Intervista a Piergiorgio Odifreddi

di Anna Maria Pozzi.

Prima della pubblicazione del suo ultimo libro Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici) ho intervistato Piergiorgio Odifreddi che ci ha accolto in casa sua in modo semplice e cordiale…

In una recente intervista rilasciata da te a Panorama hai affermato che la religione è un modo di pensare infantile che poi passa quando si diventa adulti. Ci sono però ostacoli che frenano o addirittura impediscono la crescita individuale e collettiva di un popolo: com’è fattibile, secondo te, una graduale riduzione di questa specie di ipnosi?
«Il problema è che con l’ipnosi non ci si riesce a tirare fuori soprattutto se si è stati condizionati nei primi anni di vita. In questo caso è molto difficile un cambiamento d’idee e rimane una specie di schizofrenia nonostante la preparazione che alcuni dimostrano in campi specifici del sapere. È più facile il cambiamento invece in persone la cui educazione religiosa è stata poco attiva, da questo punto di vista; allora crescendo possono arrivare col ragionamento a capire l’inganno delle religioni perché in loro il condizionamento è meno forte».

Quindi ci sono due categorie di persone, quelle recuperabili e le irrecuperabili: forse ciò può dipendere anche dagli “incontri” che si fanno…
«Dipende molto dalla scuola, io credo; infatti, non è un caso che i Ministri della Pubblica Istruzione siano stati, in maggioranza, democristiani per poter controllare il periodo scolastico più delicato. Inoltre i Patti Lateranensi tra Stato e Chiesa nella Costituzione italiana hanno determinato l’inserimento della religione cattolica nelle scuole creando una situazione di discriminazione sociale. Questo tipo di “irretimento” rimane quindi e, anche chi cerca di liberarsene, lo fa con difficoltà per l’educazione dogmatica ricevuta nei primi anni di formazione».

Sempre in quell’intervista tu dici che non ti senti un militante: eppure non perdi occasione per intervenire riguardo alle ingerenze ecclesiastiche. Ritieni di essere un “cane sciolto” e le tue sono solo esternazioni da “picconatore” oppure nel militante trovi dei limiti all’adesione a un progetto?
La seconda. Io non mi sono mai iscritto a partiti o associazioni per essere più libero d’agire ed esprimermi senza dover rendere conto delle mie affermazioni. A volte mi accusano d’essere anticlericale, ma io dico che sono anticretinale nel senso che non sopporto l’insensatezza di certe prese di posizione ecclesiastiche come pure certe loro pretese e privilegi economici che gravano su tutti noi. Per esempio dobbiamo pagare milioni d’euro per l’acqua, l’ICI e l’IRPEF al Vaticano; perché non se la pagano? Questi argomenti sono puramente logici basati su fatti concreti.

Però poiché è velleitario combattere l’influenza della Chiesa in modo dispersivo ed estemporaneo e anche una battaglia condotta solo all’insegna della razionalità è destinata a non avere influenza se non sostenuta da un progetto culturale di respiro il più ampio possibile, puoi indicare e proporre all’UAAR, di cui fai parte nel Comitato di presidenza, quali potrebbero essere i progetti di reciproca collaborazione?
«Ci sono cose che non si possono togliere perché stanno nella Costituzione, come l’art. 7, che non può essere abrogato in modo unilaterale, mentre ce ne sono altre come l’esenzione dall’ICI per gli Istituti Religiosi che si potrebbero eliminare se avessimo una classe politica veramente laica».

Quindi ci vorrebbe un progetto relativo a questo tipo di battaglie.
«Nel mio ultimo libro dico che si potrebbe fare una battaglia di tipo economico, quella che potrebbe avere più appiglio nell’opinione pubblica».

Ed è una delle battaglie che conduce anche l’UAAR. Quindi sei d’accordo con noi!
«Certo. Sono meno d’accordo sullo “sbattezzo” che potrebbe sembrare una mania. Servirebbe forse una cerimonia collettiva anche se potrebbe essere interpretata in modo folcloristico. Sono più d’accordo, invece, sulla battaglia per togliere i crocifissi dagli edifici pubblici. In Italia abbiamo dimostrato, con la vicenda legata a Adel Smith e agli altri contenziosi, d’essere più fondamentalisti dei fondamentalisti americani. In Arkansas, mi pare, un ministro dovette dimettersi per aver approvato la collocazione d’un monumento con i dieci comandamenti in un tribunale in seguito alla denuncia fatta contro questa decisione!».

