L’ateismo a Venezia: Libero pensiero e le doti del cuore

di Marco Accorti, Firenze

Oltre al settimanale L’Ateo del 1875, da Venezia sono giunti anche l’Albo Ateo del 1880 e l’Almanacco Ateo del 1887. Se poi ricordiamo che è stato censito anche un Almanacco del 1877, risulta disponibile un’ampia panoramica dell’ateismo che abbraccia con continuità più di un decennio successivo alla presa di Roma, consentendo una visione che spazia ben oltre la città di Venezia, centro di queste iniziative editoriali.

Cuore, mente e motore di tanta produzione editoriale è il barone Ferdinando Swift, veneziano d’adozione ma nato nel ’31 a Genova, figlio del visconte Carlingford Goldwin Swift e della baronessa Maria Teresa Wetzlar. Dalla prima sentenza di condanna del 1869 si viene a sapere che è «libero pensatore, ammogliato, senza figli, direttore e gerente responsabile del periodico “la Ragione”»; da altre parti si apprende che è impegnato per la promozione della cremazione, primo passo verso la costituzione della “Società Veneziana per la Cremazione”. Dunque un laico incallito, nonché impenitente recidivo vista la perseveranza con cui continua ad accumulare condanne per la sua opera di divulgazione e di promozione. Ma Swift non si pone al centro del movimento anticlericale, bensì si fa solo strumento di propaganda per l’unità e la laicità d’Italia e in particolare di Garibaldi, a cui è da tempo legato. Questo connubio, appena accennato nel periodico L’Ateo, troverà invece piena forma nell’Albo e nell’Almanacco.

Pur non essendo cronologicamente coincidenti, e ciò rende parziale ogni considerazione, L’Ateo di Venezia e quello di Livorno mostrano differenze significative nella loro impostazione. Da Livorno vien fuori quello spirito in cui materialismo e socialismo (pur nell’accezione del tempo) si identificano con uno smaccato ateismo libertario, in taluni casi si direbbe “guerraziano” se non massimalista, comunque marcatamente ottocentesco. Non che oggi non se ne sentirebbe ancora il bisogno, ma è un atteggiamento “datato”, frutto anche di una terra, la Toscana, da tempo avvezza a godere di libertà e di laicità altrove negate. Basti ricordare che già il 5 gennaio del 1860 il generale Cadorna, come ministro della guerra del governo provvisorio, firmava una delle prime leggi (la n. 8) conseguenti all’annessione, allora unilaterale, della Toscana al Piemonte in cui si decretava «Che i militari acattolici siano dispensati dallo intervenire alla messa nei giorni festivi, e a quelle altre pratiche religiose cui assistono le Truppe alle quali appartengono». Da par suo il barone Ricasoli, cattolico conservatore, come presidente del consiglio dei ministri emanava il decreto n. 90 del 23 febbraio 1860 «che proibisce l’ingresso e la circolazione in Toscana dei Giornali “la Civiltà Cattolica”, “l’Armonia della Religione con la Civiltà”, “il Cattolico”, “il Piemonte”, “il Campanile”, e di qualunque altro opuscolo politico-religioso pubblicato nei Luoghi tuttora soggetti al Governo Pontificio» perché «turbano le coscienze confondendo le verità eterne della Religione con i transitorj interessi mondani, oltraggiando coll’errore la fede e la civiltà». Dunque in Toscana i codini e i paolotti erano già da tempo tenuti a bada dagli stessi cattolici liberali fautori di un franco anticlericalismo, così che da parte atea il terreno di scontro, riducendosi, si spostava sul piano più avanzato del socialismo nascente.

Venezia invece appare più come un moderno “laboratorio” di strategie volte a riunire le varie posizioni, cercando di basare il consenso più sulla convergenza verso il libero pensiero che sull’esclusività di una posizione atea intransigente. Il materiale veneziano è troppo ampio ed articolato per darne un resoconto approfondito, quindi l’attenzione si concentrerà sugli aspetti ritenuti di maggior interesse e, per quanto possibile, lasciando la parola ai documenti, capaci di trasmettere quell’entusiasmo e quell’atmosfera di cui abbiamo ancora molto bisogno.

