L’Ateo a Livorno dal 1877 al 1880

di Alba Tenti, Firenze

Con animo turbato e commosso, come davanti a un pezzo di storia vissuta e documentata, mi sono messa a leggere e analizzare i 29 numeri della rivista L’Ateo, settimanale, edito a Livorno, del quale abbiamo avuto le riproduzioni dal 16 settembre 1877 (anno I, n. 5) al 16 giugno 1878 (anno II, n. 20), con una interruzione di 15 mesi, per avere subìto sequestri e un processo. Il 18 marzo 1880 riprendono le pubblicazioni e di questo periodo abbiamo solo 4 numeri (anno IV, n. 20-24), pieni d’entusiasmo per l’anniversario della Comune parigina e di denunce per tutte le persecuzioni ai danni dei socialisti-atei. Non sappiamo se la rivista fu nuovamente sequestrata o dovette cessare le pubblicazioni per difficoltà finanziarie, alle quali non furono estranee la morosità di una parte degli abbonati i cui nomi e cognomi sono denunciati in tanti numeri. È sufficiente il materiale che abbiamo per avere un panorama politico, sociale e filosofico di questo breve periodo di storia italiana. La rivista si definiva «periodico popolare di filosofia razionalista». Sotto la testata ci troviamo il motto proudhoniano «dio è il male».

Strano a dirsi, ma l’unico fascicolo reperito nelle Biblioteca Labronica di Livorno, dove veniva stampata la gloriosa testata, è il supplemento al n. 14 del 20 novembre 1877, in cui si danno notizie dettagliate del processo intentato a L’Ateo per aver pubblicato articoli che «provocavano odio contro la religione cristiana». Si mette in evidenza l’ottima difesa e arringa degli avvocati e il verdetto di assoluzione che viene accolto con gioia dal pubblico presente. I difensori sono applauditi dal pubblico che li accompagna fino al caffè Corradini (evidentemente un locale prestigioso di quel tempo).

Il nostro periodico, ben evidenziato anche dal titolo, conferma la sua ideologia e i suoi interessi: la denuncia prima di tutto del ruolo politico e conservatore della chiesa cattolica nei confronti del progresso e della scienza e di qualsiasi movimento innovatore e poi la contrapposizione completa e totale verso qualsiasi fede religiosa, considerata alla stregua delle superstizioni e sinonimo di oscurantismo.

Il settimanale percorre un periodo della storia complessa e difficile, ma anche pieno di aspettative e di speranze: infatti la Destra storica cede la direzione del governo alla Sinistra che presenta un programma innovativo, che piano piano attenua per cercare di attuare una solida maggioranza. Le gravi difficoltà economiche acuiscono il malessere sociale tanto che nascono e si diffondono associazioni di lavoratori, leghe di braccianti, federazioni di mestiere. Distribuiti in modo irregolare sul territorio nazionale, spesso privi di coordinamento, hanno diverse matrici ideologiche, alcune si ispirano alle dottrine socialiste, fanno propri i principî della lotta di classe e altre come le associazioni di mutuo soccorso si rifanno al solidarismo mazziniano o a quello cattolico.

In questo contesto si pubblica L’Ateo che nei suoi articoli risente del clima politico, in modo particolare i quattro numeri del 1880 che assumono un carattere di difesa del socialismo e di denuncia delle persecuzioni politiche subite dagli atei, dai repubblicani e dai socialisti. È evidente il binomio ateo-socialista che si coniuga insieme. C’è una fede invidiabile sulla vittoria del socialismo che porterà felicità e pace; si dà notizia di congressi per la creazione di un partito socialista e dell’acquisita coscienza di classe del proletariato.

Il primo numero del 1880, uscito il 18 marzo per commemorare il IX anniversario della Comune parigina, riporta in prima pagina, in sintesi, il suo programma; il manifesto poi si rivolge agli operai e ai giovani affinché solennizzino l’anniversario. Le tematiche di questi quattro numeri hanno un’impronta più politica, meno anticlericale e non più rivolta a commentare passi biblici o a mettere in evidenza tramite argomenti polemici e antireligiosi la non esistenza di dio, come invece sono primarie nel primo anno di pubblicazione (1877). Gli articoli ora vertono sui salari, sulle ingiustizie sociali, sulle detenzioni e persecuzioni, da parte dei questori e della polizia, di socialisti e repubblicani, notizie che arrivano al giornale dai corrispondenti. Si informa, in un articolo, del processo che ha subìto Costa e della sua condanna in contumacia a 10 mesi di carcere. Come contropartita a questo clima di repressione nascono nuovi organi di informazione, leghe socialiste anche in America latina, si mette sotto accusa la politica anti-socialista del Bismark; si informa che, negli Stati Uniti, presto ci sarà il trionfo del socialismo perché sono diventati forti i sindacati che operano contro il capitalismo. È pubblicato un articolo contro la pena di morte affermando che non è un placebo contro gli omicidi e la delinquenza. C’è in questi quattro numeri un orizzonte aperto ai problemi politici e sociali europei e mondiali; si può asserire che c’è stato un vero salto di qualità rispetto ai primi: la cronaca non è più cittadina, non si perde in polemiche contro le malefatte dei preti o del vescovo della città, ma spazia su problemi ben più seri e contingenti.

