Stephen Jay Gould. Bibliografia ragionata

di Maria Turchetto

Diamo qui conto principalmente delle opere di Gould tradotte in italiano, riservando solo qualche cenno a quelle (poche) non ancora tradotte. Vogliamo infatti rivolgere ai nostri lettori un caldissimo invito a scoprire questo autore, che ha il pregio di risultare comprensibile e interessante (a volte addirittura avvincente) anche quando affronta temi scientifici e teorici tutt’altro che semplici. Gould rappresenta un vero fenomeno nel campo della divulgazione scientifica, non a caso il National Book’s Critic Circle Award – un’importante associazione che raccoglie più di 700 critici letterari – gli assegnò il premio riservato alla qualità di scrittura e alla capacità di comunicazione. Non seguiamo l’ordine cronologico (anche perché in Italia le opere di Gould sono state pubblicate in ritardo e in ordine sparso), ma raggruppiamo i testi per argomenti e generi.

Raccolte di saggi divulgativi

Nel 1974 Gould cominciò a tenere sulla rivista Natural History la rubrica mensile “The View of Life”: una collaborazione che durò oltre 25 anni per un totale di 300 brevi saggi, raccolti in 10 antologie, tutte tradotte in italiano: La vita meravigliosa, Feltrinelli, Milano 1990 (ed. originale Wonderful Life: the Burgess Shale and the Nature of History, W.W. Norton, New York 1989); Risplendi grande lucciola, Feltrinelli, Milano 1991 e Bravo brontosauro, Feltrinelli, Milano 1993 (entrambi tratti da Bully for Brontosauros, W.W. Norton, New York 1991); Come un dinosauro nel pagliaio, Mondadori, Milano 1997 (ed. originale Dinosaur in a Haystack, Harmony Books, New York 1995); Quando i cavalli avevano le dita, Feltrinelli, Milano 1999 (ed. originale Hen’s Teeth and Horse’s Toes, W.W. Norton, New York 1983); Il pollice del panda, Il Saggiatore, Milano 2001 (ed. originale The Panda’s Thumb, W.W. Norton, New York 1980); Otto piccoli porcellini, Il Saggiatore, Milano 2003 (ed. originale Eight Little Piggies, W.W. Norton, New York 1993); I fossili di Leonardo e il pony di Sofia, Il Saggiatore, Milano 2004 (ed. originale Leonardo’s Mountain of Clams and the Diet of Worms, Harmony Books, New York 1995); Il sorriso del fenicottero, Feltrinelli, Milano 2007 (ed. originale The Flamingo’s Smile, W.W. Norton, New York 1985); Le pietre false di Marrakech. Appunti di storia naturale, Il Saggiatore, Milano 2007 (ed. originale The Lying Stones of Marrakech, Harmony Books, New York 2000); I Have Landed, Codice, Torino 2009 (ed. originale I Have Landed. The End of a Beginning in Natural History, Harmony Books, New York 2002).

Si tratta di brevi saggi brillanti su diversissimi argomenti di paleontologia, evoluzione, genetica, embriologia: una divulgazione non meramente didattica e informativa, ma che insegna soprattutto un approccio critico e autocritico ai problemi scientifici. Come spiega lo stesso autore (cfr. Quando i cavalli avevano le dita, pp. 9-15) questi scritti sono nati tra “due tensioni”: da un lato, la controversia “puramente politica e non intellettuale” suscitata dal neocreazionismo; dall’altro, la profonda revisione in atto nel campo delle scienze della vita, dovuta a “scoperte emozionanti nella biologia molecolare e nello studio dello sviluppo embriologico” che mettono in discussione quella “versione eccessivamente zelante” del darwinismo rappresentata dalla cosiddetta Sintesi Moderna. Le due discussioni non stanno, ovviamente, sullo stesso piano – Gould le paragona a due opere di Wagner: la polemica neocreazionista è comica come I maestri cantori di Norimberga, il dibattito scientifico è invece sublime come il Tannhäuser – ma la strategia adottata è la medesima: mostrare con la massima onestà intellettuale come funziona davvero la scienza, impresa eminentemente umana e perciò stesso inestricabilmente legata alla società. Gould c’insegna così a smontare i ragionamenti, a valutare i contesti in cui si svolgono, a riconoscere le “metafisiche influenti” e i pregiudizi che penetrano anche nei lavori scientifici più rigorosi, a prendere atto della relatività e provvisorietà dei risultati, a comprendere la genesi delle grandi scoperte, ma anche il ruolo spesso fecondo dell’errore. Alcuni saggi dedicati a “personaggi” noti e meno noti – come Darwin (naturalmente!), Lamarck, Cuvier, Teilhard de Chardin, Stenone, Agassiz, Hutton e molti altri – rappresentano splendide pagine di storia della scienza. Molti interessanti interventi nel dibattito scientifico contemporaneo sono presenti in un’altra antologia, Un riccio nella tempesta, Feltrinelli, Milano 1991 (ed. originale An Urchin in the Storm. Essays about Books and Ideas, W.W. Norton, New York 1987) che raccoglie le recensioni (in realtà veri e propri piccoli saggi) pubblicate nella New York Review of Books.