L’Ateo 1875

Il settimanale esce la domenica e ha una consistenza ridotta a 4 numeri consecutivi di 4 pagine ciascuno, dal n. 1 del 30 maggio 1875 al n. 4 del 20 giugno. C’è inoltre un “Supplemento straordinario” al n. 4 del 22 giugno, composto da 2 soli fogli con, a caratteri di scatola, «SEQUESTRO». Il gestore responsabile è Giuseppe Spinelli, figura a lungo presente nella pubblicistica atea, ma Ferdinando Swift è qualcosa di più del semplice direttore, non a caso il recapito del periodico è «Ufficio del Giornale S.M. del Giglio Palazzo Swift». Nel primo numero campeggia il Programma, a firma dello Spinelli, incentrato sulla sconfessione delle credenze religiose quali «prostituzione del raziocinio» e sulla superiorità del «libero pensiero e le doti del cuore». Fin troppo attuale il fondo dello Swift che, se non fosse per lo stile, non stonerebbe neppure oggi, ammesso che il clericalismo trasversale che contamina tutta l’odierna informazione gli concedesse spazio:

    «se in Italia il partito clericale avesse a rimanere vincitore, l’Italia ritornerebbe squartata come per lo innanzi e soggetta al dominio nefando, obbrobrioso dei Gesuiti: sarebbe riattivato il governo del sacerdozio che fu sempre la causa di mantenerla schiava ignorante, divisa!».

Ma non basta. C’è un’altra tragica prefigurazione dei tempi attuali: l’esigenza di eliminare

    «…l’istruzione religiosa nel pubblico insegnamento la quale inceppa lo sviluppo morale e materiale dei giovanetti; confonde le loro idee mantenendo il pregiudizio fonte d’ogni nostra disgrazia».

Ironico è anche il commento a una proposta del senatore Angioletti che, per sostenere la necessità di punire col carcere i bestemmiatori, deplora un’Italia dove il ministro della pubblica istruzione, Ruggero Bonghi, era ateo (bei tempi!), ma dove anche il ministro dell’interno Cantelli invita allo studio perché è possibile «col rimedio dell’istruzione togliere il vizio della bestemmia». Altri tempi, come si vede. Siamo davvero caduti in basso se è ancor oggi è necessario ripetere le parole di chiusura dello Swift:

    «Orsù dunque alla lotta: ma badate di non confondere la fede con la credenza, come fate voi aspidi velenosi, perché la fede è cosa propria di ogni uomo e sta nell’esercizio della ragione colla convinzione del bene operato, mentre la credenza è l’errore dell’ignoranza con cui volete avvolgere la libertà di pensiero, riducendo ognuno alla schiavitù del vostro dominio».

Col secondo numero de L’Ateo cominciano le risposte alle accuse più disparate della stampa clericale:

    «L’ateismo negazione di dio, viene chiamato empietà? ma l’ateismo è annesso inseparabilmente alla severa morale. Alla più severa morale è annessa la più perfetta e delicata coscienza».

Il clou è una lettera del sentore Giorgio Pallavicino sull’esigenza improcrastinabile di abrogare il primo articolo della Costituzione che definisce la religione cattolica-apostolica-romana unica religione di Stato:

    «è questa la piaga che diverrà cancerosa, se non si pensa seriamente a guarirla con una cura radicale».

E siccome più che a una cura s’è ricorsi a pannicelli caldi, eccoci oggi a far ancora i conti con le recidive di questo cancro. Anche il n. 3, in tempi di rigurgiti clericali e di istigazione all’insipienza e al disimpegno, è di tragica attualità. Il Veneto cattolico si era fatto allora portavoce di un qualunquismo non dissimile da quello perorato dai vescovi italiani nella recente campagna referendaria: destra e sinistra son la stessa cosa, unico scopo è governare per rubare e riempirsi la pancia. Siamo in presenza di un fulgido esempio dello spirito “democratico” della chiesa:

    «Oggi noi assistiamo allo spettacolo della così detta lotta elettorale; quale scena disgustosa e raccapricciante, o popolo mio!».

