornire cibo a popolazioni sempre più numerose: un ettaro di terreno coltivato riesce a fornire nutrimento ad un numero di contadini da 10 a 100 volte maggiore di quanto non riesca ad offrire un ettaro di terra vergine a dei cacciatori-raccoglitori. Gli animali, dal canto loro, facilitavano la produzione di cibo fornendo carne, latte o uova, concime e forza motrice per tirare aratri o trasportare derrate. Appare evidente che per abbandonare la caccia-raccolta in favore dell’agricoltura e dell’allevamento era essenziale che fossero disponibili sia piante sia specie animali domesticabili.

Ed eccoci ad un punto assolutamente critico: le piante e gli animali domesticabili erano distribuiti sul pianeta in modo assolutamente disomogeneo. Non posso descrivere in dettaglio la situazione — molto complessa e alla quale Diamond dedica molto spazio — per quanto riguarda le piante, ma posso facilmente riassumere con poche cifre la situazione riguardante gli animali.

La domesticazione degli animali

Su un totale di 148 mammiferi candidati per la domesticazione, e dunque progenitori degli attuali animali domestici, ne troviamo 72 in Eurasia, 51 nell’Africa subsahariana, 24 nelle Americhe e 1 in Australia. Le specie che si lasciarono effettivamente addomesticare furono, nelle quattro aree del mondo citate, rispettivamente 13, 0, 1 e 0.

Ecco dunque qual era la situazione 13.000 anni fa: in America non c’era che una sola specie domesticabile, il progenitore del lama (o alpaca), in più confinato alle sole Ande e inadatto all’allevamento in mandrie come i bovini e gli ovini. In Australia e in Africa non ve n’era nessuna. Ciò è particolarmente sorprendente per l’Africa, paradiso dei grandi erbivori: dopotutto, anche se in numero inferiore all’Eurasia, i mammiferi candidati alla domesticazione erano pur sempre tanti (51) ed alcuni strettamente imparentati con mammiferi che in Eurasia sono stati domesticati. Perché il cavallo sì e la zebra no? Si chiede Diamond. E suggerisce sei fattori, ciascuno dei quali può spiegare perché l’uomo ha fallito con ben 134 delle 148 specie candidate alla domesticazione, fattori che qui non possiamo guardare in dettaglio. Mi limito a citare la conclusione della sua indagine: il fallimento della domesticazione degli animali africani (ma anche del cervo e dell’alce in Eurasia, del bisonte americano e della pecora bighorn delle Montagne Rocciose) fu dovuto non ad incapacità degli uomini ma a caratteristiche degli animali. Per citare solo un paio di esempi: le quattro specie di zebre africane hanno tutte un pessimo carattere, mordono (senza mollare la presa) e non si lasciano catturare al lazo o cavalcare. Le gazzelle, per millenni prede preferite dei cacciatori della Mezzaluna Fertile, sono prese dal panico se costrette in un recinto e muoiono di paura o nel tentativo di saltare il recinto.

Le 14 specie domesticate nell’antichità — ricordiamolo ancora, su 148 specie candidate! — comprendono 5 specie a grande diffusione (pecora, capra, bue, maiale e cavallo) e 9 presenti in aree più circoscritte (dromedario, cammello, lama, asino, renna, bufalo asiatico, yak, banteg, mithan).

Ma è tempo di tornare alla storia dalla quale siamo partiti. I maori discendevano da agricoltori polinesiani che avevano colonizzato la Nuova Zelanda intorno al 1000 d.C.; alcuni si erano spinti fino alle Chatham. Nuova Zelanda e Chatham erano molto diverse dal punto di vista ambientale: le Chatham hanno un clima più freddo dell’Isola del Nord, da cui provenivano i maori, clima inadatto alle colture originarie maori. Gli abitanti tornarono dunque a fare i cacciatori-raccoglitori. Non aumentarono di numero e svilupparono una società pacifica, priva di armi e di tecnologie avanzate.

La Nuova Zelanda invece aveva un clima ideale per l’agricoltura dei maori, che crebbero di numero e svilupparono una società basata sulla divisione dei compiti (agricoltori, artigiani, burocrati, militari). Dunque maori e abitanti delle Chatham, provenienti dallo stesso ceppo etnico, presero strade assai diverse. Persero i contatti tra loro per 500 anni. Poi i marinai di una nave australiana di cacciatori di foche, sbarcati in Nuova Zelanda, raccontarono di aver visitato delle isole dove c’era abbondanza di pesci e molluschi, laghi pieni di anguille, frutti edibili, un vero paradiso. Gli indigeni erano pacifici e disarmati. Tanto bastò per stimolare i maori a prendere il mare.

Come avevo anticipato, questa vicenda offre un chiaro esempio di quanto l’ambiente naturale possa indirizzare l’economia, la struttura sociale, la tecnologia e la capacità militare di una popolazione. È un esperimento naturale, su piccola scala.