Gli equilibri punteggiati e il problema del tempo

Un importantissimo contributo – tutt’ora oggetto di discussione, dal momento che ha cambiato la storia della biologia evoluzionista – è rappresentato dalla teoria degli equilibri punteggiati, sviluppata insieme a Niles Eldredge nel 1972 attraverso lo studio della documentazione fossile di Trilobiti (Eldredge) e Gasteropodi terrestri (Gould). Il famosissimo saggio N. Eldredge e S.J. Gould, Punctuated equilibria: an alternative to phyletic gradualism, in T.J.M. Schopf (ed.), Models in Paleobiology, Freeman, Cooper and Company, San Francisco 1972, non è tradotto in italiano; lo è tuttavia un lungo saggio postumo (si tratta in realtà del cap. IX della grande opera La struttura della teoria dell’evoluzione, di cui diremo in seguito) in cui Gould torna sull’argomento del suo debutto scientifico, spiega come i due giovani ricercatori arrivarono a formulare la teoria e prende posizione sulle controversie che essa suscitò (in particolare, sulle critiche ricevute da Daniel Dennet e Richard Dawkins): L’equilibrio punteggiato, Codice, Torino 2008 (ed. originale Punctuated Equilibrium, Belknap Press/Harvard University Press, Cambridge 2007).

Secondo Eldredge e Gould, il cambiamento evolutivo è caratterizzato da lunghi periodi di stasi, in cui la specie rimane pressoché immutata, “punteggiati” da fasi di rapido (in senso geologico) cambiamento. Questa teoria dà conto in modo nuovo degli “anelli mancanti” nella documentazione fossile (spiegata generalmente dai paleontologi con la rarità del fenomeno della fossilizzazione), ma senza dubbio mette in discussione il gradualismo, ossia l’idea di un’evoluzione lenta e continua, centrale nell’impostazione di Darwin: al punto che nella sua formulazione iniziale la teoria degli equilibri punteggiati fu considerata da alcuni quasi alla stregua di una confutazione della teoria darwiniana. In L’equilibrio punteggiato Gould rivendica la legittimità della revisione apportata alla teoria darwiniana, attribuendo l’opzione gradualista di Darwin al contesto polemico in cui fu formulata l’Origine delle specie: in particolare, per Darwin era importante rifiutare la teoria lamarckiana saltazionista, oltre che escludere ogni intervento “esterno” (dalle creazioni continuate ai diluvi universali) dalla storia naturale.

Altri testi che affrontano problemi teorici relativi alla concezione del tempo sono Gli alberi non crescono fino al cielo, Mondadori, Milano 1999 (ed. originale Full House. The spread of excellence from Plato to Darwin, Harmony Books, New York, 1996) e La freccia del tempo, il ciclo del tempo, Feltrinelli, Milano 1989 (ed. originale Time’s Arrow, Time’s Cycle, Harvard University Press, Cambridge 1987). Il primo è dedicato a contestare l’idea dell’evoluzione come “progresso” orientato che porta a forme via via “superiori” di cui l’uomo sarebbe l’apice. L’evoluzione è piuttosto un propagarsi di variazioni, e l’orgoglioso Homo sapiens “è un sottile ramoscello nato solo ieri nell’albero enormemente rigoglioso della vita, albero che, se piantato di nuovo, non produrrebbe le stesse ramificazioni a partire dal seme” (Gli alberi non crescono fino al cielo, p. 22): dunque “un dettaglio irripetibile e non una conseguenza prevista” (ivi, p. 7). Il secondo mette a confronto diverse concezioni del tempo, illustrate dalle metafore della freccia e del ciclo: “a un estremo della dicotomia – lo chiamerò la freccia del tempo – la storia è una sequenza irreversibile di eventi irripetibili. Ogni momento occupa la sua posizione distinta in una serie temporale e tutti i momenti […] narrano una storia di eventi connessi fra loro che muovono in una direzione. All’altro estremo – lo chiamerò il ciclo del tempo – gli eventi non hanno alcun significato come episodi distinti […]. Gli stati fondamentali sono immanenti nel tempo, sempre presenti e mai soggetti a mutamento” (La freccia del tempo, il ciclo del tempo, p. 23). Si tratta della “grande dicotomia” tra l’intelligibilità di eventi distinti e l’intelligibilità di un ordine non soggetto a cambiamento che lotta da sempre nella tradizione del pensiero occidentale, mentre “la natura dice di sì ad entrambi” (ivi, p. 213).

