Solidarietà, non carità: cenni su associazionismo, volontariato e sussidiarietà laici in Italia dalla metà dell’Ottocento

di Valentino Salvatore

 

Secondo la vulgata corrente, la sussidiarietà e il volontariato sono concetti prettamente cattolici. Un’idea che ormai sembra scontata, complice l’influenza onnipresente della Chiesa nel nostro Paese. Tanto che, prendendo un testo generico ma di un certo successo dedicato al tema, si viene a sapere che “il principio di sussidiarietà ha origine nella dottrina sociale della Chiesa” [1]. In particolare, si fa riferimento all’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII (1891).

Ma le cose stanno un po’ diversamente. Nonostante il grande risalto dato alla carità cattolica nel corso dei secoli, possiamo parlare in Italia di “volontariato” nel senso attuale del termine, infatti, dalla metà del XIX secolo. Il movimento laico si diffonde in Italia sulla scia di altre esperienze all’estero, soprattutto in Francia, Gran Bretagna e Belgio [2]. Si dimentica che il forte attivismo nel sociale di opere pie e associazioni cattoliche fu piuttosto una risposta su vasta scala tesa ad arginare la diffusione dell’associazionismo di stampo laico. In tutte le sue sfaccettature: liberale, socialista, massonico e dei “liberi pensatori”. Un mondo attivo e variegato, che si fa portatore di valori diversi, schiettamente laici. Un senso di solidarietà e di cooperazione lontano da caratteri fideistici e pietistici, che punta a fornire strumenti concreti per la crescita intellettuale del popolo e per la difesa della sua dignità, anche nel lavoro. Un approccio opposto rispetto al paternalismo religioso e alla carità calata dall’alto tipici del periodo precedente, che tengono banco grazie al monopolio delle Chiese nel sociale. Ma che non risolvono gli squilibri sociali, né favoriscono la libertà di pensiero e la diffusione della cultura moderna.

L’associazionismo trova una sua cauta legittimazione nel Regno di Sardegna con lo Statuto Albertino del 1848, che concede il diritto di riunione. Inoltre, nonostante il cattolicesimo sia proclamato religione ufficiale, viene concessa l’emancipazione a valdesi ed ebrei. Il Piemonte, realtà socio-economica dinamica, è all’avanguardia in Italia. Governato da una borghesia cavouriana, vede l’emergere della classe operaia. È territorio ricco di fermenti rivoluzionari, si pensi all’influenza seppure in declino di Mazzini. Non a caso, si ha una certa diffusione delle società di mutuo soccorso, aggregazioni volte a sostenere i lavoratori e che garantiscono loro forme di protezione e solidarietà dove lo Stato latita e i diritti scarseggiano. Realtà che prima della diffusione del socialismo saranno gestite da elementi della borghesia, dai professionisti e da intellettuali.

Da non sottovalutare anche la portata simbolica della Repubblica Romana (1849), capeggiata da Mazzini e Garibaldi, che seppure per pochi mesi toglie al clero non solo il potere, ma anche il monopolio dell’assistenza proprio nella capitale della cristianità. Una recente ricerca [3] conta più di 300 associazioni non cattoliche attive nella provincia di Torino, dal 1848: senza caratterizzazione religiosa, massoniche, valdesi o ebraiche. Il dinamismo di queste realtà tocca molti campi, espressione di una società civile molto impegnata nell’educazione, nell’assistenza e nella solidarietà. In particolare i massoni, che fondano dormitori, asili notturni e case-famiglia per i poveri.

Le società di mutuo soccorso

La Chiesa fin da subito si mostra preoccupata dalle società di mutuo soccorso, che offrono agli operai una concreta alternativa alla socializzazione religiosa. E prova già a reagire, contrapponendo “una versione superficialmente rammodernata delle vecchie corporazioni, cioè società operaie fondate su un preminente scopo di edificazione religiosa e sulla beneficenza dei ricchi” [4]. Per il clero infatti queste realtà favoriscono la sovversione dell’ordine sociale “cristianamente corretto” e servono a mobilitare i ceti popolari nella lotta che lo Stato sabaudo ingaggia per abolire i privilegi ecclesiastici. Vengono accolti soci, come recitano gli statuti, a prescindere dall’orientamento religioso e politico, manifestando così una diffusa tolleranza: per questo sono tacciate di “indifferentismo religioso” e “socialismo” dai clericali.

