Dèi capricciosi e sacrifici cruenti: l’uso e l’abuso della natura

di Enrica Rota

Chiunque riesca a farti credere
qualcosa di assurdo
riuscirà anche a farti commettere
qualcosa di atroce.”

(Voltaire)

 

 

C’è modo e modo di usare la natura e di tentare di piegarla al nostro volere…

Bariyapur, Nepal: in questo villaggio si svolge, ogni cinque anni, la più grande festa religiosa sacrificale al mondo, dedicata alla divinità indù Gadhimai. Nel corso di un mesetto vengono qui ogni volta sterminati a colpi di “machete” circa 300.000 animali: bufali, soprattutto, ma anche capre, pecore, polli, piccioni e topi. Un carnaio. Il governo indiano non permette questo tipo di cerimonie cruente e dunque i fedeli vanno a farle nel Nepal. L’ultimo “festival” si è svolto nel 2009, fra le proteste degli animalisti e i tanto accorati quanto futili appelli rivolti al presidente del Nepal da parte di molte persone sensibili, fra cui anche Brigitte Bardot. Il prossimo “appuntamento” sarà nel 2014, con copione invariato.

Mecca, Arabia Saudita: anche qui, però con cadenza annuale, in occasione dello Hajj, cioè del sacro pellegrinaggio islamico, vengono sacrificate ritualmente migliaia di animali, soprattutto pecore e cammelli; contemporaneamente simili sacrifici vengono anche eseguiti dai musulmani residenti in tutti i Paesi del mondo. Il prossimo Hajj si svolgerà ad ottobre 2013 (precisamente dal 13 al 18).

Si può essere sicuri che dietro a questi eventi, come dietro a qualsiasi fenomeno religioso di massa, c’è chi tira le fila, se ne approfitta, ci mangia sopra … Ma non polemizziamo già fin dall’inizio.

A volte le cose possono sfuggire un po’ di mano, come accade per esempio nelle Filippine: qui ogni anno, in occasione della Santa Pasqua, molti fedeli si fanno crocifiggere, e non soltanto per finta, cioè facendosi legare alla croce con delle corde, come ancora a volte avviene nei Paesi cattolici in occasione di alcune “sacre rappresentazioni”, ma per davvero, con i chiodi, magari anche dopo essersi auto-flagellati un po’ per buona misura. E ce ne sono alcuni che ormai ci hanno preso gusto e lo fanno tutti gli anni. Comunque, niente paura! Dopo una decina di minuti sulla croce i “penitenti” vengono fatti scendere e debitamente curati, tra il plauso degli spettatori entusiasti. Da parte loro, le autorità ecclesiastiche disapprovano, almeno a parole. Invano. La devozione dei fedeli è tale che non c’è niente da fare, non c’è modo di fermarli.

Il sacrificio è sempre stato parte integrale delle religioni: da Abramo, che sacrificava Isacco, ai greci e ai romani, che immolavano animali di ogni specie, ai fenici, che pare sacrificassero vite umane, ai pre-colombiani, che facevano fuori un po’ di tutto, bambini inclusi, per arrivare al rito cristiano dell’eucaristia che, seppur in forma simbolica e “sublimata”, altro non è che un sacrificio cruento, che contiene fra l’altro tutti gli elementi del cannibalismo – un “pasto totemico”, per dirla con Freud, nel quale i fedeli si mangiano il dio (“corpo e sangue” – ugh!!!).

Riguardo al ruolo svolto dal sacrificio nelle varie religioni in quanto metodo per ingraziarsi la divinità ed ottenerne i favori e quindi, in ultima analisi, come strumento di dominio sulla natura resta ancora validissima l’analisi fatta da Feuerbach nella sua (per quei tempi) rivoluzionaria opera L’essenza della religione: di fronte a una natura ostile o, come minimo, leopardianamente indifferente, l’uomo innanzitutto la personifica e la anima di sentimenti umani, proiettando su di essa la propria psicologia – ed ecco sorgere le varie divinità, da quelle primitive dell’animismo (il dio del fiume, il dio della pioggia, ecc.) fino a quelle più “spirituali” e astratte (ma non per questo meno ingenue) come il dio monoteista; una volta umanizzata, o – cosa equivalente – deificata, la natura non ci appare più così ostile e si può pensare di poterla piegare alla nostra volontà utilizzando mezzi tipicamente umani, come quelli che usiamo per accattivarci i nostri simili: suppliche, preghiere, implorazioni, doni … ed ecco il sacrificio come “captatio benevolentiae” o, più prosaicamente, come metodo un po’ subdolo e strisciante per arruffianarsi la natura ed ottenere da essa ciò che si vuole.

Scriveva Feuerbach: «A fondamento del sacrificio è il sentimento di dipendenza – il timore, il dubbio, l’incertezza sull’esito, il rimorso per un peccato commesso – ma il risultato, il fine del sacrificio è la fiducia in se stessi – il coraggio, il godimento, la certezza dell‘esito, la libertà e la beatitudine. Mi reco a sacrificare come servo della natura, ma me ne diparto come suo signore».

