La scommessa di Pascal, riveduta e corretta

di Andrea Frova

 

Nous marchons aveuglés
par les religions puériles et folles,
inventées par nos pères contre
la terreur de l’immense inconnu.

(Guy de Maupassant, 1850-1893)

 

 

Nel mio libro il Cosmo e il Buondio, gli scienziati di tutti i tempi vengono convocati da MisterO – alias Buondio o Onnipotente – perché lo aiutino a trovare il modo di impedire una catastrofe che è sul punto di colpire la Terra. MisterO approfitta per spiegar loro che lui non esiste, o perlomeno che non esiste ai fini delle loro vite, effimere e contingenti. Riporto un breve stralcio del dialogo, là dove si parla della “scommessa” di Pascal. Può valer la pena di elaborare un poco l’argomento. Nella mia versione originale, prima dell’intervento censorio della casa editrice, MisterO, dopo aver ascoltato la concezione dell’universo espostagli da Cartesio, sbotta:

ONNIPOTENTE: … Quest’analisi del signor Cartesio è pittoresca, ma manca di concrete giustificazioni.

CARTESIO: Era difficile spingersi più avanti. Anch’io, come Copernico, mi sono preoccupato di presentare la mia visione come qualcosa di ipotetico e vago, non corrispondente di necessità alla realtà delle cose. Anche perché con la Chiesa occorreva prudenza, la fine di Bruno aveva paralizzato tutti gli scienziati …

ONNIPOTENTE: È mai possibile che voi umani, con quel cervello che vi ha collocato al di sopra di tutto, non abbiate saputo far trionfare la ragione e i suoi valori, la sua legge morale, la sua forza, lasciandovi sopraffare dalle chimere delle religioni?

CARTESIO: In tutta sincerità, io stesso ho assai dubitato di essere nel giusto. Come è stato con le prove dell’esistenza di Dio.

GALILEI: Nondimeno ci si è avventurato. Come ha potuto credere in qualcosa di cui non possedeva alcuna evidenza, lei che, proprio come me, si è detto convinto che l’uomo deve farsi guidare dall’esperienza e dalla ragione?

CARTESIO: Posso spiegare. Lei sa bene cosa significhi schierarsi contro un credo dogmatico. Io non sono mai stato un eroe, non volevo correre il rischio che la mia filosofia aderente ai fatti – esperienza, analisi critica, ragione, evidenza, verifica, rifiuto delle nozioni fantastiche e campate in aria, dunque una filosofia molto vicina alla sua, monsieur Galilei – potesse pormi in luce di eresia. Così feci la scelta, come uomo, di aderire ai costumi, conservando la religione tradizionale e seguendo le opinioni moderate, e fui assai più prudente di lei nel pubblicare le mie concezioni.

GALILEI: Eh via, formulare prove di ciò di cui si dubita!

CARTESIO: Le prove dell’esistenza di Dio in qualche modo mi servirono da salvacondotto. D’altra parte, giova ribadirlo, al mio Creatore non attribuii ruoli attivi né nell’evoluzione dell’universo, né nelle nostre vite individuali, proprio come quell’Essere che qui, ora, si sta svelando a noi.

ONNIPOTENTE: Sotto certi aspetti, lo ammetta, signor Cartesio, lei si è rivelato un opportunista.

BINETTI: Un po’ come Blaise Pascal.

ONNIPOTENTE: Blaise Pascal?

BINETTI: Avrà sentito della sua “scommessa” se credere o non credere in Dio. Disse che se scegliamo di comportarci come se ci fosse un Dio e, arrivati alla fine, scoprissimo che non c’è, non sarebbe un gran problema. Ma se facciamo la scelta opposta, e alla fine risultasse che invece Dio esiste, perderemmo la beatitudine eterna. Dunque la strategia migliore per Pascal è vivere come se Dio esistesse. D’altronde, è così che ragiona la maggioranza dei credenti.

ONNIPOTENTE: Davvero gustosa, questa “scommessa”! Ma se Noi fossimo come il Dio che gli uomini si sono figurato, e dovessimo quindi comminare pene e beatitudini eterne, cominceremmo col dannare quel genere di credenti, poiché hanno fatto una poco nobile scelta di convenienza.