I commenti dello Swift, anche se non teneri, sono scarsi e per di più in nota, perché si lascia al lettore il gusto di trarre un’opinione dalla lettura; del resto non potrebbero mai essere tanto squalificanti quanto la chiusa dell’articolo stesso: «Né eletti né elettori! Viva Pio IX! Papa e Re» e qui, con poche righe in nota, mostra cosa voglia dire più che esser baroni l’esser “signori”:

    «Se la verità e la giustizia trionfassero su tutta la linea voi non avreste più diritto di esistere che soltanto come cittadini condannati a guadagnarsi il loro vitto lavorando. E qui facciamo il punto lasciando ai lettori ulteriori commenti».

I commenti arrivano col n. 4. Se i primi tre numeri sono sostanzialmente impostati su questioni di impianto politico, ora viene dato spazio a tre lettere che entrano con i piedi nel piatto. La prima è di un lettore, un non meglio identificato C.B., che si lamenta perché «Nei tre suoi primi numeri non una parola che spieghi l’ateismo o che ad esso menomamente si riferisca» e così, con un’articolazione che almeno nella forma smentisce l’autopresentazione dell’autore come «oscuro operajo e di poca cultura», pone “rimedio” a questa lacuna con una puntuale analisi critica delle credenze fideistiche ricorrendo anche a taluni “massimalismi” dell’ateismo classico, ma non certo inattuali: «la stolta credenza dei cristi che sudano come i facchini e delle madonne di carta che piangono e ridono come pazze».

Swift ovviamente gongola, ma fa intravedere la ragione dell’aver impostato il discorso più che su distinzioni filosofiche su temi d’ordine più generale. Non si ritrae dallo scontro, ma quel che cerca, piuttosto che l’affermazione dell’identità atea, è la legittimazione del libero pensiero quale strumento democratico di convivenza civile. La seconda lettera, a firma Ettore Arturo Topan, è breve e va al sodo:

    «L’ateismo è una delle più evidenti manifestazioni del progresso e dell’incivilimento dell’uomo. […] Il miglioramento di se stesso sprona l’uomo alla ricerca delle origini, della ragione d’essere dell’individuo. La filosofia lo aiuta… il sentimento lo sorregge».

Ben più significativa è la terza lettera da Roma, introdotta da un benvenuto del barone che così chiude:

    «ci permettiamo riprodurre un brano del vostro scritto, onde le donne italiane seguendo il vostro esempio, si affranchino dalla pastoie del cattolicismo».

Dunque chi scrive è una donna, e per di più di scienza; Santa Cadet è ben consapevole dell’oppressione in cui ha sempre vissuto il mondo femminile e va giù pesante:

    «Per placare l’ira di un dio offeso da altra persona gli s’immolava una vergine; quando bisognava un re si facea apparire un flagello, ond’esser certi che fosse o scellerato o asino, gli si chiedea che conducesse a scannare sua figlia…».

Orrore! Siamo di fronte a rivendicazioni protofemministe: con questa lettera, che completa il panorama delle varie “anime” che popolano il mondo del libero pensiero, scatta la censura. Due giorni dopo Ferdinando Swift dedica le due pagine del supplemento alla denuncia del sequestro, avvenuto in seguito alla pubblicazione della lettera di C.B. ritenuta dalle autorità lesiva:

    «i principj cardinali del cristianesimo sanzionato dall’Art. 1 dello Statuto fondamentale del Regno, e costituente una violazione dell’art. 16 della legge sulla stampa 26 marzo 1848».

Meraviglia e stupore per questo attentato alla libertà di stampa e:

    «alla libera manifestazione delle proprie idee, tanto più che si tratta di questioni filosofiche… ragioni del libero pensiero che si fondano sul materialismo e quindi sulla scienza, che non ammette esseri sopranaturali. […] Frattanto si ottenebra l’intelligenza col sistema religioso che mistificando la verità getta in un laberinto di concetti assurdi e ridicoli».

