Il mio Padre Pio

di Mario Trevisan

Forse la cosa può non interessare alcuno, tuttavia provo a raccontarla come posso. Si dà il caso che nella mia giovinezza abbia avuto l’occasione di incontrare l’allora già famoso Padre Pio. Il santone aveva fama di penetrare le coscienze, di vedere dentro l’anima delle persone, insomma era considerato un chiaroveggente che stupiva creduli e scettici. Il cinema ha esaltato tali qualità e molte serie televisive hanno rappresentato innumerevoli e commoventi testimonianze elogiative, celebrative, agiografiche. Io non sono rimasto affatto coinvolto; non avendo trovato alcunché di straordinario nel mio incontro, anzi, a dir la verità, fu un’esperienza piuttosto deprimente. Non so se qualora mi fossi proposto di testimoniare, diciamo a Porta a Porta, sarei stato accettato perché avrei rappresentato una voce fuori dal coro. Riassumo brevemente la cronistoria.

La mia anziana sorella era stata suggestionata da un’ancor più anziana amica con fervidi racconti sulle performance del santo pugliese. Per un motivo che dirò più avanti, la sorella insistette alquanto affinché l’accompagnassi a San Giovanni Rotondo, offrendomi viaggio e soggiorno gratis. A quel tempo (1959) io ero uno zelante giovane fresco di Azione Cattolica, dirigente ACLI e gruppi giovanili DC e, tutto sommato, abbastanza curioso di vedere da vicino il fenomeno. Essendo il tutto a costo zero, soddisfacendo al contempo il desiderio della sorella maggiore, accettai la proposta.

Giunti colà, prendemmo alloggio in un alberghetto dirimpetto al convento dei cappuccini. Rimasi sorpreso che la sorella non prenotasse subito la confessione, adducendo una qualche indisposizione psico-fisica momentanea. Io invece prenotai l’audizione penitenziale mettendomi in lista d’attesa, che durò quattro giorni, durante i quali partecipavo devotamente alla messa mattutina, anzi notturna, celebrando il padre alle cinque della notte o, se si vuole, del mattino. Durante il giorno gironzolavo per la chiesa per curiosare, non per meditare, poiché era impossibile trovare la tranquillità per un minimo di concentrazione in quel frastuono di pellegrini e gruppi femminili di vocianti corali preghiere incrociate. Il paese poi era tutto un bazar orientale di negozi e negozietti, chioschi e bancarelle che offrivano l’imbarazzo della scelta fra un’infinità di cianfrusaglie sacre e profane per tutti i gusti e tutte le tasche. Quand’ero sazio delle mie ricognizioni rientravo in albergo immergendomi nella lettura. Ho sempre avuto l’abitudine di portare con me qualche libro. Con un libro la solitudine e la noia non ci sono mai…

Giunto alfine il grande momento, verso le ore 9:30 circa del quarto giorno fui introdotto nella sacrestia dove, in un angolo, sedeva il Padre accanto a un inginocchiatoio. Io ero abituato a confessarmi con sincerità, poiché altrimenti sarebbe stato inutile e sacrilego. In questa circostanza, poi, sarebbe stato impossibile mentire dal momento che il Nostro sapeva leggere nel pensiero altrui… Sia lodato Gesù Cristo, sempre sia lodato! Provai subito un senso di soggezione in quanto il confessore mi appariva piuttosto corrusco. Il dialogo fu il seguente:

Frate: da guando dembo non di gonvessi?
Penitente: da un mese

F: hai berso messa?
P: no

F: hai bestemmiado?
P: no

F: di sei inguiedado?
P (a questo punto mi inceppai. Cercai rapidamente di definire dentro di me il senso di questa domanda. Cosa voleva dire inquietato? Essere inquieto, ossia preoccupato, turbato, impensierito… altro non mi sopravvenne…): ma, non so, forse, mah…

F: gome vorse, sì o no?
P: ma… è un peccato questo?

F: gome non è peggado!
P: ma, non so …

F: vai, gorrèggede e dorna a gonvessardi!
P: non mi dà l’assoluzione?

F: no!
P: perché?

F: gorrèggede e dorna a gonvessardi!

Confuso e avvilito mi alzai e uscii sfilando lungo la teorìa degli altri penitenti in attesa del loro turno. Quando tornai in albergo, la sorella eccitata mi chiese subito: e allora com’è andata? Le risposi asciutto: non mi ha dato l’assoluzione!

Ah! No! Neanche a te? Ah, be’, allora non ci credo più! Io pensavo di essere così indegna da non meritare misericordia, ma tu così devoto, perché mai?

Ecco spiegato l’arcano. Mi aveva portato laggiù come cavia per vedere se avesse trattato un… “puro” come aveva trattato lei in precedenza. Risposi, forse il Pio non era in giornata…

E così ritornammo a casa in uno stato d’animo diverso; mia sorella era sollevata ed euforica perché convinta di non essere stata respinta per indegnità, bensì per calcolo astuto di promozione turistico-religiosa; io stavolta inquieto sì, e confuso. Da un lato non volevo pensare male, che il frate cioè usasse questi trucchi (che peraltro sentii raccontare fossero abbastanza frequenti) per indurre i creduli tremebondi a ritornare nelle lunghe liste d’attesa, con i costi connessi; dall’altro opinavo che se fosse stato vero che intravedeva tutto, avrebbe saputo che abitavo a più di mille km di distanza e tornare a confessarmi non era come andare alla parrocchia sotto casa… Ma ciò che mi conturbava di più era quale peccataccio fosse mai questo “inguiedado”. Feci un test a molti amici per sapere cosa volesse significare il vocabolo “inquieto” e tutti convennero nel dargli il significato che ne davo io. Solo molti anni dopo, per caso, durante le mie vacanze a Otranto venni a saper che i pugliesi usano il verbo “inquietarsi” e derivati per intendere: impazientirsi, stizzirsi, ma più spesso, adirarsi. Il peccato sarebbe stato l’ira, dunque; va’ a sapere…

Quindi il frate veggente non seppe nemmeno capire che il suo dialetto non poteva essere compreso da un nordista ignorante quanto lui. Il mio confessore, al quale raccontai l’accaduto, mi disse che il santo vedeva probabilmente le cose in un senso superiore, globale, e che nell’economia della salvezza solo i santi, che godono della visione di Dio, conoscono i disegni imperscrutabili della provvidenza. Noi, come al solito, dobbiamo inchinarci di fronte al mistero, avere umiltà, pregare, adorare e sperare nella misericordia di dio, anche se le sue vie ci sembrano tortuose e incomprensibili…

Be’… andò a finire che la sponsorizzazione turistica che funzionò per mia sorella (e chissà per quanti altri) con me non andò a buon fine. La mia fede cominciò a vacillare e incominciai a cercare di saperne di più. La mia ricerca fu lunga e seria: studiai teologia sui testi canonici e su un sacco di libri con l’imprimatur, ma per onestà intellettuale e per principio metodologico esaminai anche opere di autori critici e liberi pensatori. Studiai e discussi anche più del dovuto per saperne abbastanza e da molti anni vivo serenamente il mio ateismo, sorridendo di quella buffa esperienza e dell’ingenuità di quegli anni verdi in cui funzionava ancora l’imprinting a senso unico ricevuto ossessivamente nell’infanzia violata. Padre Pio, non avrai il mio scalpo!