Qui il discorso si sposta su altri temi, ma soffermiamoci un attimo a meditare sulle parole di MisterO e chiediamoci fino a che punto sono una semplice boutadeo un’ovvia e sacrosanta verità. È il caso di chiedersi prima di tutto qual è il vero significato della parola “ateo”. “Ateo è colui che nega l’esistenza di Dio”, direbbe la maggioranza dei credenti interpellati, a cominciare dal prete che ha firmato l’attestato della mia cancellazione dal gregge dei battezzati. Eh, no, non è così: negare l’esistenza di Dio sarebbe un tremendo peccato di presunzione, che abbasserebbe l’ateo allo stesso livello del credente, cieco seguace di dogmi più o meno antichi e insensibile al dovere, in quanto animale dotato di una mente pensante, di sondare a fondo la realtà che lo circonda. Negare l’esistenza di Dio è solo poco meno grave che affermarla. Ateo è invece colui nella cui vita non entra Dio, colui che affronta ogni problema facendo uso della ragione e del sentimento, assumendosi direttamente la responsabilità delle sue scelte: “il cielo stellato sopra di noi, la legge morale dentro di noi”. E se per caso la sua scelta non è stata giusta, paga di persona, senza il conforto dell’assoluzione che il prete sarebbe pronto a impartirgli, sia egli realmente pentito o meno. Il prete è lì per quello.

Non è un caso che la grande maggioranza dei pensatori e degli scienziati – soprattutto i fisici e i biologi che più vengono in contatto con le vicende della natura e della vita – siano atei. Ed è così fin dall’antichità e fin dall’antichità questo coraggio non gli è stato perdonato: la storia è piena di liberi pensatori che sono stati esiliati, torturati, o soppressi. Atei nel senso, voglio ribadirlo, di non porsi questioni che non possono trovare risposta, quale quella dell’esistenza del soprannaturale; e di affrontare invece i problemi nei loro contenuti tangibili. È la lezione di Galileo, grande pensatore laico e pragmatico, che purtroppo, per le note circostanze storiche, la Chiesa cattolica, che lo umiliò e condannò, cerca oggi più che mai di far passare per un sincero credente. Ed è la lezione più recente di Margherita Hack, una delle poche persone atee che per la sua cordiale semplicità e tolleranza ha goduto anche del rispetto dei credenti.

A questo punto viene da chiedersi, ma come può il cervello sommo di un Blaise Pascal non aver capito che, se un Dio veramente esistesse e se fosse il signore giusto e misericordioso che le religioni ci propongono, riserverebbe il premio a chi ha avuto il coraggio di pensare con la sua testa, di assumersi scomodi oneri morali, di agire per il bene in sé e non perché utile a cumulare punti per il paradiso? E che invece premierebbe quanti hanno mortificato l’altezza della loro mente adattandosi a vivere come esseri acefali, che hanno scelto, nel gestire i rapporti con i loro simili e con l’ambiente, la via più facile e meno responsabilizzante?

Il caso di Pascal non è certo unico, la sua scommessa la fanno in tanti. La risposta può solo essere una e cioè che anche Pascal era vittima di quel virus, la religione, che viene iniettato nelle menti immature dei bambini. Se non si ha la fortuna di saper giungere al fondo delle cose, vuoi per mestiere, vuoi per capacità naturali, quel virus rimane nel sangue per tutta la vita e blocca a prioriogni pensiero che potrebbe sollevare dei dubbi. Consentendo di vivere di illusioni e di eludere un’infinità di problemi, a cominciare da quello della nostra limitata sopravvivenza. Ma facendo perdere di vista, nel contempo, i veri valori e i veri contenuti dell’esistenza.

Rovesciamo allora una buona volta la scommessa di Pascal e diciamo: sono ateo perché avverto il pudore di apparire, agli occhi delle persone che stimo, ma soprattutto a me stesso e all’ipotetico Dio, un opportunista che non osa affrontare la vita per quello che è: una contrapposizione tra il bene e il male, dove in ogni momento ho il dovere di schierarmi da una parte o dall’altra in modo responsabile, senza nascondermi dietro miti e valori fittizi. Tenendo ben presente che, se il mondo ha fatto a meno di me per tanto tempo prima del mio arrivo, non avrà difficoltà a tirare avanti dopo che ne sarò uscito. Perché, se qualche Dio che si mischia nei nostri affari ci fosse per davvero, sono certo che ci giudicherebbe per le cose che abbiamo saputo affrontare e non per quelle che abbiamo vilmente eluso.

 

————————

 

Andrea Frova è stato professore ordinario di Fisica generale presso l’Università di Roma “La Sapienza”. Ha scritto numerosi lavori scientifici e testi nel settore della Fisica della materia, ha studiato i collegamenti tra musica e scienza, ed è autore di numerosi testi di divulgazione scientifica tra cui ricordiamo Perché accade ciò che accade (2003), Se l’uomo avesse le ali (2007), Bravo Sebastian (2008), Il Cosmo e il Buondio (2009), La scienza di tutti i giorni (2010).