I referendum sulla fecondazione assistita: la posta in gioco

di Valerio Pocar, Milano

Siamo, mentre scrivo, alla vigilia di una consultazione referendaria su quattro quesiti per abrogare quattro punti della legge sulla fecondazione assistita che, senza renderla accettabile, servirebbero almeno a correggerne le storture più gravi. È difficile, mentre scrivo, prevedere l’esito della consultazione. Sono convinto che la larga maggioranza dei cittadini italiani sarebbe favorevole all’abrogazione della legge, solo che fosse adeguatamente e correttamente informata, non forse per scelta ideologica, ma semplicemente per buonsenso: si può, infatti, pensarla come si vuole, ma la contraddittorietà, l’iniquità, per non dire l’insensatezza dovrebbero ripugnare alla sinistra come alla destra, al progressista come al conservatore, al cattolico come al laico. Purtroppo, però, una cappa di silenzio e di disinformazione copre la campagna referendaria. I media, forse con qualche ragione, sono in altre faccende affaccendati: dalla campagna elettorale per le elezioni regionali alla riforma sciagurata della Costituzione.

Questa situazione oscura il significato politico non solamente dei referendum, ma dell’intera vicenda della legge sulla fecondazione assistita. Prima, durante e dopo l’approvazione di questa legge esecrabile e medievale, il dibattito - scarso, per la verità, ed è un torto della sinistra - si è connotato come una contrapposizione tra laici e cattolici o, meglio, come una contrapposizione tra l’opzione etica del magistero della Chiesa cattolica romana e l’opzione etica laica. Già nel porre così la questione vi sarebbero errori. Un errore di metodo, perché, mentre l’opzione etica cattolica si pretende unica, per i laici non vi sono opzioni etiche uniche, il pluralismo etico essendo tanto un presupposto della laicità quanto una realtà dello schieramento laico. Un errore nell’analisi dei fatti, perché lo scontro non è stato e non è tra contrastanti opzioni etiche, che pure esistono, ma è stato ed è uno scontro di natura squisitamente politica. Non è privo d’importanza il rilievo che i più strenui sostenitori della legge siano stati e siano gli adoratori del dio Po, con annesse ampolle e bagni lustrali, ai quali, xenofobi e bottegai, dei valori cristiani (?) non gliene potrebbe importare di meno. A costoro, ignoranti del significato della parola carità e materialisti nel senso più volgare del termine, le gerarchie della Chiesa cattolica romana stringono la mano ch’essi loro tendono in difesa di una legge che, come ho già avuto occasione di osservare su questa stessa rivista (Integralismo cattolico e controriforma, n. 3/2004, pp. 4-7), contrasta in più punti con la dottrina della Chiesa medesima. In particolare, ammettendo la possibilità stessa della fecondazione assistita, anche nella sola pratica omologa, la legge contraddice, infatti, un principio fondamentale della dottrina cattolica, quello della inscindibilità della procreazione rispetto all’atto sessuale. Inoltre, consentendo questa pratica anche per le coppie non matrimoniali, la legge contraddice il principio per cui l’unica sede legittima della procreazione sarebbe il matrimonio (meglio se concordatario).

Anche il metodo d’intervento delle gerarchie ecclesiastiche appare mutuato dalla bassa cucina della peggior prassi politica. La ferma convinzione della bontà di una certa scelta morale dovrebbe, infatti, indurre i suoi sostenitori a chiedere a coloro che si suppongono aderenti a quella certa scelta di esprimere con chiarezza il loro convincimento col voto. E invece, complice un governo furbastro e incline a sfruttare le legittime propensioni balneari dell’estate incipiente, le massime autorità ecclesiastiche, solitamente pronte a rammentare ai cattolici il dovere di partecipare alla cosa pubblica, non si peritano di suggerire comportamenti astensionistici che offendono il più comune senso civico pur di far fallire per ragioni formali (mancanza del quorum) una consultazione contro una legge che esse medesime autorità ecclesiastiche dovrebbero, sia pure per ragioni ben diverse da quelle dei proponenti i referendum, strenuamente avversare.