Nelle società è diffuso il sentimento religioso, quindi non sono necessariamente ostili alla Chiesa e diverse si rifanno anche a principi vagamente “cristiani” laicizzati. Ma la linea intransigente delle gerarchie ecclesiastiche allontana le società operaie, che elaborano — specie tramite periodici quali La Gazzetta del Popolo e La Ragione — motivi polemici dal sapore anticlericale. È noto, infatti, come la Chiesa avversi le aspirazioni liberali, nonché di unità nazionale, e ostacoli l’emancipazione degli operai per difendere i propri privilegi. Da notare che le critiche arrivano anche per l’influenza scorretta esercitata tramite la beneficenza e la carità “pelosa”. Le società sono attive anche nella difesa della libertà di pensiero: ad esempio quando il noto polemista anticlericale Aurelio Bianchi-Giovini viene condannato alla galera per vilipendio alla religione, viene sostenuto tramite una petizione e nominato poi socio onorario.

Educazione

Altro campo importante è per l’associazionismo laico quello dell’educazione. Molte società di mutuo soccorso diventano anche “di mutuo insegnamento”. Con uno scopo didattico (a tratti moraleggiante), ispirato ai valori laici della borghesia progressista, che diventa un’alternativa all’indottrinamento pedissequamente religioso. Nasce una diffusa rete di scuole, come quelle serali e professionali, in cui sono esaltati valori del lavoro e dell’autonomia personale, del risparmio, del benessere. Con periodici quali Letture di Famiglia e Letture Popolari, nonché con una serie di opuscoli diretti alla gente comune, in particolare sullo stile del self-help di Samuel Smiles.

L’approccio degli opuscoli finisce per avere — anche involontariamente — un’impronta anticattolica: così sarà percepita e temuta dal clero. Verso la fine del secolo questi scritti veicolano la scienza e il positivismo, all’insegna dell’emancipazione dalla religione tradizionale, portando in Italia anche il darwinismo. Tutto ciò mal si concilia con un approccio religioso tradizionale, tanto che molti prelati muovono aspre critiche. Ad esempio, in una lettera pastorale del 1867, l’arcivescovo di Firenze, Gioacchino Limberti, ammonisce: la scienza che non pone Dio come “principio e fine” è “dannevole e perniciosa”.

Con la presa di Roma (1870), le ondate rivoluzionarie (in particolare la vasta eco della Comune di Parigi del 1871) e la diffusione dell’anarchismo e del socialismo verso la fine dell’Ottocento, prenderanno piede le società operaie socialiste. Dove sarà ancora più netto lo spirito d’emancipazione laica, orientato a ridefinire i rapporti di produzione e sociali e a difesa dei lavoratori che subiscono vessazioni. Le aggregazioni liberali e moderate saranno anch’esse stimolate, tanto che negli anni Sessanta si registra un’ulteriore crescita, ma alla lunga si verrà a creare una frattura con quelle socialiste. Nella quale s’insinuerà proprio l’associazionismo cattolico, di certo ben più rassicurante per le classi dirigenti.

Le società di mutuo soccorso danno vita ad una rete molto fitta d’iniziative quali corsi, scuole, nonché cooperative di consumo e vendita, cucine e case economiche, casse pensioni, distribuzioni di premi e svariate attività nel sociale. Non mancano scuole per ragazzi e adulti, corsi professionali aperti anche alle donne. Le società operaie saranno molto attive nella battaglia a favore dell’insegnamento elementare obbligatorio, spesso con un approccio pedagogico-patriottico à la De Amicis. Le iniziative d’insegnamento promosse da società operaie di mutuo soccorso contribuiscono al calo dell’analfabetismo in Italia, che passa dal 74,7% del 1861 al 61,9% del 1881.