E qui il barone ribadisce i soliti concetti:

    «che venghi tolto il primo articolo dello Statuto che assolutamente inceppa non solamente la nostra prosperità finanziaria (*) ma eziandio lo sviluppo intellettuale della giovane nazione italiana».

Quanto fosse esoso il prezzo pagato lo chiarisce nella noterella:

    «(*) Si rammenti il lettore che nel bilancio dello Stato le spese di culto ascendono a 240 milioni!!!».

Ma il pizzo non basta: il barone però ha il senso dell’ironia e fa sì che sia la controparte stessa a mettersi in berlina pubblicando una delle tante questue all’insegna del «Chi dona al Papa presta a Dio». A onor del vero questa volta non sembrano sul mercato intercessioni divine né indulgenze, ma santini:

    «Ogni offerente riceverà in dono un’immaginetta di Pio IX. Chi raccoglie almeno 200 lire riceverà in dono un ritratto naturale del S. Padre dipinto meccanicamente ad olio, e ciò per gentile pensiero e regalo della Pontificia Società oleografica di Bologna».

Non scandalizziamoci troppo visto che proprio di recente, per adescare i fanciulli al catechismo, un prete di Firenze ha introdotto la messa a punti. Il premio? Un viaggio a Mirabilandia! Non sarà certo la salvezza eterna, del resto il paradiso può attendere, ma intanto che «i pargoli vengano a me!».

A completamento della disamina di questi quattro numeri de L’Ateo merita descrivere, seppur fuggevolmente, gli altri contenuti. Ogni settimana è riportata una “Rassegna stampa” dall’Italia e dall’estero della miracolistica all’incontrario: processioni finite in risse, stupri da parte di preti, sacerdoti che picchiano i bambini, fulmini e incendi nelle chiese e altre simili notarelle di costume e malcostume clericale. Di grande interesse è la promozione del nuovo, sia tramite inserti pubblicitari relativi a periodici di settore quali Il Libero Pensiero - Giornale dei Razionalisti - Filosofia, Scienze storiche, giuridiche e Naturali e Il Progresso - Rivista mensile delle Nuove Invenzioni, Scoperte, Notizie Scientifiche, Industriali, Commerciali e Varietà interessanti, sia con la promozione dello sport. Particolarmente interessante risulta un breve flash sulla trasfusione di sangue di cui era avvenuta una dimostrazione a Venezia con il concorso di medici da varie parti d’Italia. Già, perché appena 130 anni or sono la chiesa cattolica non ammetteva neppure questa pratica medica!

Albo Ateo 1880

L’Albo Ateo del 1880 si presenta come un omaggio a Garibaldi che morirà due anni dopo. Non a caso l’immagine di copertina è il ritratto a tutto tondo del generale con un inequivocabile «Al primo cittadino d’Italia». In calce seguono i nomi di coloro che sono compresi nell’albo e nella nostra copia è riportato il ringraziamento autografo di Garibaldi per il quadro-Diploma che lo raffigura. L’Albo si apre con la dedica:

    «Illustre generale G. Garibaldi,
    Vi prego di accettare questo Albo Ateo che dedico a Voi, esso è formato dalle varie lettere degli aderenti e non aderenti alla Società di cui faceste l’alto onore di accettare la Presidenza onoraria.
    Venni in questo divisamento per far edotto il pubblico delle veraci massime e dei liberali propositi a cui tende l’Ateismo, sperando con una leale propaganda d’accrescere il numero di quegli egregi che trovano in sé la forza e il coraggio di svincolare da secolari pregiudizi e di porsi al lavoro verso il bene dell’umanità, il trionfo della libertà, della ragione, e della scienza (come mi scriveste nel 28 marzo p. p.), che uniche potranno costituire quell’affratellamento di tutte le nazioni nella concordia, nella pace e nella comune assistenza.
    Con queste poche parole finisco: inneggiando a tutti coloro che hanno gloriosamente cooperato e cooperano pel bene dell’umanità.
    Illustre Generale, faccio caldi voti per la Vostra preziosa conservazione, augurandovi ogni bene unitamente alla Vostra cara famiglia.
    Mi protesto con la più alta stima e considerazione.
    Venezia 22 giugno 1880

    Vostro per la vita affezionatissimo
    Ferdinando Swift»

La lettera cui si fa cenno nella dedica è riportata in forma autografa alla fine dell’Albo. Merita anticiparla per comprendere a fondo il legame fra Garibaldi e la Società Atea.