La rivista del periodo che va dal 16 settembre 1877 al 16 giugno 1878 ha una struttura di quattro pagine; i titoli di alcuni articoli danno il tono al settimanale: Brindisi a Satana, Dei tre impostori, Amenità pretesche, Il dio e la scienza, Demonologia. La quarta pagina è riservata ad annunci funebri e a recensioni di riviste scientifiche, letterarie e filosofiche o si dà notizia della pubblicazione di qualche libro. Alcuni numeri riportano poesie, di cui una del più noto collaboratore, il poeta Rapisardi; in altri appare la lotta contro il prete, invocata da Garibaldi in una lettera scritta ai promotori del giornale e pubblicata: «Miei cari amici, far guerra ai preti, comunque sia, è opera santa. Sarò con voi per la vita».

Un operaio scrive al giornale perché il figlio ha imparato il turpiloquio, andando a scuola da un prete, oppure sono amene le lettere aperte inviate al vescovo di Livorno, Sua eccellenza Raffaele Mezzetti. Si rimprovera il prelato, che dal pulpito infanga gli atei non mettendo a frutto gli insegnamenti evangelici riguardo all’amore tra gli uomini; in altra parte, sempre il suddetto vescovo è accusato di aver negato una preghiera o una funzione al defunto re Vittorio Emanuele II; se qualcuno lo ha voluto ricordare è dovuto ricorrere agli ebrei o agli evangelici. Il vescovo poi si recherà con la sua splendida carrozza alle esequie ufficiali nella capitale.

Interessante poi è la risposta al pastorale del vescovo in cui si parla della penitenza: con quale autorità e con quale mandato i sacerdoti assolvono o castigano coloro che si confessano? I confessionali, conclude il giornalista, sono tutte agenzie di spionaggio. Sempre nel pastorale, Mezzetti finisce con l’accusare l’umanità di corruzione e per questo motivo, conclude, dio punisce gli uomini. Allora l’articolista si chiede: dov’è la clemenza di dio da permettere tanto male? Infine, viene detto al vescovo di togliersi la maschera di ateo e di non prendere in giro i “citrulli” che credono in dio.

Gli articoli a puntate riguardanti i Pensieri su Mosè, sono divertenti e ameni. Il profeta è presentato come un burattino che ubbidisce a qualsiasi ordine assurdo di dio, oppure come uno sciocco che muove le risa degli egiziani quando, per convincere il faraone a liberare il popolo egiziano, minaccia di tramutare ogni atomo della terra in mosconi o di mandare i pidocchi. Dio appare a Mosè sotto forma di pruno ardente, viene presentato come un prestigiatore e un mago che insegna al profeta tutti gli stratagemmi per raggirare il faraone; è il creatore dell’universo, ma non sa che la Caldea è una regione desertica poiché la descrive come un paese di latte e miele.

La biografia del gran mago Mosè inizia su L’Ateo il 20 novembre sul n. 3 e prosegue fino al 9 giugno dell’anno 1878. Si chiude mettendo in evidenza le contraddizioni bibliche: il faraone muore affogato nel Mar Rosso con tutto il suo esercito; come mai è stato punito e che colpa ha commesso? Come ha potuto avere un esercito di 600.000 uomini, dal momento che tutti i figli maschi erano stati uccisi? Gli storici egiziani non fanno menzione di questa carneficina. Inoltre, come mai gli ebrei non si sono impadroniti dell’Egitto, ma hanno dovuto superare altre tremende prove per tornare nella terra promessa? Inoltre dio punisce con il sacrificio di 15.000 uomini, che vengono scannati, perché hanno adorato un agnello invece della divinità.

Giudizi molto severi e anche veritieri si danno su dio e su Gesù. C’è una rubrica a puntate intitolata Riflessioni, in cui si dimostra la non esistenza di dio: infatti non occupa spazio, non è neanche atto a creare “grullerie”. Dio è ignoranza, ingiustizia, è un tiranno capriccioso, la creazione non ha altro fine che la caduta dell’uomo; il desiderio di dio di essere onorato non è altro che un atto di arroganza, è indice di imperfezione. Su Gesù si dice che la sua predicazione non è innovativa, ma ha fatto solo qualche cambiamento: quando voleva combattere un vizio sociale elevava il vizio opposto: violenza-vigliaccheria; umiltà-disprezzo di sé; amore-odio. Dio è fonte di male, come lo è Gesù: se esistesse sarebbe un assassino, egli non fa niente a favore degli uomini anche se si favoleggia che il suo scopo è di rendere felice l’umanità, quindi conclude il pezzo: dio è un “birbone”.