Nascono associazioni per l’istruzione popolare, che affermano la loro neutralità su questioni politiche e religiose. Organizzano conferenze e corsi per il popolo, anche su tematiche laiche e anticlericali scomode. Dal canto loro i filantropi cattolici propugnano l’educazione religiosa allo scopo di “edificare” gli operai, rispolverando le formule del paternalismo e della salvaguardia dell’ordine voluto da Dio. Povertà compresa, che quindi va accettata passivamente. La letteratura popolare diffonde i principi dell’igiene, la ginnastica e le attività sportive con un approccio selfhelpista che punta alla disciplina di sé. I cattolici la contestano, perché in questo modo la vita è liberata da condizionamenti metafisici e trascurata la spiritualità. Il cattolico Marcellino Venturoli, tra gli esponenti dell’associazionismo legato alla Chiesa, criticherà nel 1876 il “monopolio” dei razionalisti sull’insegnamento, “libero di falsare la morale a danno delle verità religiose, alterare la storia in odio alla Chiesa, insegnare ai giovinetti un’igiene che fa inclinare alla sensualità”.

Biblioteche popolari

Un contributo alla diffusione della cultura laica lo daranno poi le biblioteche popolari, anche itineranti. Le prime sono di stampo moderato, ma hanno una massiccia diffusione grazie all’impegno del Partito Socialista, delle logge massoniche e dei gruppi del libero pensiero (anche con biblioteche definite “razionaliste” e specializzate nella raccolta di testi anticlericali e antireligiosi). Alcune biblioteche suscitano la forte ostilità delle autorità ecclesiastiche, soprattutto dopo la soppressione delle raccolte di libri nei conventi.

Dopo la pionieristica iniziativa di Benjamin Franklyn in America, le biblioteche popolari si diffondono nella seconda metà dell’Ottocento in Olanda, Belgio, Germania, Inghilterra, Scandinavia. In Francia sono molto attivi ambienti vicini alla massoneria, che creano una rete capillare di bibliothèques populaires. Queste iniziative sono legate anche alla lotta per la scuola pubblica laica, come dimostra l’attivismo dello scrittore massone Jean Macé, fondatore della Ligue française de l’enseignement. In Italia la prima efficiente biblioteca popolare è a Prato nel 1861. Si svilupperà quindi un movimento di carattere nazionale, col sostegno congiunto di moderati, liberali, cattolici, laici, nonché di giornali ed editori. Nel 1872 le biblioteche censite sono 500. Aperte anche strutture femminili, tra cui quella promossa a Venezia da Gualberta Adelaide Beccari, direttrice del periodico laico La Donna. Nel 1867, su esempio della rete creata in Francia da Macé, nasce a Milano una società promotrice di biblioteche popolari, sostenuta da Luigi Luzzatti.

Leghe per l’istruzione

Dal 1870 nascono in Italia le leghe per l’istruzione del popolo, dal deciso carattere laico, complice la presa di Roma e sulla scia delle Ligues francofone. Queste leghe sono formate da circoli, associazioni, società operaie di mutuo soccorso, cooperative, ma anche da banche popolari di credito, nonché logge massoniche. Affiancano l’opera delle amministrazioni locali, ad esempio segnalando i bambini che sfuggono all’obbligo scolastico previsto dalla legge Casati. Forniscono un valido supporto per combattere l’analfabetismo e promuovere l’istruzione professionale, con corsi e conferenze. Sono coinvolti anche esponenti dell’aristocrazia e della borghesia, nonché intellettuali.

La lega bolognese ad esempio istituisce una biblioteca circolante, un asilo-giardino, una scuola professionale di disegno, di contabilità commerciale, lezioni pubbliche serali di storia naturale, chimica, igiene, economia e storia (toccando anche argomenti imbarazzanti per la Chiesa, come Arnaldo da Brescia e Cola di Rienzo). Nella lega mantovana (1874) ci sono per la prima volta scuole miste per uomini e donne, sull’esempio degli USA. Alla lega romana (1875) aderiscono direttori e collaboratori di giornali moderati e progressisti (L’Opinione, La Libertà, Il Popolo Romano) e i massoni, con l’ausilio di diversi professori presieduti da Pietro Blaserna, rettore dell’Università di Roma.