    «Caprera, 28 Marzo 1880.

    Mio caro barone Swift,
    Indisposto: solo oggi ho veduto la v[ostr]a lettera dell’11 cor[ren]te - terrò ad onore somma la deposizione della Corona a mio nome sulla tomba del grande Manin.
    Vorrei gl’Italiani capissero che il nostro Ateismo è il sinonimo di libertà ragione scienza e che la meta sua è quella di distruggere la più scellerata di tutte le piaghe umane: il pretismo! Sono quindi sempre con voi, e con gratitudine Vro G. Garibaldi.

    Un caro saluto ai soci.

Come si vede esiste un impegno ben preciso del generale nella promozione del pensiero ateo quale strumento di libertà e di affrancamento che si materializzano nella lotta al clericalismo. L’Albo riporta poi due lettere di Garibaldi. La seconda lettera, in particolare, è importante in quanto rappresenta la ragion d’essere dell’epistolario che segue.

    «ad un amico
    Civitavecchia 12 agosto 1879

    Mio carissimo amico,
    Per sollevare l’Italia da tanta apatia conviene sostituire il vero alla menzogna, l’Uomo creò dio e non dio l’Uomo. Lanciate a mio nome un circolare a tutte le Società di cui sono socio o presidente onorario.

    Lasciamo Cairoli tranquillo.
    Ma i preti dobbiamo attaccarli di fronte
    Vostro G. Garibaldi»

Il “carissimo amico” era ovviamente lo Swift. Non è dato di sapere se l’iniziativa viene promossa spontaneamente da Garibaldi oppure derivi da un accordo con lo Swift, comunque il generale ne appare l’animatore e la presenza delle lettere qui citate sembrerebbero un omaggio alla sua intraprendenza. Del resto, come si è già accennato, quando può il barone non accentra mai l’attenzione su di sé, ma la svia su nomi e personaggi più noti al grande pubblico. Si direbbe un gioco delle parti, perché Swift, al di là della sincera stima che nutre per il personaggio, “usa” Garibaldi che a sua volta si presta come “uomo immagine”.

A pag. 2 troviamo un estratto dello Statuto della Società Atea e un modulo accluso quale impegno, se firmato di fronte a due testimoni, di sottoscrizione dei principî statutari. Come si vede lo Swift mette in pratica l’invito di Garibaldi per coinvolgere quanti più aderenti possibile.

    «Dichiaro

    io sottoscritto di mia spontanea volontà di professare i principj materialisti, abbandonando ogni credenza in esseri sovrannaturali e confermando i miei sentimenti e la mia vita a quanto viene provato dalla scienza ed inculcato dalla legge morale.
    M’impongo sul mio onore di adoperarmi per la distruzione delle religioni dogmatiche, per la diffusione della filosofia razionale e per la compiuta vittoria delle idee progressiste.
    È mia volontà di non essere tumulato secondo i riti di una religione qualsiasi, ma civilmente; per lo che l’Associazione Atea di Venezia ha piena facoltà di rappresentarmi presso la mia famiglia e le Autorità, affinché non sia il mio corpo sepolto con quale siasi cerimonia religiosa»

Siamo in presenza di una “moderna” dichiarazione d’intenti che prefigura la necessità di un tutore delle volontà individuato in una struttura associativa e contiene talune indicazioni oggi riprese da alcuni “testamenti biologici”. Le lettere di risposta alla circolare inviata sono aperte da un telegramma di Garibaldi:

    «Caprera 23 settembre 1879

    Barone Swift - Venezia

    Grato accetto Presidenza onoraria Società Atea»

Poi lo Swift cala un carico da undici «Per dimostrare che la Società Atea è assolutamente libera e rispetta qualsiasi Autorità legalmente costituita». È la lettera con cui il prefetto di Venezia porge i ringraziamenti dei sovrani alla Società in seguito alle felicitazioni inviate per lo scampato pericolo di Umberto I all’attentato del 17 novembre 1878. Ricordate quel sibillino accenno di Garibaldi al «Lasciate Cairoli tranquillo»? Proprio Benedetto Cairoli era rimasto ferito per difendere il re. Ebbene anche Cairoli, pur “sottotraccia” essendo allora presidente del consiglio dei Ministri (e quindi da lasciare tranquillo), era della partita e manda un messaggio di solidarietà all’iniziativa. Seguono in ordine le lettere in risposta o comunque inerenti alla circolare: M. Garibaldi, S. Canzio, N. Parboni, L. Bûchner, P. Arquati, F. Cavallotti, M. Macchi, N. de Andreis, B. Cagliola, A. Bertani, E. Florita, G. Cozzi, B. Cogliola, A. Della Bella, C. Bosi Villalba, B. Galletti, T. Girolamo, G. Giuliano, M. Zagarese, M. Aldisio Sommilo, S. Pagliaro Bordone, F. Zambelli Barbagliotti, G. Garibaldi, 4 di F. Swift e 2 di A. Saffi (carteggio ripetuto), G. Garibaldi citato dallo Swift, G. Giovannelli, B. Galletti, A. Mario, ancora F. Swift, L. Molino, B. Cagliola, A. Bertani, F. Swift, E. Mattei, L. Pianciani, L. Stefanoni, F. D’Agata, M. Aldisio Sommilo, G. Sergi.

Interessante è lo scambio Swift-Alberto Mario il quale rivendica il principio «ateo in filosofia significa repubblicano in politica». Il barone puntualizza che «nelle file degli Atei militano repubblicani e monarchici» e che si son viste «Repubbliche dispotiche clericali e … monarchie costituzionali e anticlericali». Del resto non è stata la Francia a difendere fino all’ultimo il papa?

Il Galletti invece rivendica di essere «della scuola Liberista o di Smith, Ferrara etc. E contrario alla nuova scuola autoritaria detta Socialismo, Cattedratico e Liberticida».

Un rifiuto all’adesione viene invece dal Bertani con una motivazione curiosa. In sintesi non contesta l’ateismo, anzi (pur non esplicitandolo sembra condividerlo), ma ritiene che una gran parte degli uomini non possa far a meno di credere in qualche idolo e anche distruggendolo sarebbe inutile se non dannoso perché ne creerebbe di nuovi.

La “perla” è però il voluminoso carteggio Swift-Saffi in cui interviene anche Galletti. Saffi non accetta l’adesione alla Società in quanto, pur condividendo i principî di libertà e di progresso, rivendica la propria fede secondo una filosofia mazziniana: «Dio e Libertà sono, per me, termini inseparabili della natura stessa». Swift è consapevole della sua integrità democratica e dei suoi principî libertari, ma lo invita a riflettere sulla possibilità di un cambiamento sulla falsariga di quanto accadde allo stesso Garibaldi. Ovviamente alla fine ognuno rimarrà dell’idea di partenza, ma merita rimarcare il grande e reciproco rispetto che accompagna questo confronto fra diversi improntato a un alto senso di civiltà.

Da tutto questo carteggio emergono le innumerevoli voci del libero pensiero: dagli atei senza condizioni a chi antepone dei “ma” o dei “se” rivendicando prioritariamente un’appartenenza filosofica o politica. Già visto. Tante teste, tante opinioni: l’UAAR è degna erede. Al termine del fascicolo l’annuncio del congresso dei razionalisti e la costituzione della Federazione universale dei liberi pensatori in cui confluiranno, così si specifica, sia le già costituite società inglesi che l’americana Liberal League of America (con 140 circoli) sia la Féderation des Sociétés Rationalistes Belges e la Libre-Pensée di Bruxelles e Anversa.