Dalla constatazione che la Chiesa ha deciso di adottare una prospettiva d’intervento disposta a compromessi sul contenuto delle questioni in discussione e che si mostra disposta ad allearsi spregiudicatamente con formazioni politiche che essa medesima Chiesa ha sovente bollato come incapaci di formulare e sostenere i valori “cristiani” - ricordo, solo a titolo d’esempio, i moniti ecclesiastici per quanto riguarda le politiche nei confronti degli immigrati o per quanto riguarda scelte economiche improntate a un neoliberismo selvaggio e via ricordando - dobbiamo trarre una conclusione: la Chiesa ha individuato nel campo delle cosiddette questioni bioetiche un terreno strategicamente utile per condurre la propria battaglia di potere e di ingerenza in una sfera che non dovrebbe competerle. E, per vero, il calcolo clericale non è sbagliato. Infatti, per altri campi, come la famiglia o la scuola - campi da sempre privilegiati delle ingerenze clericali e terreno di ben più solidi interessi - la pretesa di indicare valori, modelli e prospettive si scontra con l’evoluzione culturale e sociale. Per quanto concerne la famiglia, quella pretesa deve fronteggiare i costumi familiari concreti fatti proprî dalle italiane e dagli italiani, cattolici compresi, ormai ben lontani dal modello proposto dal magistero cattolico e scarsamente inclini, se non minoritariamente, ad ascoltarne i suggerimenti. Per quanto concerne la scuola, quella pretesa s’indirizza ora - complice un ministro scarsamente consapevole della funzione di tutela e di promozione della pubblica istruzione che gli sarebbe istituzionalmente propria - verso la richiesta di sostegni finanziari a quell’impresa economica che è la scuola privata confessionale, sbandierando il diritto alla libertà educativa e alla riproposizione dei valori cristiani: non vogliamo fare alla Chiesa il torto di ritenere ch’essa sia davvero così ingenua da credere che le scuole confessionali formino autentici cristiani. Viceversa, nel campo delle cosiddette questioni bioetiche, proprio per via della loro novità e della controvertibilità di molte questioni e per via dello sconcerto che suscitano certe innovazioni, soprattutto per quanto attiene alla biomedicina e alle biotecnologie, è più facile proporsi come i portatori della “retta morale” anzi della “morale” tout court, complice la disinformazione e la tendenza conservatrice ad arroccarsi sui principî tradizionali che, inadatti ad affrontare razionalmente le questioni poste dalla novità, inducono a rifiutare la novità stessa in nome dei vecchi principî invece di cercare nuovi criterî per riflettere sul nuovo e valutarlo razionalmente. Per dirla fino in fondo, è più facile affidarsi alla pigrizia intellettuale e all’ignoranza che accettare la sfida del pensiero razionale. Ne è la riprova il fatto che la Chiesa ha spostato la discussione referendaria sul tema della tutela della personalità dell’embrione, questione che, con la legge sulla fecondazione assistita, ha tutto sommato ben poco a che fare. Purtroppo, molti intellettuali laici sono caduti nella trappola e hanno accettato questo terreno di scontro, quando, in modo più corretto e pertinente, si sarebbe dovuto discutere dei diritti fondamentali degli individui che la legge viola e delle contraddizioni insite nella legge medesima.

La scelta clericale - non sarà mai sufficientemente sottolineato - è del tutto virtuale e mediatica, è forma e non contenuto. La Chiesa è disposta a rinunciare ai principî che dovrebbe coerentemente sostenere pur di vincere - o pur di non soccombere - in uno scontro che, come ho detto, è più politico che non volto ad affermare o a salvaguardare determinate opzioni etiche. Cosa non nuova, ché la Chiesa ha applicato il criterio della selezione e dell’adattamento per la “sopravvivenza della specie” molti secoli prima che Darwin ne chiarisse i meccanismi nella sfera biologica. Se questa analisi è corretta, la battaglia referendaria per l’abrogazione dei punti più indecenti della legge sulla fecondazione assistita ha, per noi laici, una ragione in più per vederci impegnati con ogni forza, una ragione della massima importanza.

Non si tratta solamente, infatti, di ripristinare il riconoscimento e il rispetto di diritti fondamentali delle cittadine e dei cittadini italiani, dal diritto alla salute a quello alla libertà procreativa, dal diritto allo sviluppo della ricerca scientifica al diritto all’autodeterminazione rispetto ai trattamenti sanitarî e via enumerando (sulla lesione di taluni diritti individuali fondamentali che la legge in questione comporta ho già scritto nell’articolo sopra citato e non sto a ripetermi). Non si tratta solamente di un’occasione per riaffermare alcune buone ragioni, come quella della laicità delle istituzioni o come quella della libertà delle azioni degli individui che, quando non pongono a rischio interessi altrui, hanno il buon diritto di scegliere secondo la propria coscienza e - perché no? - secondo i loro desideri e le loro aspirazioni. Tanto meno si tratta dell’occasione per far prevalere la/e nostra/e opinione/i in merito alle questioni sul tappeto rispetto a quella prospettata dal magistero cattolico romano. Da laico, penso anzi che sarebbe un intento sbagliato, speculare alla pretesa clericale.

I laici seguono il metodo della persuasione e della discussione delle idee e non pretendono di imporle a nessuno, tanto meno usando delle istituzioni, sia pure di un’istituzione squisitamente democratica qual è il referendum. Questo metodo - ci hanno provato col referendum sul divorzio e con quello sull’aborto - lo lasciamo volentieri ai clericali.

Si tratta di un’occasione molto più rilevante. L’esito del referendum sulla legge sulla fecondazione assistita non potrà non condizionare, positivamente o negativamente, gli sviluppi della relazione tra diritto ed etica nel prossimo futuro. Se i cittadini italiani, con la vittoria del “Sì”, sapranno riaffermare il principio della laicità delle istituzioni e sapranno riaffermare la separazione tra le regole collettive e la legittima libertà di ogni opzione etica, sottrarranno alla Chiesa uno dei terreni privilegiati, quello della cosiddetta “bioetica”, ch’essa ha scelto per realizzare il suo programma d’ingerenza nelle questioni politiche e civili del nostro Paese. Con incalcolabili beneficî per le libertà individuali, per la libertà della ricerca scientifica, per la laicità dello Stato e del diritto. L’esperienza dei referendum sul divorzio e sull’aborto ce lo insegna: proprio l’esito di quei referendum ha spianato la strada a una moderna legislazione sulle relazioni familiari e a un progresso decisivo dell’emancipazione femminile. Conquiste civili che potrebbero essere poste a rischio da un esito negativo dei referendum sulla legge sulla fecondazione assistita, sia se prevalesse il “No” sia se non si raggiungesse il quorum.

La posta in gioco è, dunque, altissima e va ben oltre il mantenimento o l’abrogazione dei punti più scandalosi della legge sulla fecondazione assistita. Tutti i laici devono darsi da fare.