A dimostrazione della forte ostilità della Chiesa verso queste leghe, basti citare alcuni articoli sulla rivista dei gesuiti, Civiltà Cattolica, del 1882 [5]. Si parla della “lega d’insegnamento anticristiano” che va diffondendosi in Italia e se ne spiega con preoccupazione il funzionamento. La lega opera in tre modi: con biblioteche circolanti che “riescono a spopolare di lettori le biblioteche cattoliche”; con le conferenze su argomenti scientifici, storici e d’altro tipo tenute da illustri docenti, incaricati di spostarsi; con la fondazione di scuole popolari. Il tutto per “l’apostasia della ragione dalla Fede e della scienza da Dio”: discorsi molto simili a quelli che fa oggi Benedetto XVI, criticando l’insegnamento e la scienza svincolati da dogmi religiosi e dall’apologia. E i gesuiti snocciolano anche dati: in Francia si contano 640 biblioteche popolari, oltre a 195 per militari e 71 per istitutori, con opere di Voltaire, Rousseau, Sand, Quinet, Victor Hugo. Solo nel 1877, vengono distribuiti ben 328.000 volumi. Sono attive inoltre 1903 scuole non religiose, istituite con un fondo chiamato “Denaro delle Scuole Laiche”: “ad empia imitazione del Denaro di S. Pietro”, ruggisce Civiltà Cattolica. Le lega belga è fortemente attiva nel promuovere l’istruzione laica, gratuita e obbligatoria per arrivare, scrivono i gesuiti, alla “tirannica imposizione, per parte dello Stato, di un insegnamento e di una educazione senza Dio”.

Il carattere laico delle leghe si manifesta in “due loro motivi essenziali”. Ovvero, da una parte, con una “affermata neutralità” rispetto alle questioni religiose. Dall’altra con le conferenze dove si esaltano principi ed “eroi” della modernità, “lasciando nell’oscurità o mettendo in ispregio i meriti dell’antica società cristiana”. Ecco quindi la soluzione proposta su Civiltà Cattolica contro la “micidiale attività” della lega, che intende “schiantar la fede dal cuore del nostro popolo e della nostra gioventù”. I cattolici devono fondare le loro leghe per l’insegnamento, biblioteche popolari e scuole cattolicamente orientate, proprio prendendo spunto dagli avversari e dando slancio a quelle già esistenti ma fiacche (come la Lega Daniele O’Connell, fondata nel 1875). Anche Pio IX si scaglierà contro le iniziative di insegnamento laico, uscite dalle “venefiche fonti della Massoneria”, cui seguiranno gli strali di Leone XIII.

Tra le più diverse associazioni, ci sono anche quelle per promuovere il diritto di famiglia. Come la Società dei diritti civili dei coniugi e dei figli di Palermo (1876), che fa opera di sensibilizzazione per invitare le coppie a sposarsi anche civilmente, in modo da registrare ufficialmente il matrimonio. In molti casi infatti ci si sposa solo in chiesa, perché si ritiene “vero” solo quel tipo di nozze: complice anche il basso clero, che inizialmente mostra un atteggiamento ostile. Accanto alle iniziative dei moderati emerge dagli anni Sessanta dell’Ottocento il movimento del “libero pensiero”, col suo deciso anticlericalismo. Si diffonde in molte città dagli anni Sessanta e pubblica la rivista Il Libero Pensiero diretta da Luigi Stefanoni. Tra le attività, promuove associazioni per i funerali civili e per la cremazione. In particolare la cremazione viene osteggiata dalla Chiesa, perché collegata ai riti precristiani e perché toglie il monopolio delle celebrazioni ai sacerdoti. Tale pratica è promossa per motivi igienici e urbanistici ma anche contro i pregiudizi religiosi.

