Piacere della natura

di Renato Massa

 

Godimento, gioia, appagamento, soddisfazione, svago, esaltazione, intenso piacere dei sensi, del gusto, dell’olfatto, della vista, dell’udito, dello spirito in senso positivo, per esempio ascoltando un buon pezzo di musica magistralmente eseguito, oppure respirando l’aria del mattino e ascoltando i suoni degli uccelli in un’alba tropicale o ancora in un senso a prima vista negativo, per esempio godendo della sconfitta dei propri nemici. Quante categorie di piaceri esistono? Quanti in campo puramente o prevalentemente “morale”? Possiamo unificarle in qualche modo o abbiamo a che fare con sensazioni completamente diverse tra loro?

Nessun organismo vivente potrebbe sopravvivere senza la guida del piacere. Così, un erbivoro ha una sensazione gradevole quando strappa ciuffi d’erba e li mastica sommariamente prima di ingoiarli, un carnivoro gode seguendo l’odore di una possibile preda, gode all’idea di catturarla e azzannarla e questa sensazione lo spinge a mettere tutte le sue forze nell’inseguimento, gode a ucciderla e infine a consumarne la carne. Queste sensazioni sono per noi facili da comprendere perché, in sostanza, le condividiamo in tutto o in parte, pur considerandole perlopiù con un certo disprezzo o almeno con degnazione come brutali ed elementari, per così dire “fisiche”. Alcuni di noi arrivano a pensare che ciò che di più nobile esiste nell’universo faccia parte di una categoria a parte, detta dello spirito, riservata agli esseri umani: la bellezza di uno spettacolo naturale, di un’opera d’arte, di una composizione letteraria o musicale ci pare qualcosa che in un certo senso trascende la natura materiale delle cose e ci consente di spaziare su un terreno particolare e forse esclusivo.

In realtà, il piacere non solo fisico ma anche quello cosiddetto intellettuale è un fenomeno biologico che appare molto prima dei primi esseri umani. Esso comporta la stimolazione di un’attività chimica del sistema nervoso che, a sua volta, influenza altre funzioni quali il battito cardiaco, la salivazione, la sudorazione, il diametro della pupilla. La sensazione risultante è di piacere più o meno intenso a seconda della capacità individuale di recepire gli stimoli e comunque è di piacere fisico vero e proprio, simile a quello che si può provare assaggiando un cibo gustoso, prendendo un buon bagno caldo o magari, per un collezionista di qualsiasi genere, venendo a trovarsi di fronte a una serie di oggetti altamente desiderabili e potenzialmente disponibili. Questi stimoli agiscono sui centri del piacere dell’area tegmentale ventrale e del sistema limbico del sistema nervoso con conseguente produzione di mediatori chimici appartenenti alla classe delle catecolamine e delle endorfine. Le prime sono presumibilmente coinvolte nelle sensazioni di piacere vero e proprio mentre le seconde, dando luogo piuttosto a sensazioni di rilassamento e di pace, sono soprattutto coinvolte nelle sensazioni che oggi definiamo di benessere che tuttavia non necessariamente sono quelle che ci vengono proposte dagli alberghi a cinque stelle che dispongono di sauna e massaggi ma potrebbero anche avere a che fare con lo spettacolo di un’alba in alta montagna oppure dei raggi di sole che penetrano in una foresta attraverso la chioma degli alberi mentre da lontano si ode il bramito del cervo, e ciò anche a seconda della base genetica e culturale presente nel particolare individuo recettore.

Anche nella cosiddetta depressione, grave malattia psichica che porta a un totale stravolgimento della realtà, entrano i mediatori chimici prodotti dal sistema nervoso centrale e precisamente noradrenalina, dopamina e serotonina. Non è questa la sede per discutere nel dettaglio la genesi chimica della depressione. Basti dire che l’equilibrio dei tre mediatori dà luogo a un corrispondente equilibrio dell’umore. Questo può essere alterato verso l’alto dando luogo a una irrefrenabile iper-attività oppure verso il basso dando luogo a una profonda tristezza, pensieri di morte e tendenza al suicidio. Questo tipo di patologia non è e non può essere esclusivo della nostra specie. In modo particolare, è stato descritto nella tupaia, un primate tanto primitivo da potere essere considerato da alcuni come un insettivoro arboricolo specializzato. In laboratorio il maschio dominante che viene battuto da un rivale che lo sostituisce nel suo ruolo socio-sessuale, piomba in uno stato di profonda prostrazione che gli impedisce addirittura di nutrirsi e di muoversi e che normalmente si risolve con la sua morte nel giro di pochi giorni.