Exaptation, critica al paradigma adattazionista e peculiarità dell’uomo

 

Un altro importante contributo alla revisione della teoria dell’evoluzione – o meglio, alla sua versione consolidatasi a partire dagli anni ’50 del ’900 – è rappresentato dall’importanza attribuita a cambiamenti non direttamente funzionali alla sopravvivenza, ma derivanti da vincoli fisiologici o allometrici (regolarità nella crescita differenziale) ed eventualmente “cooptati” successivamente per nuovi scopi funzionali. In un saggio scritto con Elisabeth Vrba, coniò il termine exaptation (“exattamento”) per indicare queste caratteristiche che non sono un adattamento diretto: S.J. Gould, E. Vrba, Exaptation. Il bricolage dell’evoluzione, Bollati Boringhieri, Torino 2008 (ed. originale S.J. Gould, E. Vrba, Exaptation: a missing term in the science of form, Belknap Press/Harvard University Press, Cambridge 1982). Il saggio più famoso sull’argomento è forse S.J. Gould, R.C. Lewontin, The San Marco’s Spandrels and the Panglossian Paradigm. A critique of the Adaptionist Programme, in Proceedings of the Royal Society of London, Series B, vol. 205, n. 1161, 1979, in cui gli spandrels (“pennacchi”) della basilica di San Marco, ossia gli spazi triangolari inseriti tra una serie di archi, diventano metafora dell’exaptation: essi sono infatti la conseguenza architettonica dell’iscrizione di un elemento circolare in una struttura quadrangolare, “cooptata” successivamente per usi decorativi. L’idea dell’exaptation rappresentò una critica importante al paradigma adattazionista, cioè alla vera e propria “moda” (come la definì Lewontin) di spiegare in termini di selezione naturale e funzionalità diretta ogni aspetto di un organismo.

Anche alcune funzioni di alto livello del cervello umano sono interpretate da Gould come “sottoprodotti” della selezione naturale piuttosto che come adattamenti diretti. Il problema della specificità dell’uomo costituisce un forte interesse di Gould – che per altro non dubita della nostra integrale “animalità” – fin dall’inizio della sua carriera scientifica. In Ontogeny and Philogeny, Belknap Press/Harvard University Press, Cambridge 1977 (attualmente in corso di traduzione presso Mimesis, Milano; rinvio su questo testo all’articolo di Federica Turriziani Colonna) e in Questa idea della vita, Editori Riuniti, Roma 1990 (ed. originale Even Since Darwin, W.W. Norton, New York 1977), commentando i risultati pionieristici di King e Wilson concernenti la differenza minima che separa il genoma dello scimpanzé da quello dell’uomo, osserva che questa prossimità genetica rischia di sfociare in un paradosso: come spiegare che da una differenza genetica minima derivi una differenza comportamentale così importante? Gould riprese un’ipotesi avanzata negli anni ’20 da Bolk e Beer che individuavano la specificità dell’uomo in tratti morfologici e comportamentali neotenici, cioè tipici degli stadi giovanili, infantili e fetali dello scimpanzé: “il vero padre dell’uomo è il bambino” (Questa idea della vita, p. 59). La biologia contemporanea, in particolare le ricerche evo-devo (Evolutionary Developmental Biology), rappresentano una conferma genetica di tale ipotesi.