Il primo caso di cremazione nell’Italia contemporanea è molto probabilmente quello del poeta (nonché tra i pionieri dell’ateismo contemporaneo) Percy Bysshe Shelley, nel 1822. Il suo corpo viene ritrovato sulla spiaggia, nei dintorni di Viareggio, e cremato da George Byron. Il movimento cremazionista, sviluppatosi dagli anni Cinquanta, avrà una certa diffusione. Tanto che nel 1867 verrà presentato alla Camera, sebbene senza successo, un progetto di legge sulla cremazione. La prima società di cremazione nacque a Milano nel 1876. Seguirono nel 1883 a Cremona e Brescia, nel 1884 a Padova, Udine, Varese, Novara, Firenze, Livorno, nel 1886 a Pisa, nel 1882 ad Asti, Sanremo e Torino, nel 1888 a Mantova e Verona, nel 1889 a Bologna, nel 1890 a Modena, nel 1892 a Venezia, nel 1894 a Spoleto, quindi a Perugia, Bergamo, Monza, Genova, Savona. Col tempo, migliaia di persone l’anno saranno cremate, soprattutto cittadini colti e non cattolici, ma anche donne. A Torino è inaugurata una struttura per le cremazioni nel giugno del 1888, alla presenza di tutte le autorità. Ce ne sono anche a Roma, Torino, Milano e Venezia.

Il senso di solidarietà si esprimerà anche nella costituzione di associazioni per le onoranze funebri, per rendere omaggio ai compagni defunti, ma senza cerimonie cattoliche. Tali aggregazioni, con una forte presenza massonica, saranno attive per celebrare degni funerali agli affiliati e per rispettarne le volontà, ad esempio tutelandoli da intrusioni pretesche in punto di morte. La prima si formerà nel 1857 a Bruxelles. Per questo saranno oggetto anche di insulti da parte degli integralisti. Un giornale cattolico ad esempio bollerà come “orgia massonica” il suggestivo funerale di Pierre-Théodore Verhaegen, deputato liberale nonché figura importante nella creazione dell’Università Libera di Bruxelles nel 1834 [6]. Si costituiscono associazioni per “battesimi civili” (simili alle più recenti pratiche del baby naming). Uno dei primi battesimi civili si svolge nel 1866 a Milano e un altro l’anno dopo a Lodi, dove un padre impose alla figlia il nome Ragione. La pratica avrà una certa diffusione in quei decenni negli ambienti anticlericali, tanto da essere oggetto d’ironia da parte del poeta romanesco Trilussa in un sonetto del 1912.

Ricreatori

Le realtà laiche s’impegnano anche nell’apertura di strutture assistenziali e ricreative, tra cui i cosiddetti (infelicemente) “oratori laici”, nel mondo francofono patronages laïques e in Italia detti anche “ricreatori”. Ovvero delle strutture che ospitano bambini e ragazzi durante il tempo libero, per attività sportive ma anche educative o di svago, senza alcun connotato clericale. A Roma, ad esempio, esistono dei “ricreatori popolari“, uno istituito nel maggio del 1889 su iniziativa di alcuni insegnanti di scuole comunali legati all’associazione del libero pensiero “Giordano Bruno”. Per “accogliere nei giorni festivi i giovanetti del popolo, togliendoli ai pericoli delle strade e delle cattive compagnie, per trattenerli in salutari dilettevoli giuochi e curarne in pari tempo l’educazione del cuore e della mente” [7]. Ce ne sono anche nei quartieri popolari di Roma, come Trastevere e Testaccio. Dove sono organizzati servizi per il trasporto di malati e dei feriti agli ospedali, case ricovero per gli sfrattati, comitati per la refezione scolastica e per le madri povere con neonati, che distribuiscono pasti gratuiti. A Genova esiste il ricreatorio “Victor De Scalzi”, ente morale dal 1909 e istituito con un fondo di 200.000 lire dell’epoca tramite un legato dello stesso benefattore a cui è intitolato. L’uomo fa fortuna in America ed è “indefesso propagandista del pensiero e del sentimento anticlericale”, nonché massone. La struttura viene inaugurata nell’ex chiesa di Sant’Agostino, immobile ceduto dal municipio di Genova. A Milano poi ci sono nove ricreatori laici nel 1923; altri a Udine e Grosseto. Ma strutture di questo tipo sono diffuse in tutta Italia, soprattutto al Centro-Nord e nelle grandi città.