Peraltro, a fronte del pericolo della patologia depressiva, esistono anche altri stati psicologici nei quali la sovrabbondanza di uno o più mediatori chimici dà luogo a stati di euforia incontrollata nei quali peraltro il piacere si può infine trasformare in malessere e dolore profondo. È il caso delle droghe ma anche di particolari sindromi nelle quali effetti analoghi a quelli delle droghe sono provocati da stimoli particolarmente intensi di qualche particolare natura. Lo scrittore francese Henri Beyle, meglio noto come Stendhal, descrive in questo modo le sensazioni provate in seguito alla visita della basilica di Santa Croce a Firenze, nel 1817: «Ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti e i sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce ebbi un battito del cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere». In suo onore, la psichiatra Graziella Magherini chiamò sindrome di Stendhaluna patologia psichiatrica caratterizzata da tachicardia, vertigini e persino allucinazioni in particolari soggetti esposti alla visione di opere d’arte. La malattia, piuttosto rara, colpisce persone solitarie di particolare sensibilità e di formazione classica e/o religiosa, di solito giapponesi oppure europei, esclusi gli italiani tra i quali, curiosamente, non è mai stato descritto alcun caso. Le manifestazioni più lievi assomigliano a crisi di panico mentre quelle più gravi danno luogo anche ad allucinazioni e attacchi paranoici che a volte possono sfociare in comportamenti aggressivi, anche in tentativi di danneggiamento dell’opera che ha causato la particolare emozione all’origine della sindrome.

Personalmente, ricordo la sensazione fortissima che provai all’età di circa dieci anni, andando al cinema a vedere il documentario della Walt Disney “Deserto che vive”che presentava la vita animale e vegetale nei deserti americani. A quei tempi nulla sapevo della sindrome di Stendhal ma, ricordando l’intensità straordinaria di quelle emozioni, penso che dovrebbe essere possibile provarle anche di fronte allo splendore degli spettacoli naturali. Qualcosa del genere potrebbe anche essere il cosiddetto “mal d’Africa” mentre la degenerazione negativa di questa possibile sindrome naturalistica potrebbe forse dar luogo alla frenesia venatoria con sterminio di decine o centinaia di individui di una determinata specie, presa di mira con un furore appassionato incomprensibile ai non adepti ma addirittura considerato come una forma di amore da chi ne è colpito.

Da quanto detto finora appare abbastanza chiaro che i fenomeni di piacere, gioia e godimento del bello in generale e in natura in particolare non sono esclusivi della nostra specie, ma si articolano in una lunga storia evolutiva della quale, con un po’ di attenzione, possiamo anche seguire qualche traccia. La bellezza della natura esiste da miliardi di anni e fin dalle origini della vita è evidentemente esistito anche qualcuno in grado di apprezzarla. Quando ascoltiamo i virtuosismi canori di un usignolo, quando osserviamo le acrobazie aeree di un uccello marino presso una scogliera ventosa, abbiamo la sensazione che non soltanto noi ma anche essi stessi godanodelle proprie prestazioni canore e, rispettivamente, aeree e di danza artistica che peraltro contribuiscono a creare un quadro del quale molti altri organismi possono godere. È decisamente improbabile che la nostra sensazione di benessere sia qualcosa di futile, riservato alla nostra specie. Se la bellezza fosse una vana illusione, allora anche il suo apprezzamento lo sarebbe, ma in natura è decisamente insolito che qualcosa non sia anche funzionale. Più corretto mi pare considerare che si tratti di un sistema di ricezione di un messaggio come tanti altri ne esistono. Della parte scatenante di questo sistema, quello di stimolazione, le nostre arti umane di qualsiasi tipo non possono essere altro se non un vago simulacro. Tutte le più straordinarie opere d’arte, di qualsiasi genere esistente sulla Terra, non valgono la pura e semplice bellezza di una foglia, per non parlare di un fiore, di una farfalla o di un uccello la cui bellezza può essere ammirata da diversi spettatori e anche a diversi livelli strutturali, da quello molecolare fino a quello di organismo o di popolazione. Il biologo americano Edward O. Wilson ha coniato la parola “biofilia” riferendosi all’apprezzamento della bellezza delle manifestazioni della vita da parte di altri esseri viventi. Su questo tema Wilson ha scritto addirittura un libro (1984) anche se, in effetti, il termine era già stato usato venti anni prima da Erich Fromm (1964) per descrivere un presunto “orientamento psicologico all’attrazione nei confronti di tutto ciò che è vivo e vitale”.

