La laicità, non più invisibile

di Laura Balbo

 

Laicità è una parola che assai raramente si “incontra” — sui media, nei dibattiti politici o anche culturali, nel linguaggio della vita quotidiana. La cultura, e i soggetti della laicità, a lungo sono stati lasciati invisibili.

Forse un percorso di attenzione si sta avviando. E guardare ai segnali di questo possibile processo di cambiamento è qualcosa che, da laica appunto, e da sociologa, certo mi riguarda: si tratta di portare lo sguardo su dati che segnano istituzioni e strutture della società e su pratiche e scelte relative ai nostri percorsi di vita.

Forse, siamo a una svolta [1]. Scelgo alcune parole come possibili prospettive di approfondimento: “secolarizzazione”, “ateismo”, “modernizzazione riflessiva”.

Sulla “secolarizzazione” si hanno dati e analisi. Invece invisibilità, o assai scarsa visibilità, hanno le voci e i diritti di “atei” e “agnostici”. Quanto all’ultimo riferimento che propongo: penso possa essere utile riprendere l’approccio sociologico che sviluppa una lettura della società contemporanea come segnata dai processi della “modernizzazione riflessiva”.

E utilizzo — perché testimonia l’interesse, e però anche il ritardo con cui queste questioni emergono nel dibattito in Italia — un libro, La visione laica del mondo[2]: presenta un’articolata lettura dei processi che segnano la fase che stiamo vivendo. Va anche detto che — in una bibliografia di oltre 400 voci — non si trova neppure un riferimento ad eventuali fonti, su questi argomenti, nella letteratura italiana.

Sui processi della “secolarizzazione” abbiamo dati relativi ad una varietà di comportamenti, processi e cambiamenti nel tempo, messi in luce prevalentemente con l’approccio dell’analisi statistica. Per convivenze, matrimoni civili, divorzi si registrano da diversi anni numeri crescenti. Così anche per l’utilizzo di misure anticoncezionali e il ricorso all’aborto. C’è il tema dei diritti delle “coppie omosessuali”, che ha portato — non solo in Italia — a significative ridefinizioni del “matrimonio” e della “coppia”. Ci si è aperti, molto più di quanto fino a poco tempo fa si pensasse possibile, a nuovi “modelli di famiglia”.

Sono in calo i numeri relativi a battesimi e altre cerimonie religiose — cresima, prima comunione; e in un testo recente la presenza alla messa è definita “volatile” [3]. I dati relativi al numero di studenti iscritti nelle scuole cattoliche di vario ordine e grado sono in calo, e così le scelte relative all’otto per mille alla chiesa cattolica. E in una ricerca recente si dice che “si conferma una crescente indifferenza al modello di famiglia proposto dalla chiesa cattolica e si nota la sempre maggior diffusione di un modo alternativo di vivere il privato” [4].

Ancora, il dato relativo alla presenza di “religiosi” e “religiose” nel contesto italiano: un “crollo” dagli anni ’70 al presente [5]. Si tratta dei vari ordini (gesuiti, cappuccini, domenicani, francescani, salesiani, clarisse): 400.000 persone in meno. E le chiese: moltissime, nelle nostre città, quelle che rimangono del tutto chiuse o che sono aperte solo per brevi cerimonie. Erano i luoghi, e le occasioni, che la maggioranza della popolazione frequentava — fino ad alcuni decenni fa — per molte cerimonie: di presenza, di indottrinamento, di controllo dei propri comportamenti.

Adesso è diverso. E sono tutti segnali, e meccanismi, di profondi cambiamenti nel contesto in cui viviamo. Dovrebbero essere oggetto di ripensamenti, di iniziative. E ricordiamo che era stato il papa a portare lo sguardo su conventi e altri ambienti ormai vuoti, inutilizzati: nel discorso tenuto a Lampedusa, aveva suggerito che si utilizzassero quegli spazi. Ma questa possibile iniziativa di accoglienza è poi caduta nel silenzio.

Passando al secondo tema. Riferimenti a pratiche, forme di attività, diritti di “atei” e “agnostici” non si trovano che in rare occasioni, e in sedi particolari. In genere ciò che viene messo in luce è la contrapposizione tra “credenti” e coloro che non lo sono. Ritorno al volume di Cliteur che ho segnalato più sopra: parte dalla parola a-teismo (così suggerisce di scriverlo: è l’“alfa privativo” che viene messo al centro dell’attenzione) e ne presenta una lettura nei secoli passati e in diversi contesti: una dimensione “impopolare”, dice, nella storia dell’umanità.

Molto faticosamente — certo vale per il contesto italiano — viene alla luce la dimensione dei diritti di agnostici, atei, laici, come “liberi pensatori” e come “cittadini”: titolari appunto di diritti fondamentali. Questo, un dato che andrebbe collocato nelle analisi — ormai numerose, articolate — che descrivono i molti aspetti delle “diversità” nelle nostre società plurali: atei e agnostici come parte di, e soggetti o meglio “attori”, in una cultura di diversità riconosciute e legittimate. Dunque fare spazio a questa “componente” nella prospettiva del pluralismo in analisi e definizioni che includano le molte diverse dimensioni.