Almanacco Ateo per l’anno 1887

Anche quest’opera a stampa è il frutto dell’intraprendenza di Ferdinando Swift. Consta di 71 pagine con 17 illustrazioni, la riproduzione delle due lettere di Garibaldi già citate e del calendario del 1887. L’articolazione è ampia: vengono riportati quasi tutti i documenti già presenti nell’Albo integrati con altro interessante materiale di diversa natura e varia provenienza. Nell’Almanacco, dedicato alla famiglia Garibaldi con una lettera di Federico Swift al figlio Menotti, troviamo anzitutto un documento dell’Anticoncilio di Napoli del 1869 promosso da Giuseppe Ricciardi.

    • Essi proclamano la libera ragione in faccia alle autorità religiose; l’indipendenza dell’uomo in faccia al dispotismo della chiesa e dello Stato; la solidarietà dei popoli in faccia all’alleanza dei principi coi preti; la scuola libera in faccia all’insegnamento del clero; il diritto in faccia al privilegio.
    • Non riconoscendo altra base che la scienza ed il diritto, essi proclamano l’uomo libero e sovrano nello stato libero, e l’abolizione di tutte le chiese ufficiali. La donna deve essere affrancata dall’ingerenza che la chiesa e la legislazione oppongono al suo intiero sviluppo.
    • Essi affermano la necessità dell’istruzione all’infuori d’ogni intervento religioso, la morale dovendo essere completamente libera da questo intervento.
  • «DICHIARAZIONE DEI PRINCIPJ

    I sottoscritti delegati di differenti nazioni del mondo civile, riuniti a Napoli per prendere parte all’anticoncilio, affermano i principj seguenti:

Siamo in presenza di un importante documento che prelude la nascita dell’IHEU (International Humanist & Etical Union): scorrendo i firmatari, si trovano i delegati di Austria, Ungheria, Germania, della Società Latino-Americana di Parigi, della Transilvania, di S. Louis, Chicago, Philadelphia, New York e di altre associazioni USA, della Romania e delle colonie europee di Tunisi, il delegato della lega massonica di Issoudun e per l’Italia lo Swift per i liberi pensatori di Venezia e Eugenio Solferini per la società del progresso di Trieste. Le rivendicazioni nei confronti della politica clericale son sempre le stesse: laicità, fratellanza, libertà d’espressione, diritto allo studio, tutela dei deboli. I secoli scorrono ma i problemi restano. Siamo alla fine dell’800 e spesso lo stile narrativo risente di una certa enfasi o di retorica specialmente quando si evocano avvenimenti o imprese clamorose. Tuttavia merita leggere questa presa di Porta Pia per la semplicità con cui il fatto è narrato in questa lettera indirizzata allo Swift da un combattente presente al fatto:

    «Caro Amico,

    Come siamo rimasti d’accordo ti mando un piccolo cenno storico sulla presa di Roma nel 20 settembre 1870.

    Alla sera del 19 suddetto col 21.o Battaglione Bersaglieri ci siamo spinti fino alla Villa Borghese, e trovando tutti i cancelli chiusi siamo entrati in essa scavalcando le mura ed in silenzio ci siamo portati sotto il Pincio vicino alla Porta del Popolo e là bivaccammo. Alla mattina all’alba incominciarono le fucilate contro i prezzolati del papa, che dalle mura ci tiravano.
    Dopo poche ore si udì tuonare il cannone, che durò circa tre ore ed aprì una breccia di quasi 10 metri e più.
    La mia compagnia ebbe durante il combattimento il sottotenente Lodolo di Genova ferito ad un braccio, il foriere morto e due Bersaglieri feriti. Il generale Cadorna comandante la Colonna di attacco fece suonare (appena aperta la breccia) la tromba col segnale di chiudere verso la suddetta e così si fece.
    Giunti colà salimmo sull’apertura fatta. Il Maggiore Pagliari lombardo, comandante il 3.o Battaglioni Bersaglieri essendo il più anziano salì col suo famoso cavallo bianco, pel primo, con pochi Bersaglieri ed attendeva che fossero fatte alla meglio le strade per rendere più facile l’ascesa. I vigliacchi papalini avevano alzata bandiera bianca e quindi il fuoco fu cessato. Da un momento all’altro sortirono quattro sgherri del papa, che si erano internati nelle Ville dei Signori per rubare. Ci viddero fermi e quasi immobili sulla breccia e tirarono i loro colpi quasi a bruciapelo e poi se ne fuggirono. Colpirono il disgraziato maggiore Pagliari che cadde da sella morto e così pure il sergente Tromba che gli era vicino.
    Siamo entrati in Roma ed accampammo al di qua del ponte S. Angelo.
    Ti saluto addio.

