Vanità: la più pericolosa nemica di Darwin

di Federica T. Colonna

Benché la teoria evoluzionistica avesse precedenti già nel mondo antico, gli scritti di Darwin suscitarono clamorose polemiche, in quanto si presentavano come un colpo mortale alla vanità umana. La novità inaccettabile non era la nozione di lotta per la sopravvivenza, ma il fatto che alla creazione dell’uomo dio non avesse riservato alcun giorno particolare: innanzi tutto l’uomo non era più frutto di una creazione ben riuscita, ma solo il risultato di un processo evolutivo che non lasciava spazio alla mano divina e che – e qui sta il colpo – poneva l’Homo sapiens sullo stesso gradino degli altri viventi. Il nostro antenato non era più Adamo, ma lo stesso organismo semplice da cui derivano le tartarughe, i lombrichi, etc. Tuttavia Darwin non fu il primo a sostenere una tale teoria: già Anassimandro aveva sostenuto la nostra discendenza dai pesci, ma in Darwin una simile affermazione riceveva per la prima volta la dignità di una teoria scientifica.

Restava da spiegare come si fosse generata la prima molecola organica: che due elementi particolari reagiscano, trovandosi in certe condizioni, è legge; ma che proprio quei due elementi si trovino in certe condizioni è un fatto solo probabilistico. La certezza della reazione è data, però, dai grandi numeri: è impensabile che il brodo primordiale contenesse un solo atomo d’azoto e tre soli di idrogeno; fra migliaia di atomi, dunque, era inevitabile che si formassero le molecole che sono alla base della vita. Inevitabile: l’opinione comune, che poi non è altro che l’opinione cattolica o comunque religiosa, ritiene che l’alternativa alla creazione, all’Intelligent Design, sia il caso, e che la creazione per mano divina implichi necessità. Errore colossale. La necessità è di dominio naturale, non divino. La creazione implica la volontà divina, che è del tutto arbitraria; ma che un atomo di ossigeno e due atomi di idrogeno, che si trovino in condizioni termodinamiche favorevoli, formino acqua, è un fatto inevitabile, cioè necessario.

Gli studi in ambito genetico hanno introdotto, in seguito, la nozione di mutazione genica, che sta alla base dell’evoluzione. Ed è proprio il concetto di mutazione a palesare l’assenza di disegno: l’idea di dio, che nei popoli monoteisti implica perfezione, è inconciliabile con l’errore, e la mutazione è un errore a tutti gli effetti. Nequaquam nobis divinitus esse paratam naturam rerum: tanta stat praedita culpa. L’errore – sostiene Lucrezio – prova che la natura non è stata creata per noi, e che non è stata creata affatto da alcuna intelligenza divina. O, se la si vuol pensare come creazione di dio, si deve ammettere che dio era davvero incompetente e pasticcione! – qualità che non si addicono alla divinità quale i cristiani la intendono. Tra coloro che si sono schierati contro il Darwinismo, difendendo la teoria creazionista, Harun Yahya ha sostenuto che l’evoluzionismo va contro la seconda legge della termodinamica, secondo cui un sistema, lasciato a se stesso, tende al disordine. Probabilmente Harun non ha considerato che la mutazione genica è disordine, e la selezione naturale non ha come criterio l’ordine, ma l’utile.