Esiste davvero qualcosa del genere? Talvolta, osservando le azioni distruttive collettive degli esseri umani, si è portati a dubitarne seriamente, ma poi, cercando di mantenere la calma, s’intuisce che certi fenomeni psicologici non possono essere studiati né osservati a livello collettivo. La biofilia, se davvero esiste, deve essere un fenomeno strettamente individuale. La bellezza della natura si accompagna quasi sempre alla difficoltà che essa pone al suo incontro, difficoltà che, come si è già detto, alimentano anche un approccio alternativo di carattere violento o magari semplificato alla sua conoscenza. Il cacciatore sostiene di amare la beccaccia o la starna che stana dal loro nascondiglio e che fucila mentre l’una o l’altra si leva in volo mostrandosi al massimo del suo splendore e della sua forma fisica. La distruzione di questi esseri viventi potrebbe essere per lui una specie di rito sacrificale paragonabile a quello di un sacerdote egizio nei confronti di un gatto o di un falco, animali sacri che nessuno, se non lui stesso, si potrebbe permettere di colpire. Lo sparatore, se qualificato anche letterariamente, potrà poi narrare la storia per lui emozionante della caduta solo apparentemente rovinosa del suo totem, della sua perenne santificazione per mezzo del sangue, della sua presunta resurrezione in forma idealizzata, se no potrebbe almeno agitare tra sé e sé gli stessi pensieri protestando il suo amore distruttore, simile a quello di un serial killerche raggiunge l’orgasmo attraverso la distruzione della persona che attira irresistibilmente la sua attenzione.

Forse anche il piccolo coltivatore che distrugge con modalità tradizionali un pezzo di foresta tropicale per piantare patate dolci o manioca, si rende anche conto di dovere ringraziare gli alberi che ha sacrificato per rubare lo spazio necessario a crescere il suo futuro raccolto. Negli alberi vivono spiriti che possono favorire o contrastare il suo lavoro. Questi spiriti permangono nella foresta, non sono distrutti con la fine di un gruppetto di piante, ma si possono adirare anche molto se della foresta non si mostra alcuna considerazione, come i tagliatori che agiscono su larga scala per conto di altri e senza chiedere perdono agli spiriti. L’apprezzamento della bellezza può avere luogo a diversi livelli e, come al solito, non è necessario che tutti siano coscienti del fatto e neppure che tutti provino identici sentimenti. Le otarie che nuotano intorno a un bagnante in bassi fondali, i cetacei che guizzano in alto mare saltando ripetutamente fuori dall’acqua, l’aquila che volteggia su un prato alpino in cerca di una preda, persino gli avvoltoi che adocchiano un animale morto, tutti sono animali dal lungo respiro e dalla lunga vista, animali che godono del puro e semplice contatto con l’aria e con l’acqua sia in sé e per sé sia in relazione a un’azione futura di foraggiamento che tuttavia darà luogo a un piacere fisico diverso da quello puramente morale – mi si passi questa parola anche per un avvoltoio che cala su una carogna – della ricerca aerea in un paesaggio spettacolare, una sensazione che forse vale quanto e anche di più della soddisfazione della fame, per continuare a volteggiare nel cielo in ampie spirali.

 

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Renato Massa è stato professore di Biologia Animale e di Conservazione della Natura presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca fino al settembre 2009, quando si è ritirato per dedicarsi unicamente alla saggistica e alla narrativa. È autore di numerosi saggi scientifici e divulgativi su temi di zoologia, conservazione della natura, evoluzione biologica, biodiversità e inoltre di due libri di narrativa sul tema del rapporto fra uomini e animali.