    17 Ottobre 1886.
    Tuo Amico
    firm.: Leone Montalti»

Troviamo poi nell’Almanacco una polemica curiosa. Il fatto che Garibaldi fosse ateo è stato messo più volte in dubbio, anche se la documentazione dell’Albo sembra inequivocabile. Il fatto poi che Garibaldi possa aver sposato Anita in chiesa non tiene conto della sua caratterialità. Garibaldi era un tale sciupafemmine che l’appellativo di “Eroe dei due mondi” a molti evocava non ciò che l’oceano divideva, ma i due campi dove il generale eccelleva: in battaglia e a letto. Ci vorrebbe sì un Almanacco per conteggiare la prole disseminata qua e là e per celebrare queste sue avventure galanti. In Brasile nel ’42 si sarà pure sposato in chiesa, ma con una donna già maritata che gli aveva dato un figlio, Menotti, due anni prima. Insomma, se anche è stato un matrimonio in chiesa, be’, i sacramenti li aveva scritti lui. Singolare quindi che ancora nel 1886 continuasse la polemica: questa volta non incentrata sul passato del generale ma sull’ultimogenito Manlio, ancora una volta nato fuori dal matrimonio “riparatore” con Francesca Armosini avvenuto 7 anni dopo (1880) davanti al sindaco di La Maddalena. È solo una maldicenza di certa stampa clericale il fatto che il bimbo fosse stato «battezzato, confessato, comunicato e cresimato»: ne dà appunto riscontro una lettera dello stesso Manlio al fratello Menotti, che irride la notizia e la sconfessa platealmente.

Perché siamo atei? A questa domanda risponde un fondo sicuramente dello Swift, che verso la fine dell’Almanacco ribadisce i principî della posizione esordendo con un «Perché la scienza che vuol dire sapere … non può essere che positiva». Del resto

    «Le distanze sono quasi scomparse, mercé il vapore ed il telegrafo. i popoli si agitano in cerca della loro libertà e del loro benessere. Queste libertà e questo benessere non saranno mai bene realizzate, finché non vedremo come sulle cattedre dei tribunali si legge: “La legge è uguale per tutti”, e così sulle cattedre delle scuole non si legga queste parole: “Qui s’insegna il vero e s’impara ad amarsi ed ajutarsi vicendevolmente coll’attività del lavoro e colla tenacità degli utili ed onesti propositi”.
    Ecco come la pensiamo noi Atei»
    .

e continua, ovviamente, auspicando l’abrogazione del I articolo dello Statuto che privilegia il cattolicesimo come religione di Stato. Ma perché mai anche noi dell’UAAR siamo ancora oggi a combattere queste stesse battaglie? Lo spiega, ahimè, l’articolo seguente:

    «Bisogna infatti convenire che il partito pretino ha saputo imporsi, sia per la convenienza dei moderati, sia diciamolo per amor del vero, anche per colpa di certi progressisti, i quali pur di fare una guerra ai moderati votarono per i clericali».

Altro che quei cialtroni di astrologi, frati indovini, cartomanti e veggenti. Altro che le farneticazioni di Fatima. Per predire il futuro bisogna essere atei. Purtroppo.