C’era una volta, anzi, vent’anni fa…

di Marco Accorti, Firenze

C’è l’uso di festeggiare le nascite e via via che il tempo passa la loro ricorrenza. Si chiamano compleanni: si fanno gli auguri, si taglia la torta e si brinda. Ogni volta però che “s’incigna la decina” il rito diventa più solenne ed è buona norma fare anche il discorso. L’UAAR, ad esempio, essendo nata nel 1987, l’anno prossimo compirà quei vent’anni che esigeranno allocuzioni e riverenze adeguate all’occasione. Ma noi, atei, agnostici, apostati, laicisti, relativisti, bastian contrari della peggior genìa, gente questo sì, di poca fede, ci sentiamo stretti nel ritualismo canonico e non possiamo far finta di nulla sapendo che a monte d’un parto e d’una gravidanza scelta c’è qualcosa che oltre alla felicità dà pure un grande godimento.

Per questo non possiamo non ricordare che - sì - l’UAAR è nata ufficialmente nell’87, ma la sua più o meno immacolata concezione, quel coito mentale, momento di piacere indimenticabile, è quest’anno che compie i suoi primi vent’anni. Infatti, come narrano le cronache¹, il 4 dicembre 1986 Rodolfo Costa, Martino Rizzotti e Lorena Ziron dettero vita a Padova all’associazione, all’insegna che nella nostra eretica comunità, almeno questa volta, sono certi anche i padri. A Martino fu dato il primo incarico quale coordinatore, il 19 ottobre 1987 fu approvato il primo Statuto e il 18 dicembre 1988 ebbe luogo la prima assemblea pubblica.

È pur vero che durante la gestazione il nome cambiò da “AAAR” a “UAAR”, ma solo perché è normale che la decisione finale la si prenda dopo il parto che, nel nostro caso, non fu né sofferto né difficile. E poi non cambiò la sostanza, perché se da Associazione diventò Unione, rimasero le “AA” degli Atei e degli Agnostici e la “R” di Razionalisti. Due A che dovevano indicare la massima apertura culturale possibile visto che «[gli aderenti all’UAAR] possono dare significati diversi alla loro scelta dal momento che ci sono molti modi di concepire sia l’ateismo che l’agnosticismo. La pluralità filosofica, oltretutto, è una garanzia contro involuzioni, sia pure remote, di tipo integralistico, in quanto già nella vita interna i soci accettano e rispettano le reciproche diversit໲.

Son passati vent’anni, oggi è cambiato anche lo Statuto, ma c’è un altro punto che Martino tenne allora a ben specificare, quel Razionalisti che ancor oggi procura a taluni singolari prudori: «Riporre nella ragione il principale fattore di emancipazione intellettuale e culturale non significa assolutamente negare o sottovalutare altri aspetti della condizione umana (l’emotività, ecc.), pena cadere nell’irragionevolezza. Ma l’aggettivo “razionalisti” ha anche un significato in negativo, un significato di demarcazione nei confronti di chi, pur non professando alcuna religione, e potendo perciò essere considerato ateo o agnostico, “crede” tuttavia nell’astrologia, nella cabala, negli ectoplasmi…».

Come ricordiamo i nostri “progenitori”, non possiamo dimenticare quei ruffiani lestofanti che in grisaglia parlamentare e abito talare si accoppiarono sul soglio pontificio per far nascere quel mostro etico e giuridico del nuovo concordato. Già, perché fino ad allora, il clericalismo per quanto diffuso non aveva ancora quella supponenza prevaricatrice che a un certo punto cominciò a rivendicare. Mestava sì nel torbido della politica, ma con un profilo se non basso almeno “contenuto”. Anche perché col divorzio e con l’aborto s’era preso delle belle sberle e aveva abbassato la cresta. Ma anche il nuovo stato di famiglia e il sempre maggiore sviluppo dello Stato sociale avevano lentamente contribuito a erodere l’onnipotenza chiesastica mettendo in discussione quell’arroganza con cui da secoli la Chiesa Cattolica Apostolica Romana (CCAR) era abituata a monopolizzare il mercato dalla culla alla bara. La P2 e lo IOR avevano poi definitivamente sputtanato l’intera gerarchia vaticana: morti eccellenti, da Ambrosoli a Calvi, killer prezzolati, mafia o banda della Magliana che fossero, portavano tutti a San Pietro.

Fu allora che la CCAR, toccato il fondo, mercanteggiò con i sedicenti laici al governo la spartizione di un potere in disfacimento facendo leva sulla loro illusione riguardo «l’arretramento del pensiero religioso come un prodotto inevitabile del supposto progresso materiale della società» e barattando la “religione di Stato” – sempre più affermazione di principio perché sempre più inconsistente nei fatti – con l’occupazione massiccia della scuola pubblica. Strategia subdola, e per ora vincente, che ha consentito l’indottrinamento propagandistico fin dalla più tenera età e la possibilità di infiltrarsi dal basso così da riconquistare gli spazi perduti nell’ambito di quel conservatorismo familiare oggi gravitante nella galassia dei neo-, teo- e demo-con, nonché degli atei devoti. Fu allora che nacque l’esigenza di dare impulso al nostro pensiero – “debole” solo perché lontano da ogni tentazione di imbonimento catechistico – e di trasformarlo in militanza attiva: «Ciò che ha fatto ritenere colma la misura è stata la sottoscrizione di un nuovo concordato fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica prima (18/2/1984), e l’intesa di applicazione dello stesso concordato nella scuola poi (14/12/1985)».

Da lì, dall’indignazione verso tanta protervia, veniamo. Da lì, la dignità per uscire allo scoperto per ritrovarsi in una battaglia di idee e di civiltà non più soli a rivendicare un ruolo finora negato e a perseguire obiettivi oggi ancora lontani «…soprattutto superare il principio della semplice libertà di religione in favore di quello più generale della libertà di tutte le concezioni del mondo, comprese quelle non religiose, quelle atee e agnostiche. Tutte vanno considerate sullo stesso piano, con pari dignità e pari diritti (compreso eventualmente quello di essere citate nella costituzione). Per questo è importante definirsi in positivo, senza integralismi, come atei e agnostici».

Sono passati vent’anni e, almeno per noi, non certo invano. Grazie a tre teste pensanti oggi siamo più di 1800 e fra un po’, come APS, ci troveremo ad affrontare un altro salto di crescita, sicuramente di impegni, probabilmente anche numerico. D’altra parte anche il “da fare” è aumentato forse ancor più dei timori e delle previsioni di Lorena, Martino e Rodolfo. Ovviamente a questo punto un cin cin e un reciproco augurio ci stanno bene, ma non dimentichiamoci mai di continuare a rivendicare il diritto a non piegare la testa alle credenze dal momento che, ancora oggi, dopo vent’anni «la nostra associazione ha uno spazio oggettivo perché è un terreno completamente disertato dal laicismo contemporaneo». Auguri quindi, ma non cento di questi giorni, perché vorrebbe dire che il clericalismo e il fideismo la fanno sempre da padroni.

Note

[1] Storia dell’UAAR, UAAR, Padova, 1994, pp. 14.

[2] Dove non altrimenti segnalato le citazioni in corsivo sono tratte da: Il pensiero rimane. Scritti di Martino Rizzotti, a cura di Mitti Binda, UAAR, Padova 2003, pp. 233.