La riformulazione della teoria dell’evoluzione

Tutti questi temi si fondono nella grande opera che Gould completò poco prima della sua morte prematura: La struttura della teoria dell’evoluzione, Codice, Torino 2005 (ed. originale The Structure of Evolutionary Theory, Belknap Press/Harvard University Press, Cambridge 2002). Si tratta di un lavoro monumentale che Gould presenta – prendendo a prestito (e dandosi per questo dell’“arrogante”) l’espressione impiegata da Darwin per l’Origine delle specie – come un “unico lungo ragionamento” per riformulare la teoria dell’evoluzione: “quando mi interrogo su come tutti questi pensieri e temi disparati si siano fusi, nel libro, in un unico ragionamento, posso soltanto rispondere chiamando in causa il mio amore (non so come dirlo altrimenti) per Darwin e per la forza del suo genio. Soltanto a lui era possibile offrire un’ossatura così feconda di una teoria completamente coerente, così radicale per la forma, così completa sul piano logico e così estensibile per le implicazioni. Nessuno degli altri pensatori che si sono occupati dell’evoluzione prima di lui aveva mai individuato ed elaborato un così ricco e comprensivo punto di partenza. Partendo da questo inizio, io dovevo soltanto dispiegare la versione originale nella sua interezza, sbrogliare gli intrecci degli elementi e degli assunti centrali e discutere la vicenda successiva dei dibattiti e delle revisioni di queste caratteristiche essenziali, che hanno portato a una coerente riformulazione dell’intero corpus, condotta in modo utile e tale da lasciare le fondamenta darwiniane intatte pur costruendovi sopra un edificio più grande e di forma differente e perciò molto interessante” (La struttura della teoria dell’evoluzione, p. 63).

 

Gould propone una revisione delle tre caratteristiche principali della “logica darwiniana”, sapientemente ricostruita nella prima parte del volume che rappresenta da sola un eccezionale e davvero enciclopedico contributo alla storia delle scienze. In primo luogo, introduce una pluralità di livelli in cui opera l’evoluzione al posto di quello esclusivo considerato da Darwin, ossia l’organismo individuale: esistono molti livelli al di sopra (demi, specie, cladi) e al di sotto (geni e cellule) dell’organismo capaci di evoluzione autonoma. In secondo luogo, accanto alla selezione naturale considerata da Darwin come “causa unica” dell’evoluzione vengono considerati i “vincoli” storici e strutturali, dando spazio al concetto di exaptation. Infine, modifica il gradualismo darwiniano mediante la teoria degli equilibri punteggiati. Il risultato è “una teoria dell’evoluzione rinnovata dalle fondamenta mantenendo però il nocciolo darwiniano” (p. 83).

La critica alle ideologie

Accanto ai salienti contributi scientifici di Gould non va dimenticato il suo impegno politico e sociale e la sua costante critica a ogni uso della biologia al servizio delle discriminazioni sociali, razziste e sessiste. Oltre alla polemica nei confronti della sociobiologia (nel 1975 firmò con Richard Lewontin e altri la celebre lettera aperta Against “Sociobiology” pubblicata nella New York Review of Books all’indomani della pubblicazione di Sociobiologia. La nuova sintesi di E.O. Wilson), il libro più importante in questo senso è Intelligenza e pregiudizio. Contro i fondamenti scientifici del razzismo, Il Saggiatore, Milano 1998 (ed. originale The Mismeasure of Man, W.W. Norton, New York 1981), che ricostruisce tre secoli di “profonde e istruttive falsità (non degli errori sciocchi e superficiali) contenute nell’origine e nella difesa della teoria dell’intelligenza unitaria, linearmente classificabile, innata e pressoché inalterabile” (Intelligenza e pregiudizio, p. 19). Rinvio, su questo testo, all’articolo di Anna Maria Rossi e alla mia recensione.

Ricordiamo altri due testi di Gould tradotti in italiano: I pilastri del tempo, Il Saggiatore, Milano 2000 (ed. originale Rocks of Ages: Science and Religion in the Fullness of Life, Ballantine Books, New York 1999), in cui affronta la questione dell’inconciliabilità tra scienza e religione sostenendo che si tratta di “magisteri non sovrapposti” (si veda la lunga recensione di Giulio Bonali); e Il millennio che non c’è, Il Saggiatore, Milano 1999 (ed. originale Questioning the Millennium. A Rationalist’s Guide to a Precisely Arbitrary Countdown, Harmony Books, New York 1997) in cui interviene sulla dibattuta (ma oggi dimenticata) questione se il terzo millennio inizi il primo gennaio 2000 o 2001 con un’affascinante storia della calendaristica e una ricostruzione dei dibattiti otto e novecenteschi che mostra amaramente un progressivo impoverimento culturale.

Infine, l’ultimo testo rimasto da tradurre in Italia è The Fox, the Hedgehog and the Magister’s Pox. Mending the Gap Between Science and the Humanities (Harmony Books, New York 2003), sui rapporti – e l’infondato conflitto – tra scienze e humanities, ossia studi umanistici. Evidentemente la tradizione crociana della divisione tra “scienze della natura” e “scienze dello spirito” ha sconsigliato agli editori italiani la traduzione di questo interessante testo, di cui parla ampiamente Andrea Cavazzini nelle pagine precedenti.