E quali pensi possano essere, invece, gli ambiti in cui si riesca ad agire in modo più coordinato e progettuale coinvolgendo maggiormente intellettuali laici per ottenere un concreto avanzamento verso l’obiettivo comune di uno Stato finalmente laico?
«Basterebbe ritornare ai valori del Risorgimento. Tra il 1861 e il 1929 il nostro Stato Italiano era laico. I Patti Lateranensi del ’29 e la sua immissione nella “Costituzione” del ’48 hanno creato una situazione di dipendenza dal Vaticano difficile da estirpare. I nostri politici oggi dimostrano poi, in grande maggioranza, di non essere determinati e di prostrarsi continuamente per una ragione o l’altra di fronte all’autorità ecclesiastica senza prese di posizione nettamente laiche. Tutto diventa quindi più difficile…».

Forse bisogna fare richieste precise ed associarsi. Adesso, per esempio, stanno nascendo le Consulte laiche che interloquiscono con i politici. Questa potrebbe essere una strada…
«Certo, ma è comunque molto difficile che possa cambiare la situazione. Si possono fare iniziative specifiche (scrivere articoli, fare i DDU, celebrare l’anniversario di Giordano Bruno), ma a livello istituzionale ci vorrebbero politici alla Zapatero che comincino a separare il pubblico dal privato. Per esempio, se c’è il Papa in giro si astengano dall’andare a Messa e facciano solo incontri politici non invitando i prelati nelle manifestazioni laiche, cosa non prevista dal Concordato. Ciò darebbe un segnale di presa di distanza».

Anche l’ironia potrebbe avere una sua funzione; Heinrich Böll in Opinioni di un clown scrive: «gli atei annoiano perché parlano sempre di dio». Certamente gli argomenti teorici attraggono soprattutto “gli addetti ai lavori”; non sarebbe quindi opportuno, per contrastare lo strapotere mediatico dei mezzi d’informazione palesi o subdoli che possiede la Chiesa cattolica, usare più frequentemente l’ironia e lo spettacolo per i nostri temi così com’è stato per quello ispirato al tuo libro Il matematico impertinente?
«Sì, sono d’accordo anche perché il rischio delle battaglie anticlericali è di essere saccenti e scostanti. L’ironia è molto più forte, ma rischia anche lei perché può scivolare in grosse polemiche; il crinale è molto sottile, ma dato che i “vilipendi alla religione” li hanno aboliti, usufruiamo di questo fatto … anche se l’anticlericalismo tra i comici non è molto trattato tranne da alcuni come Dario Fo, la Littizzetto, Fiorello … forse i comici percepiscono che non c’è spazio…».

Una domanda più personale: riguardo alla tua formazione, quanto le tue attitudini alla logica dipendono, secondo te, da una predisposizione genetica piuttosto che dall’ambiente in cui ti sei formato?
«Quando avevo nove anni volevo fare il Papa e ho voluto andare in seminario dalla 5ª elementare alla 3ª media. Temo che il motivo per cui sono diventato un logico sia quello, perché l’erede della logica è la scolastica ed era l’insegnamento che si dava negli anni ’60 negli istituti religiosi. Poi ho capito che non erano più tempi per i Papi italiani e ho dovuto andarmene…».

È possibile che ci sia qualche vantaggio per i maschi nelle scuole religiose, ma anche i relativi “blocchi”… ma dipende solo da questo? Ci sarà stata una concomitanza di stimoli culturali.
«Certo c’è sempre una convergenza di natura e cultura…».