La terza chiave di lettura, con riferimento alla “modernizzazione riflessiva”, una prospettiva di analisi sviluppata in un ambito di studi specialistico (la sociologia) senza che fin qui siano state messe a fuoco le connessioni con i processi che ho richiamato più sopra. Da diversi decenni sono al centro dell’attenzione, nella ricerca sociale, dati di cambiamento nei comportamenti individuali e nella cultura, appunto, della “nostra modernità”: un filone di analisi, questo, sviluppato in particolare da Anthony Giddens (con riferimento a un periodo storico e a uno specifico ambito del nostro mondo, l’occidente, e a contesti come la Gran Bretagna e i paesi nordici, appunto caratterizzati da culture “laiche”).

Noi, donne e uomini, di diverse generazioni ed esperienze e progetti di vita: responsabili, capaci di elaborare le nostre opinioni, di rivedere posizioni e convincimenti. In grado di prendere posizione nelle diverse circostanze del nostro vivere.

Ancora Giddens: “attori sociali”. Siamo soggetti responsabili delle nostre scelte: una dimensione che dovrebbe arricchire l’osservazione e la lettura della nostra società, nella fase attuale e per il futuro. Soprattutto importante, non accettiamo di essere sottoposti ad “agenzie di controllo”, tantomeno di delegare ad altri scelte importanti.

Tornando al testo di Cliteur, riprendo qui la centralità che egli sottolinea parlando dell’ateismo appunto in questi termini: si tratta di mettere a fuoco condizioni storiche e soggetti che, nel contesto attuale, sono centrali, visibili, attivi. Viviamo in un contesto in cui, lo sappiamo, è richiesto un continuo aggiornamento delle conoscenze di cui si dispone, di collegare e incrociare punti di vista molteplici. Dunque i laici come soggetti che sanno aprirsi alla problematicità delle esperienze: in questa fase storica, con ruoli (e visibilità) particolari. I cambiamenti; le responsabilità.

In questa prospettiva si arriva a guardare alla dimensione della laicità come a un tratto centrale delle società contemporanee. I laici, non più una minoranza, un gruppo limitato, un elemento di disturbo o comunque anomalo nel quadro complessivo. “Attori” in una società in cambiamento: questo al centro. Dunque ricomporre un quadro che rifletta i processi in atto nel contesto attuale portando l’attenzione sui molteplici aspetti, e sulla laicità: appunto una dimensione che, in questi anni e nei prossimi, sarà centrale nel nostro vivere.

Questo insieme di dati e analisi potrebbe portarci a mettere in luce segnali di cambiamento anche in ambiti che né dai media, né nel dibattito politico e neppure, aggiungo, nei contributi delle scienze sociali in Italia sono stati finora adeguatamente considerati. Dunque a questo: guardare alla dimensione della laicità — le scelte, le esperienze, le pratiche — come a un dato centrale che segnerà il sociale negli anni che abbiamo davanti.

Sarebbe banale però pensare che consapevolezza e impegno coinvolgano tutti, indifferentemente; che riflessioni, convincimenti, progetti in questo ambito valgano allo stesso modo per le diverse componenti, generazioni, culture di appartenenza. Una parte della popolazione che si è allontanata dalle pratiche tradizionali potrà certo essere estranea, indifferente, rispetto alle questioni a cui qui si fa riferimento. Per altri si tratta di vivere e testimoniare una frattura rispetto al passato. Possono certo contare il contesto (familiare, e altro), i percorsi di formazione, le risorse culturali.

Certo differenti i percorsi delle diverse generazioni. Diversi gli approcci di donne e uomini, forse: non lo sappiamo.

Come si arriva ad analizzare criticamente credenze e convinzioni acquisite, a metterle in discussione. A vivere in uno scenario di molteplici, e radicali, processi di cambiamento. A essere parte di una società “plurale”, complessa.

Questi dati di cambiamento — non uniformi, non tutti prevedibili — come coglierli e approfondirli. C’è molto da capire, da aggiungere.

A questo punto, ancora: con quali iniziative e in quali direzioni procedere per aprire il discorso pubblico e la “cultura”, e l’esperienza della nostra vita quotidiana anche, alla dimensione della laicità. Non soltanto riuscire ad elaborare una prospettiva, uno sguardo, una chiave di lettura: si tratta di rendersi visibili come una componente attiva — e riconosciuta come tale — nella società degli anni futuri.

Note

[1] Mi limito qui a considerare i “laici” portando l’attenzione sullo spazio riservato, in Italia, alla religione cattolica; non affronto il dato — importante, è ovvio — della crescente presenza e visibilità di appartenenze e pratiche di altre tradizioni religiose.

[2] Paul Cliteur, La visione laica del mondo, Nessun Dogma, 2013.

[3] Maurizio Rossi ed Ettore Scappini, Possiamo ancora dirci cristiani? La volatilità della partecipazione individuale alla messa, in Polis, il Mulino, 3/2013.

[4] Questi dati, tratti dall’Annuario statistico del Vaticano, sono stati pubblicati nell’VIII Rapporto sulla secolarizzazione (novembre-dicembre 2012).

[5] Così, con riferimento all’Annuario statistico del Vaticano, in un articolo di Paolo Rodari su “Repubblica” nel giugno 2013.

 

Laura Balbo, presidente onoraria dell’UAAR, docente di sociologia in varie università, presidente dell’Associazione Italiana di Sociologia, parlamentare della Sinistra Indipendente e, per un breve periodo, ministro delle Pari Opportunità.

Da L’ATEO 2/2014