L’intrinseca spiritualità laica del suono

di Antonello Cresti.

In una società in cui tutto è ridotto a merce e bene di immediato consumo, ogni forma di arte dovrebbe rappresentare un coraggioso atto di resistenza d’ordine trascendentale. La musica, vista la sua esplicita natura immateriale e antimaterica è poi, per definizione, la più spirituale tra le arti; essa travalica ogni razionale concetto di estetica procedendo a tentoni verso un re-incantamento dell’uomo e della società.

Attraverso il suono, anche nella sua espressione più minimale e primigenia, possono essere svelati molti enigmi, non ultimi quelli legati alla fisica e alla cosmogonia, come dimostrano le pregnanti riflessioni espresse nella nobile tradizione dei Veda, così come nell’affascinante dissertazione di Hazrat Inayat Khan Il misticismo del suono. Anche il mondo occidentale non è stato insensibile nei confronti di tali riflessioni, basti pensare che fu Pitagora, filosofo difficilmente avvicinabile al pensiero debole della narrazione cristiana, ad affermare chiaramente che attraverso l’identità di numero e suono si può spiegare il passaggio da caos a cosmos, una visione, a ben pensare, ben più plausibile di quella imposta dalla vulgata creazionista.

Non è allora casuale il fatto che episodî di alta filosofia della musica, di metafisica applicata all’evento sonoro, siano associati a vicende non totalmente paralizzate dall’alito del pensiero unico cristiano: da Keplero a Marsilio Ficino, sino ad arrivare ad Arthur Schopenhauer, che alla musica dedicò alcuni dei passi più avvincenti del suo Il mondo come Volontà e Rappresentazione, non c’è personaggio non appartenente all’ortodossia cattolica che non abbia dimostrato coi fatti di essere consapevole della spiritualità della musica ben più di un qualsiasi teologo o filosofo della Chiesa. Se il pur fascinoso adagio «chi canta prega due volte» (Sant’Agostino, Enarratio in Psalmos, 72, 1), a un’analisi disincantata appare per quello che è, ossia come un furbesco suggerimento operativo indirizzato agli strateghi della nascente liturgia cattolica, può essere interessante notare che alcuni tra coloro che intesero decisamente il suono come puro fatto estetico o, ancor peggio, come metodo pratico, furono intellettuali che l’infecondo grembo di Sua Madre Ecclesia aveva partorito, basti pensare a Padre Martini, teorico francescano vissuto nel XVIII secolo, e feroce assertore d’una presunta superiorità della musica sacra su quella profana.

In realtà, anche una distratta conoscenza della lingua latina e greca, dimostra chiaramente che le parole sacer e haghios esprimono contemporaneamente l’idea di purezza e contaminazione, di maledizione e di santità. Impurità e consacrazione esulano entrambe radicalmente e scambievolmente dall’esperienza profana1. Se ancora non bastasse possiamo allora ricordare le parole del brillante musicologo Marius Schneider: «Poiché tutte le cose di questo mondo provengono dalla materializzazione progressiva di certe note, così tutti i simboli essenziali, cioè tutte le equivalenze di queste note, si trovano nella loro cerchia (il leone nel regno animale, il sole fra gli astri, ecc.). Tutto il mondo materiale è una musica gradatamente consolidatisi, una somma di vibrazioni, le cui frequenze si allungano nella misura in cui si materializzano. Le più rapide vibrazioni sono quelle musicali. Esse costituiscono il vestibolo del Dio creatore e del punto di quiete immobile (Tao)».

Converrebbe allora, giunti a questo punto, interrogarsi sul significato della parola “spiritualità”: con questo termine si indica comunemente una particolare sensibilità con una profonda adesione ai valori dello spirito… Accettata questa banale definizione, capiamo perfettamente, come già accennato, che qualsiasi espressione abbia a che fare con essa, rappresenta di fatto una rottura insanabile e radicale con gli antitetici valori che il potere costituito intende promulgare.

La musica, quella musica che sgorghi da sincera ispirazione, da un tellurico trabocco di energie, allora su queste basi diviene, proprio per le sue caratteristiche metafisiche, atto e metodo di rivolta. Proprio perché inattuale, nel senso che Nietzsche dava a questa parola, essa, lontana da qualsiasi moraleggiante pratica maieutica, in quanto puro godimento, ma anche puro abbandono o persino pura paranoia, è la manifestazione intangibile di quel daimon, che si vorrebbe veder negato.

In questo senso, ragionando all’interno d’un più sensato dualismo spirito/materia, si capisce perfettamente che è proprio l’intrusiva strategia ecclesiastica a inserirsi perfettamente all’interno del secondo termine di paragone proposto; non intendiamo sottoporre al lettore scontate reprimende valoriali, ma desideriamo piuttosto soffermarci sull’utilizzo puramente utilitaristico che la Chiesa Cattolica fa dell’evento sonoro.

Terminata l’era del canto gregoriano che, sia pur inconsciamente, mostrava chiare affinità con il mantra e con l’idea di una catarsi associata alla parola e all’emissione vocale (tanto è vero che, incredibile a dirsi, persino i monaci della Chiesa Ortodossa perseguivano la tecnica dell’estasi attraverso l’ossessiva ripetizione d’una stupidissima filastrocca “della cicala e il suo doppio”…), siamo velocemente passati a un’idea che molti punti di contatto ha con le tecniche di persuasione di massa.