Ha origine, in quel periodo, la discussione sull’opportunità di inserire l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole. Il giornale interviene affermando energicamente che la scuola non deve insegnare nessuna religione, ma infondere regole morali, libertà di pensiero e di religione, deve promuovere un’istruzione laica e scientifica; altrimenti lo Stato non è libero.

In altra parte si dà notizia della morte di papa Pio IX, dell’incoronazione nella Cappella Sistina del nuovo pontefice Leone XIII e delle dimostrazioni anti-italiane da parte dei cattolici cui sono seguite controdimostrazioni liberali al grido di “Abbasso le Guarentigie, viva la libertà”; le manifestazioni si sono ripetute in varie città italiane e anche ad Avignone in Francia (ex sede papale). Si fanno gli auguri a Garibaldi per la salute riacquistata.

Un reclamo da un carcere giudiziario, perché i detenuti devono assistere a capo scoperto e in piedi alla messa, fa comprendere come gli atei operino per uno Stato laico il cui fondamento sia la giustizia. Si osserva che per rispetto al principio di libertà il culto fu abolito in ambito militare, la stessa legge deve anche valere per i detenuti.

In altra parte, ancora, si trovano osservazioni sul rapporto della donna con la religione: essa ne è succube (il testo afferma che è “inebetita”) perché le si è negata la libertà di pensiero. I preti la adescano facilmente affinché condizioni i figli e li trasformi in credenti. È dovere educare la donna, renderla libera, indipendente e capace di essere una buona educatrice. A questo riguardo c’è una lettera a una certa Angelina di un amante deluso perché lei è una credente. Un prete dal pulpito si rivolge alle donne affinché convertano gli eretici e gli atei. La donna nella società patriarcale è colei che detiene e conserva quei valori recepiti e tramandati dalla tradizione che il giornale combatte e contro cui lotta.

Altri sono gli argomenti affrontati, in modo particolare è assai sviluppato il tema della non esistenza di dio, delle contraddizioni bibliche, della demonologia, del rifiuto della teologia e dei teologi che inventano favole, che non hanno nessun supporto razionale.

Tanti altri temi poi sono dibattuti nei vari articoli e rubriche; ma ho dovuto scegliere e riportare quelli che a me sono sembrati più interessanti per capire la mentalità, le opinioni, la filosofia del vivere quotidiano, le speranze di uomini e donne che hanno condiviso con noi la fede nella razionalità e nel libero pensiero.

Ho ammirato e anche invidiato, durante la lettura del giornale, la grande fiducia riposta in un futuro diverso in cui si attui una maggiore giustizia sociale, un futuro in cui gli uomini siano scevri da superstizioni e da credenze religiose, fede ed entusiasmo che noi forse abbiamo perduto per molti motivi, tra cui la caduta del muro di Berlino che ha rivelato il fallimento del socialismo reale nei paesi dell’Est europeo. Siamo molto scettici che si possa attuare una società veramente laica per l’eccessiva ingerenza del Vaticano nella politica italiana (vedi, per esempio, le recenti grossolane interferenze nei mezzi di comunicazione del nostro Stato in occasione del cambio di gestione vaticano), per il suo strapotere economico, per la presunta esigenza umana di credere in un aldilà che promette una vita eterna.

Non affrontiamo qui - perché rischieremmo di andare fuori tema - anche l’intromissione nelle coscienze di uno Stato integralista straniero nelle recenti vicende referendarie italiane. La scienza, rispetto alla fine dell’800, anni in cui avveniva la pubblicazione de L’ateo, ha fatto passi da gigante, ma ancora non ha dato quelle risposte che l’uomo comune attende e per le quali si rifugia nella religione che soddisfa, con le sue false credenze, tutte quelle domande che l’uomo e la donna si pongono e si sono sempre posti.

Una lezione si può apprendere dai nostri lontani amici atei: di lavorare uniti, solidali e con entusiasmo per realizzare una società più giusta. Gli uomini che ci hanno preceduto, lo hanno fatto in condizione di minore libertà di pensiero rispetto ai nostri tempi subendo persecuzioni, scontando nel carcere pene con la sola colpa di aver operato per una comunità libera, laica e giusta. Impariamo il loro coraggio, la loro forza e la loro speranza e, muniti di tutto ciò, continuiamo a lavorare e a operare affinché non vada perduto tutto quel patrimonio di idee e di valori che con tanto sacrificio ci hanno trasmesso.