Non va dimenticato che le associazioni laiche sono all’avanguardia anche nel promuovere l’emancipazione femminile. Lo fanno ad esempio con corsi, leghe per l’istruzione, società di mutuo soccorso e attività di formazione professionale. Proprio per inserire le donne nel mondo del lavoro e accrescerne la cultura, facendole uscire dai rigidi limiti imposti dalla tradizione religiosa. Emblematico il caso del deputato pugliese Salvatore Morelli, che critica la passività e l’ignoranza instillate dalla religione nelle donne. Pioniere d’iniziative laiche, avanzerà proposte per introdurre il divorzio, estendere il voto alle donne e riformare il diritto di famiglia per sancire la parità tra i coniugi.

Con questi esempi si è cercato di dare un’idea molto generale di quanto fosse ricco e al passo coi tempi il panorama del volontariato e della sussidiarietà laici dalla metà dell’Ottocento in poi. Tanto da rivaleggiare con quelli cattolici, ma allo stesso tempo con caratteri diversi per i valori progressisti che promuovono. Poi, complici gli accordi tra i cattolici e i liberali verso la fine dell’Ottocento, suggellati dopo anni di corteggiamenti nell’emblematico “patto” Gentiloni (1913), lo spazio di manovra delle realtà laiche andrà diminuendo. I clericali guadagneranno terreno: sarà soprattutto l’avanzata del socialismo che porterà gli eredi della vecchia classe liberale a schierarsi con la Chiesa, con uno stallo sul fronte della laicità. Il colpo di grazia lo darà il fascismo, con gli attacchi, la repressione e quindi scioglimento forzato delle associazioni scomode. Quelle laiche saranno travolte, nonostante diverse si fossero illuse della “laicità” del fascismo: ma il regime raggiungerà, nonostante le forti contrapposizioni, un modus vivendi con quelle cattoliche e con la Chiesa.


 

Note

[1] Giulio Marcon, Come fare politica senza entrare in un partito. Feltrinelli, Milano 2005, p. 47.

[2] In particolare per il Belgio, è utile per gli spunti Philippe Grollet, Laicità, utopia e necessità, Ed. L’Avvenire dei Lavoratori, Zurigo 2008, traduzione italiana a cura di Vera Pegna e Silvana Mazzoni.

[3] Enrico Miletto, Marco Novarino, “… Senza distinzione politica e religiosa”. Repertorio bibliografico e archivistico sull’associazionismo laico a Torino e provincia (1848-1925), Centro Studi Piero Calamandrei, Torino 2011.

[4] Guido Verucci, L’Italia laica prima e dopo l’Unità. 1848-1876. Laterza, Roma-Bari 1996, p. 41.

[5] La lega cattolica dell’insegnamento in Civiltà Cattolica, a. XXIII, vol. XI, 2 settembre 1882, pp. 513-527, nonché Relazione dell’operato della Primaria Associazione di S. Carlo per la diffusione della buona stampa dalla sua fondazione ad oggi (Roma 1881) e Relazione annuale della Primaria Associazione di S. Carlo per la diffusione della buona stampa in Roma (Roma 1881), ivi, pp. 450-458.

[6] http://www.academia.edu/11639347/Sur_les_rites_fun%C3%A9raires_de_la_fra…

[7] Anticlericali e laici all’avvento del fascismo, a cura di Aldo A. Mola, ristampa anastatica dell’Almanacco Civile 1923 dell’Associazione nazionale italiana “Libero Pensiero – Giordano Bruno”, Ed. Bastogi, Foggia 1986, p. 111.

Da L’ATEO 2/2012