A cosa attribuisci la tua capacità di approccio verso l’interdisciplinarietà? Qual è, secondo te, il miglior metodo per indurre la gioventù in questa direzione?
«Per quanto riguarda me penso sia dipeso dal fatto che, avendo frequentato l’Istituto per geometri, quando mi sono iscritto a Matematica ho dovuto colmare autonomamente alcune mie lacune culturali, cosa che mi ha permesso una ricerca libera non condizionata da un rigido programma di studi. La scuola a volte atrofizza l’interesse e non stimola verso un modo globale di concepire l’insegnamento in genere e della matematica in particolare. I libri di divulgazione che si scrivono su questa materia sono una risposta riguardo ai legami tra la matematica e la cultura. A volte, mi scrivono da scuole e mi chiamano per illustrare quel tal o talaltro libro che aveva come scopo di complementare quel corso di studi: queste richieste di intervento mi gratificano molto! Gradatamente le cose stanno cambiando, da questo punto di vista, anche se non ancora a livello istituzionale».

Sempre sulla scuola: l’IRC nelle scuole pubbliche è un’intromissione indebita … e allo stato attuale non sembra possibile opporre altra opzione che il “non avvalersi”. L’UAAR ha recentemente offerto un piano formativo per la “materia alternativa” incentrato sull’ateismo e tratto dall’esperienza della British Humanist Association. Cosa ne pensi?
«Sono più che d’accordo. Io comunque toglierei l’ora di religione, ma il problema è che non si può perché questa fa parte del Concordato. Bisognerebbe almeno pretendere che fosse un’ora di storia delle religioni e non d’indottrinamento cattolico».

A proposito dei termini con cui si qualificano gli Atei e gli Agnostici, mi pare che in te ci sia una buona disponibilità verso la parola Bright in contrapposizione ad A-Bright. Hai mai trovato un termine solo propositivo?
«No. Certo che poi qualunque parola si può negare: a me non dà nessun fastidio dire “non credente”. Bright poi significa illuminato, come illuminista contrapposto a oscurantista: va bene l’illuminismo contrapposto all’oscurantismo della religione. In realtà io ho solo scritto dei Bright, ma non sono associato neanche a loro…».

Per quanto riguarda la nostra sigla, invece, ne hai in mente una alternativa a UAAR?
«In effetti, la vostra sigla non è molto orecchiabile. Ci vorrebbe un acronimo calzante che c’entrasse in qualche modo… quindi potrebbe esserci la parola e il simbolo per facilitare la comunicazione che è fondamentale. Per esempio, per il risvolto del mio ultimo libro ho dovuto contrattare con la casa editrice che non voleva che sembrasse anticlericale e quindi ho deciso di presentarlo dicendo che «per chi crede nel “dio” di Pitagora e degli stoici ossia nell’intelligenza del mondo e le leggi della natura, pensare che il dio della bibbia sia il vero dio è una bestemmia». Mi piaceva ciò è ritorcerlo al contrario e ho messo una frase che mi piaceva molto ossia che «se si leggono le scritture, prima o poi ci si accorge della verità» ossia che «Mosè, Gesù ed il Papa sono nudi»… e questo gliel’ho fatto scrivere. Avrei voluto anche la copertina così, ma non è passata… allora abbiamo deciso per una che non è male: la croce per terra con un bersaglio bianco e giallo, infilzato con la penna del “matematico impertinente” al centro che sanguina inchiostro dalla ferita della penna.

Anche “cristiano e cretino” è una bella apertura.
«In realtà l’idea che cretino voglia dire cristiano è esatta; l’etimologia è quella e per questo si può dire letteralmente che le affermazioni del cristianesimo sono tutte cretinate e non si può essere tacciati di nulla, anche se non piacerà…».

Un’ultima domanda: qual è secondo te il metodo per pacificare il razionale e l’irrazionale del nostro poliedrico cervello?
«Il razionale e l’irrazionale emotivo sono complementari. Bisogna solo sapere quando usare i due emisferi che sono, tra l’altro, collegati tra loro dal corpo calloso. Nelle emozioni e nei sentimenti sarebbe ridicolo usare la razionalità, ma nelle deduzioni razionali non si può usare l’irrazionalità. La religione è singolare proprio da questo punto di vista perché pretende di far passare per razionale (la teologia) ciò che non lo è».