Le cause remote delle differenze tra i popoli

È tempo di tirare le somme. Il filo logico del ragionamento di Diamond, a grandi linee, e semplificando enormemente, è il seguente:

  • La produzione di cibo in alternativa alla caccia-raccolta è una scelta vincente che permette nella preistoria ad alcuni gruppi umani di incamminarsi sulla via dello sviluppo sociale e tecnologico o, come abitualmente si dice, della civilizzazione.

  • Questa scelta è resa possibile dalle condizioni ambientali: soprattutto dalla presenza di specie vegetali ed animali domesticabili, disomogenea nelle diverse aree del pianeta (per esigenze di spazio, ho fatto cenno solo alle specie animali).

  • La scelta della produzione autonoma del cibo dà “un vantaggio iniziale” a quei popoli che, per motivi geografici — non biologici — hanno avviato prima di altri questo processo.

  • Lo sviluppo di tecnologie di produzione e conservazione del cibo portano all’aumento della popolazione, che rende irreversibile la scelta di produrre autonomamente il proprio cibo.

  • Una popolazione più numerosa significa più invenzioni, maggiori scambi, velocizzazione dello sviluppo tecnologico.

  • Dapprima inconsapevolmente, l’uomo comincia a modificare a proprio uso e consumo piante e animali attraverso la selezione darwiniana.

  • Agricoltura ed allevamento non significano solo più cibo, ma anche materia prima per manufatti migliori: tessuti, reti, funi, fertilizzanti, forza motrice, mezzi di trasporto, armi, e poi abitazioni, imbarcazioni, mulini. Sono insomma il prerequisito per lo sviluppo tecnologico.

  • La vita a stretto contatto con gli animali domestici espone gli uomini al contagio di germi tipici degli animali, che modificano, per mutazione e selezione darwiniana, la loro specificità di ospite e passano dagli animali all’uomo.

  • Una lunga storia di stretta coabitazione animale-uomo permette a quest’ultimo di adattarsi alle infezioni (difese immunitarie, resistenze genetiche). Popoli vissuti in regioni prive di animali domestici, oltre a non godere del “vantaggio iniziale” per l’avvio verso lo sviluppo tecnologico, rimarranno anche privi di difese contro le malattie infettive. Scrive Diamond (The Third Chimpanzee, 1992): “Gli Europei conquistarono l’America e l’Australia non perché avessero geni migliori, ma perché avevano germi peggiori…”.

  • L’introduzione dell’agricoltura libera l’uomo dalla necessità di dedicare tutto il suo tempo alla ricerca del cibo. È l’inizio della stratificazione e della specializzazione: quando non tutti sono obbligati a procurarsi il cibo e vi è un surplus alimentare, questo può servire a mantenere strati sociali non produttivi (burocrati, governanti, militari, sacerdoti, ecc).

  • La stratificazione aumenta al crescere della popolazione e facilita la nascita di organizzazioni politiche sempre più complesse, egualitarie (bande, tribù), o non egualitarie (chefferies, Stati), in cui il potere decisionale viene trasferito nelle mani di pochi individui.

  • Col tempo, quei “vantaggi iniziali” legati a fattori geografici (capacità di un territorio di fornire sostentamento, materie prime, ecc.) diventano causa di grandi differenze a livello economico, sociale, politico, militare e tecnologico.

  • Queste differenze hanno reso possibili le grandi conquiste e l’assoggettamento di interi popoli da parte di altri popoli.

Luca e Francesco Cavalli-Sforza, nella introduzione all’edizione italiana del saggio di Diamond, scrivono: «Attingendo ai risultati di indagini finora scarsamente note al grande pubblico, Diamond riscrive la storia dell’uomo moderno, anzi dovremmo dire che la scrive per la prima volta, perché si basa su informazioni che solo di recente si sono rese disponibili, ma da cui non sarà possibile prescindere in futuro». La teoria che le diseguaglianze tra i popoli dipendano da differenze ambientali si oppone a quella che le farebbe dipendere da differenze biologiche. In tal senso, la teoria di Diamond è in accordo con la confutazione della nozione di razza fatta dalla moderna genetica. «Le teorie basate sulle differene razziali — dice Diamond — non sono solo odiose, sono soprattutto sbagliate». Una conclusione che, da genetista, condivido totalmente.

 

Bibliografia

Jared Diamond, Guns, Germs, and Steel. The fates of Human Societies, 1997. Trad. it.: Armi. Acciaio e malattie. Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni, Einaudi 1998

Jared Diamond, The Third Chimpanzee. The Evolution and Future of the Human Animal, Harper Perennial 1993, ripubbl. 2006.

 


 

Angelo Abbondandolo è stato professore ordinario di Genetica all’Università di Genova e ha svolto attività didattica e di ricerca in Italia e all’estero (L’Avana, Parigi, Edimburgo, L’Aia). Da quando è in pensione si dedica alla divulgazione di tematiche che riguardano la genetica e l’evoluzione. Ha scritto I figli illegittimi di Darwin per Nessun Dogma, il progetto editoriale dell’UAAR.

Da L’ATEO 3/2014