Osserviamo la patetica liturgia degli oratori, per non parlare degli esilaranti esperimenti di “musica cristiana” propinati da emittenti radiofoniche come Radio Maria, ma pensiamo anche alla distorta idea di divertimento e di socialità veicolata dai raduni di Comunione e Liberazione, come dai Family Day e spazzatura assortita… Assurta a un ruolo sempre più di basso cabotaggio politico, la Chiesa Cattolica sembra aver dimenticato anche quelle pratiche di mecenatismo che, sia pure da contestualizzare doverosamente in un momento storico, avevano creato le condizioni per la creazione di indubbi capolavori, come la musica di un Bach, e procede adesso verso un utilizzo delle pratiche musicali sempre più simile a quello proprio delle dittature. I detentori di questa fraintesa e perversa idea di spiritualità in musica, ovviamente gioiosamente ignari del potenziale catartico dell’espressione artistica, s’impongono di asservire le più trite regole della canzonetta a messaggi di ammaestramento morale da impartire alle masse, tra un editto papista e l’altro.

Di “mercificazione della musica” chi scrive si è già occupato2, denunciando il ruolo subliminale che essa ha assunto all’interno delle pubblicità (ma aveva già detto tutto Guy Debord quando affermava che «lo spettacolo è il capitale a un tale grado di accumulazione da divenire immagine»), così come il ruolo subalterno che essa ha all’interno dei canali musicali, ove la si vede confinata a inutile commento di video musicali costruiti con l’unico intento d’imporre una visione della vita dominata dalla triade “sesso, denaro, riuscita sociale” (se togliamo il primo termine, troveremo qualcosa di molto simile nell’ideologia puritana…). Ho anche inteso dissuadere coloro che concepiscono la musica come un mezzo attraverso il quale divulgare messaggi, anche positivi; come abbiamo avuto modo di ricordare, infatti, il suono ricrea continuamente una sintassi propria, difficile da interpretare e decodificare, che è di per sé già “messaggio”. Un ispirato utilizzo dell’armonia e della melodia, come c’è dimostrato ogniqualvolta ci avviciniamo a un brano interpretato in un linguaggio a noi sconosciuto, ci avvicina difatti a una visione del mondo alternativa in maniera molto più significativa di qualsiasi becero proclama.

Ebbene, coloro che si professano come interpreti unici d’un pensiero spirituale nell’Italia odierna si discostano forse da un simile utilitarismo? V’è qualcosa proposto da costoro che, al di là delle differenze ideologiche, possa commuoverci, infervorarci? La risposta è naturalmente “no”, dal momento che, come in una narrazione leggendaria, quel suono che s’è voluto asservire ai propri interessi, ai propri scopi, si ritorce sempre contro l’“ammaestratore”, creando unicamente imbarazzi.

Se i teorici cristiani si fossero realmente occupati qualche volta di spiritualità e di musica, sarebbero i primi a invitarci a realizzare un fronte comune contro i processi di mercificazione, alienazione e anomìa che dominano i rapporti sociali odierni, ma invece preferiscono trastullarsi con proposte di censura sulle ripercussioni fisiche del suono (che chiunque avesse un’idea di “misticismo” un po’ meno avulsa dalla realtà non solo accetterebbe, ma anche inciterebbe) e sul sottoposto satanismo di certe espressioni della musica underground. Imprigionati in un decadente e infertile dualismo, tipico d’ogni pensiero totalitario (si pensi al rivoltante motto «chi non è con me è contro di me» che Cristo in persona avrebbe pronunciato [Vangeli di Matteo (cap. XII v. 30) e di Luca (cap. XI v. 23)], non a caso poi ripreso da Mussolini nel 1924), essi, al pari d’ogni cultura che si autoenuncia come “superiore”, sembrano troppo impegnati nel giudicare gli altri piuttosto che nel dimostrare coi fatti, con la loro essenza, questa loro supposta differenza.

L’eroica inattualità dell’evento sonoro è dunque quanto di più necessario possa esistere per chiunque voglia tracciare un itinerario esistenziale che percorra strade lontane dai dogmi e dalle imposizioni di qualsiasi risma e natura. Chi deciderà, infatti, come musicista o come ascoltatore, di coltivare interesse verso quelli che erano gli innati presupposti dell’espressione musicale, saprà di compiere un significativo atto di profonda e individuata rivolta nei confronti delle innumerevoli ortodossie atte al disvalore che ci accerchiano. Non si chiedano consolazioni o conferme allorquando si ascolta un brano musicale; l’intrinseca spiritualità del suono ha anche questo insegnamento per chi si accinga alla rivolta: qualunque espressione profonda dell’uomo e del cosmo non potrà mai essere un monumento all’utilitarismo.

Note

  1. Ricaviamo queste riflessioni da un interessante dialogo che abbiamo avuto con il saggista Walter Catalano.
  2. Ci riferiamo in particolare agli articoli «La mercificazione della musica» e «Accademismo e incultura musicale» comparsi sulla rivista d’impostazione marxista Praxis.

L’Autore

Antonello Cresti (Firenze, 1980) è compositore, musicista e saggista. Laureato in Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo all’Università di Firenze, direttore editoriale del periodico controculturale Argilla, è autore dei saggi Uk on Acid – Viaggio attraverso la Summer of Love inglese e Fish and Chips – Invito al viaggio in Inghilterra e Galles (entrambi per Jubal Editore/Renudo) ed è coautore del volume collettaneo L’immaginazione al podere (Stampa Alternativa). Col collettivo musicale Nihil Project ha pubblicato gli apprezzati album Paria, Samhain e Plough Pays. È in fase ultimativa un suo saggio sull’esperienza del British Folk Revival.