Non gli erano di certo sfuggiti l’aspetto infantile e velleitario di questo modo di agire né gli elementi di violenza e crudeltà insiti in esso né tanto meno, naturalmente, la sua totale inutilità: scriveva infatti ancora: « … non c’è da stupirsi se egli [l’uomo] si disumanizza per rendere umana la natura, se egli versa anche sangue umano per ispirare ad essa sentimenti umani». E proseguiva: «Ma tutti i tentativi di dar vita sono inutili: la natura non risponde ai lamenti e alle domande dell’uomo; lo respinge implacabilmente in lui stesso». E dunque, come dicevo, c’è modo e modo di usare la natura e di tentare di piegarla al nostro volere … C’è un metodo adulto, disincantato e razionale, che studia la natura e cerca di capirne i meccanismi, che richiede pazienza, intelligenza, spirito di analisi ed una buona dose di umiltà … e questo è il metodo utilizzato dalla scienza … e poi c’è il metodo puerile, irrazionale, a carattere emotivo e velleitario così ben descritto da Ludwig Feuerbach. Entrambi i metodi mirano a manipolare e dominare la natura, ma soltanto il primo ha possibilità di successo. Gli dèi capricciosi, insaziabili e perennemente corrucciati che gli uomini si sono di volta in volta inventati, infatti, non si lasciano corrompere da preghiere e sacrifici, anzi, chissà perché, sembrerebbe proprio che neanche se ne accorgano, di tutto quello che gli uomini fanno in loro onore, e così i devoti di Gadhimai come quelli di Allah come anche i pii cattolici delle Filippine si ritrovano ogni volta all’appuntamento, sempre più speranzosi, infervorati ed esaltati, per fare nuove stragi di animali indifesi o per immolare nuovamente se stessi nella speranza di favori, aiuti divini o miracolose guarigioni che invece, guarda caso, non si verificheranno proprio mai.

Non che questo dettaglio serva a indebolire la loro fede o a smorzare la loro devozione, tutt’altro! Innanzitutto hanno sempre già la scusa bella, pronta e preconfezionata: l’imperscrutabile volontà divina, che tirano in ballo ogni volta che si tenta di far loro notare la completa futilità di preghiere e sacrifici, e poi … questi tipi di comportamenti a carattere irrazionale e fortemente velleitario paradossalmente si auto-rinforzano, incrementano ed auto-replicano proprio in virtù del fatto che non ottengono i risultati sperati … un po’ come quando si gioca alla roulette, insomma … Ed è proprio nell’atteggiamento illogico, irrazionale e a forte valenza emotiva che è alla base di questi comportamenti che risiede la loro estrema pericolosità: perché fra lo sgozzare bufali e lo sgozzare “infedeli” il passo è breve, e tutto si può fare nel nome di Dio, no? Tramite il sacrificio, durante le manifestazioni religiose piene di sangue e di violenza come quella di Bariyapur, non soltanto vengono placati gli dèi famelici e sanguinari che gli uomini di volta in volta si sono inventati, ma viene anche dato libero sfogo a tutti i peggiori istinti dell’uomo: ogni frustrato-pervertito-sadico-impotente-violento-represso trova qui infatti la scusa perfetta, cioè l’avallo religioso, per sfogare sugli inermi i suoi impulsi più bestiali – ma quale sublime coraggio divinamente ispirato!Le religioni grondano sangue, e non soltanto quello delle vittime sacrificali … anche quello degli infedeli, degli eretici, dei nemici, delle donne lapidate, delle streghe arse sul rogo, dei “dissidenti” di ogni genere … e non facciamoci illusioni, c’è sempre qualcuno, dietro alle quinte, che è in grado di suscitare ad hoc, di controllare, manipolare e incanalare le pulsioni violente insite nei fenomeni religiosi, tutto a suo vantaggio, naturalmente.

E con questo vorrei affrontare l’ultimo aspetto del fenomeno religioso in quanto (vano) tentativo di dominio sulla natura: quello più raccapricciante, che si può riassumere nella ciceroniana domanda: “Cui bono?”– a chi giova tutto ciò? Come faceva notare a suo tempo D’Holbach, “In ogni religione, soltanto i preti hanno il diritto di decidere che cosa piace o dispiace al loro Dio; si può star sicuri che essi decideranno che piace o dispiace a Dio ciò che piace o dispiace a loro …”; e ancora: “… gli interessi del Cielo sono, è chiaro, gli interessi dei ministri del Cielo.” (“Il buon senso”).

Dietro al futile, maldestro ed inconcludente pseudo-dominio sulla natura messo in atto dalle religioni se ne cela dunque uno ben più utile, scaltro ed efficiente: il dominio sull’uomo.