Le risorse naturali sono limitate, e ciò non solo non garantisce la sopravvivenza, ma genera persino una vera e propria lotta, nella quale vengono selezionati i caratteri più adatti all’ambiente (una prova a favore della teoria darwiniana fu il cosiddetto “melanismo industriale”, cioè la selezione delle falene grigie a Manchester, in grado di mimetizzarsi nel grigiore dell’Inghilterra industrializzata). La lotta per la sopravvivenza suggerisce un’analogia con lo stato di natura di cui parlano i filosofi contrattualisti, da cui si esce con l’istituzione dello Stato civile e della legge positiva, che altro non sono se non artifici umani. Dallo stato di natura darwiniano l’uomo esce con l’invenzione della téchne, con la costruzione cioè di strumenti in grado di assicurare la sopravvivenza anche a chi manchi di certi caratteri: un esempio può essere fornito dalla costruzione e dall’utilizzo di lenti graduate per correggere difetti della vista. Il fattore evolutivo è così, se non azzerato, comunque ridotto, e sostituito dalla tecnologia, che dunque falsa e influenza la selezione. È vero che l’uomo si costruisce il Mondo delle teorie scientifiche, della tecnologia, di cui parla Popper in Conoscenza oggettiva, ma non siamo per questo legittimati a ritenerci superiori agli altri viventi: il Darwinismo dovrebbe servire da promemoria contro la vanità e l’antropocentrismo umano, come un post-it che ricordi a ciascuno – ai cristiani in realtà – la nostra discendenza dalle scimmie.

Quale sia la genealogia della nozione di disegno, di creazione, è – con qualche probabilità – riconducibile all’invenzione della téchne; la riproduzione umana di fenomeni (o oggetti) naturali implica un disegno preciso, l’uomo primitivo che si costruisce strumenti simili a quelli già presenti in natura ha in mente l’oggetto finale così come dovrà realizzarlo, ed erroneamente crede che la stessa mano che utilizza a tal fine sia frutto di un disegno: la sua mano è perfetta per l’uso che ne fa, così egli crede che sia stata creata perché lui potesse utilizzarla in quella determinata maniera. Ma – scrive Lucrezio – quod natum est id procreat usum: la mano prensile è stata selezionata dalla natura perché utile e vantaggiosa, non creata da un’entità divina al preciso scopo che fosse usata per costruire utensili. Non vi è causa finale in natura: l’evoluzione è un iter, è un viaggio senza meta. L’uomo non è che una tappa di tale viaggio; questa sfacciata assenza di un fine risulta detestabile, pone l’esistenza in un’insopportabile condizione di precarietà. Per garantirsi l’esistenza almeno in quanto specie, giacché l’immortalità del singolo individuo è utopia, per rendere cioè stazionaria quella tappa dell’evoluzione chiamata uomo, questo bizzarro groviglio di DNA ha inventato la tecnologia – idea grandiosa – per sovvertire le leggi naturali della selezione, e la religione. La prima innalza l’uomo al di sopra degli altri viventi e – in certa misura – al di fuori dell’evoluzione; la seconda lo riconduce all’originaria dipendenza da leggi che egli non può gestire – leggi cui dà il nome di dio. La religione è una favola il cui protagonista è il suo stesso autore, un tipo egocentrico e vanitoso, le cui vicende sono supervisionate da entità benevole che lo hanno creato già in posizione eretta, senza peli sparsi sul corpo, capace di emettere suoni universalmente comprensibili: in una parola, perfetto! Se la tecnologia è un prodotto umano utile per la sopravvivenza di coloro che nello stato di natura darwiniano sarebbero destinati a soccombere, la religione – diciamoci la verità – è un orpello del tutto inutile, superfluo, se non persino dannoso quando ostacola il progresso scientifico, cosa che avviene non di rado.

La teoria darwiniana sembra intaccare non solo un potere economico, qual è la Chiesa, ma anche la dignità umana: questo perché l’uomo ricerca e desidera rintracciare la propria grandezza nelle sue origini, che non sono nobili – se con nobile si intende non-volgare, cioè non-comune alle altre specie, esclusivo – la storia dell’uomo non merita né si è svolta su una corsia preferenziale. La dignità dell’uomo – la sua grandezza in relazione agli altri viventi – sta nell’invenzione della tecnologia, ma alla dignità si accompagna, evitabilmente, la vergogna. Che è la religione, in cui sono riposti e mascherati tutti i limiti umani, insieme con le paure, e con la più grande nemica di Darwin: la vanità.

L’Autrice

Federica Turriziani Colonna ha 19 anni, vive a Frosinone, studia Filosofia all’Università “La Sapienza” di Roma e collabora con la rivista Il fabraterno. Suoi interessi e opinioni: philosophia ancilla theologiae.