Carità forse pelosa, ma sicuramente onerosa

di Raffaele Carcano, segretario@uaar.it

 

Da dieci anni la sussidiarietà è entrata a far parte della Costituzione italiana. Sono stati dieci anni caratterizzati da una progressiva crisi della società e dell’economia italiana, e da un’alternanza di esecutivi che non hanno saputo porvi rimedio. La sussidiarietà ha invece prosperato a ogni livello di governo (statale, locale) contando su un sostegno bipartisan o, per essere più precisi, sulla gara a cui hanno dato vita quasi tutti i partiti per ingraziarsi la società civile.

Quando persino una Regione ritenuta un esempio di parsimonia, qual è la Liguria, destina diversi milioni di euro alle associazioni, anche quelle impegnate in progetti così improbabili che non se ne trova traccia online, vuol dire che qualcosa non va. Ci siamo imbattuti nella munificenza della Regione nel corso dell’inchiesta UAAR sui costi della Chiesa (www.icostidellachiesa.it). Scoprendo che quella sola istituzione ha erogato, nel 2010, oltre 3 milioni e mezzo ad associazioni, scuole, parrocchie, case di cura, tutte rigorosamente cattoliche. E la Liguria non è nemmeno tra le peggiori. La quantità di soldi pubblici che finisce nelle casse delle scuole cattoliche era imprevedibile anche per noi: quasi 700 milioni annui tra Stato ed enti locali. Per scuole che, come attestano gli studi OCSE, garantiscono una scarsa qualità d’insegnamento, ben più bassa di quella degli istituti pubblici. Per non parlare dei servizi sanitari appaltati a realtà, come il San Raffaele o l’IDI, tanto deficitarie e mal gestite (anche fraudolentemente) da rischiare il fallimento.

Tutto in nome della sussidiarietà. E senza controlli. Esistono amministrazioni locali che erogano contemporaneamente a cittadini in difficoltà e alle Caritas, che a loro volta s’impegnano a destinarli a cittadini in difficoltà: mentre le amministrazioni hanno l’obbligo di rendicontare i nomi dei beneficiari, nessuno conosce chi beneficia dei contributi delle Caritas. Che sono organismi che fanno capo alle diocesi. Che a loro volta non pubblicano i propri bilanci. Le stesse onlus cattoliche “professioniste” della carità hanno un’incredibile reticenza a diffondere bilanci: quando lo fanno, i contributi ricevuti viaggiano su cifre milionarie. Facile fare carità con i soldi altrui.

Il fenomeno è diffuso ovunque, proprio perché usufruisce di un consenso quasi unanime. Presentandosi come “volontario”, il servizio erogato fa evidentemente scattare la presunzione che sia anche più economico e che faccia “del bene”. Chi scrive teme che si tratti di due miti. Perché quando si è provveduto a controllare (per esempio le comunità di accoglienza) è emerso che il terzo settore costa alle casse pubbliche più del triplo di quanto costerebbe la gestione in proprio. Il volontariato è tale finché non è istituzionalizzato e, soprattutto, sovvenzionato: quando deve assicurare un servizio in vece pubblica, comincia anche ad assumere una dimensione tale da non poter assicurare standard adeguati se non assumendo personale (spesso precario) o ricorrendo al servizio civile. Il Gruppo Abele è forse la realtà migliore tra quelle nate in ambito cattolico, ma a fine 2010 scriveva di impiegare «171 persone tra collaboratori e dipendenti nei diversi settori del Gruppo, oltre a 30 tirocinanti e stagisti, 15 volontari in servizio civile nazionale e 197 volontari».

Giunti a questi livelli non esiste però quasi più alcuna differenza tra società for profit e associazioni non profit. Ed è pertanto legittimo chiedersi se il trattamento di favore riservato loro sia motivato e garantisca allo Stato e alle amministrazioni locali una maggiore efficienza. Oltre che un’effettiva laicità: che viene inevitabilmente meno quando l’organizzazione a cui è affidato il servizio in esclusiva è religiosamente orientata. Si pensi ai paesini in cui l’unica scuola primaria esistente è quella della parrocchia.

Un’applicazione estesa del principio di sussidiarietà è tuttavia anche pericolosa, perché delegittima lo Stato. La devolution di servizi al terzo settore trasmette, infatti, l’implicito messaggio che chi ci governa non è capace di organizzare la macchina pubblica e affida pertanto ad altri il compito di farlo. Aumentando la possibilità di approfittarne. In Lombardia, la delega di servizi avviene ormai con criteri clientelari: il governatore ciellino dispone, le associazioni cielline introitano. Un sistema che non poteva non attirare le attenzioni della magistratura. Le truffe nei confronti dello Stato, ma anche l’utilizzo fraudolento di fondi europei, sono ormai all’ordine del giorno, non solo con CL e non solo in Lombardia.

Gli altri paesi europei riescono ad avere bilanci più «virtuosi» senza ricorrere massicciamente al non profit. Non è solo questione di maggior senso civico, o di una miglior efficienza del pubblico. È anche perché i politici italiani sono troppo solerti nel soddisfare le richieste del mondo cattolico. Gran parte della torta che il settore pubblico affida al terzo settore viene infatti mangiata dalla Chiesa romana: e questo benché i contribuenti, chiamati a destinare il proprio Cinque per Mille, non scelgano con particolare frequenza le associazioni cattoliche (curiosamente, le sole due che compaiono nella Top Ten delle destinazioni sono anche specializzate nella compilazione delle dichiarazione dei redditi). Per carità, nessuno nega l’attività di assistenza ai più svantaggiati svolta dalla Chiesa. È però doveroso evidenziare quanto sia enfatizzata dai mezzi di informazione. Se la fiducia nella Chiesa è scesa ormai sotto il 50% della popolazione, è legittimo pensare che quelli che ne nutrono ancora lo facciano soprattutto per l’attività che svolge, piuttosto che per la dottrina che insegna. Una circostanza che a noi increduli può anche lasciare indifferenti. Ma se quell’immagine si rivela parzialmente artificiale, perché garantita da robuste iniezioni di contributi pubblici e se tanti soldi pubblici (oltre 6 miliardi di euro!) finiscono nelle tasche delle tonache grazie a quell’immagine, il problema riguarda non solo gli increduli, ma tutti i cittadini.