Dogmi e superstizione

di Luciano Franceschetti

Se li conosci, li eviti. Calza giusto per i virus, il celebre slogan, ma s’addice appuntino anche ai dogmi religiosi, ai foschi fantasmi medioevali, tanto sconosciuti quanto micidiali per la salute mentale dei fedeli. Meglio di tutto sarebbe riderci sopra. Ma si può ridere dei dogmi, scherzare sui santi, coglionare il pensiero magico? Si può e si deve, senza troppe ambagî. Almeno da noi, almeno per ora. Ma il punto è un altro: chi li conosce, i dogmi?

Ahi, quanto si stimano i credenti “monoteisti”, che perlopiù neanche sanno d’essere tali, della propria fede “matura”, tanto lontana, tanto diversa - s’immaginano - dalle primitive superstiziose credenze “pagane”! Vai a guardare un po’ da vicino, chiedi un po’ in giro, e tocchi con mano quanto grande sia la dabbenaggine di questi sempliciotti («beati i poveri di spirito»!), quanto profonda l’ignoranza dei loro stessi dogmi, direttamente proporzionale al loro quoziente di intolleranza.

Si dicono cristiani, e per di più cattolici, ma sono solo impregnati di superstizioni, smaniosi di apotropaiche benedizioni (auto, case, animali), dipendenti da “guaritori”, assetati di miracoli, di riti propiziatorî. Pratiche evidenti di come la religiosità popolare della tradizione sia tuttora intrisa di immagini e credenze tipiche dell’ancestrale spiritualità animista. A riprova, se ancora ce ne fosse bisogno, di come nessun principio della cristianità sia originale, nessuna credenza inedita per davvero; e si certifica come l’ideologia cristiana sia tutta roba copiata, frutto di plagio, di travestimento e appropriazione dell’antica mitologia classica: ovvero pia fraus (Deschner, Il gallo cantò ancora, Massari 1998).

Avessero almeno un vaga idea di che cosa sono obbligati a credere, questi poveri credenti! Fin dalla tenera età, genitori irresponsabili e conformisti li hanno mandati “a dottrina”, li hanno lasciati catechizzare fin dall’asilo e nelle scuole, talché poi non possono non credersi automaticamente cattolici. Ma i dogmi - i pilastri della fede, i suoi misteri gloriosi dolorosi eccetera - no, non li conoscono, non possono comprenderli, tanto gli sono indifferenti. Per giunta, pretendono “rispetto” assoluto per la fede propria (un po’ meno per quelle altrui), e sono prontissimi a “offendersi” alla minima critica o ironia rivolta al loro clero (attenti al vilipendio alla religione!).

Una fede istintiva, quindi verace e tenace, le masse credulone ce l’hanno invece nei poteri soprannaturali (energie positive, per i maghi) di oggetti, amuleti, crocette, santini, statuette, talismani, insomma dei feticci, caratteristici di tutte le sottoculture superstiziose, simboli di ataviche credenze animiste, feticiste, sciamaniche (A.M. Di Nola, Lo specchio e l’olio, Le superstizioni degli italiani, Laterza 1993). Nella realtà, tale feticismo pervade menti e comportamenti di persone intrise di superstizione. Sanno tutto dello zodiaco, di malocchio e di filtri, fantasticano di angeli e di oroscopi, ma non hanno idea (né tanto meno amano discutere) di creazione, di trinità, di transustanziazione, di risurrezione della carne, d’anima immortale, di tantissime analoghe scempiaggini teologiche che - per quanto stolide e risibili, d’accordo - non dovrebbero tuttavia lasciare indifferenti i fedeli autentici. Pensare che è tutta roba obbligatoria! Materia prima per catechisti. Con la scuola Moratti, poi, c’è perfino all’asilo!

E poi sono dogmi, poffarbacco! Quale dovere maggiore, per chi si crede credente? Invece non gliene frega proprio nulla, forse perché - supponiamo noi - i fedeli s’accorgono che i primi a saperne pochino (o a non crederci per niente) sono i loro stessi guru spirituali: confessori, prelati, imam, pope, rabbini, teologi e ciarlatani consimili. Paradossalmente, le rare volte che costoro accettano di “dialogare”, capita che i dogmi glieli dobbiamo spiegare noi! Noi che siamo atei e/o agnostici, noi miscredenti, scettici impenitenti - o quanto meno “fedeli” alla razionalità - eppure (lo diciamo senza ombra di smentita né di modestia) tutt’altro che digiuni delle ortodosse tesi fideiste. Le critichiamo a fondo proprio perché ne conosciamo piuttosto bene i capisaldi. Ed ecco perché, tra l’altro, i liberi pensatori non accettano lezioni dai credenti, ridotti oggi più che mai al miserando ruolo di “pecorelle che non sanno” e che pertanto, dice bene l’Alighieri, «tornan dal pasco pasciute di vento» (Par. XXIX, 107).

E li chiamano credenti! La loro divinità, nella sostanza, si chiama superstiziosità: fenomeno ancestrale dell’antropologia. Nata già, si direbbe, con l’ominazione del primate Homo sapiens sapiens, documentata da 10.000 anni almeno d’evoluzione, la creduloneria si perpetua, anzi s’approfondisce con la crescente ignoranza scientifica. Che cosa c’è, in realtà, di più popolare della superstizione, che in concreto si declina poi sempre al plurale? Essa appare addirittura universale, e lo è per definizione, essendo speculare, per l’appunto, alla non meno credula “devozione”; le cui forme tradizionali - tra il pittoresco e l’osceno, a ogni latitudine - sono arcinote ai turisti di tutto il mondo. Come tutti i grandi mali dell’umanità (povertà, fame, analfabetismo, epidemie), qualsiasi superstizione trova brodo di coltura nelle odierne società di massa; ai nostri giorni si moltiplica a dismisura, paradossalmente, per tramite dei mass media; proprio quelli che dovrebbero essere i più raffinati vettori di conoscenza, naturali antagonisti dell’oscurantismo fideista.

Chi non vede, per contro, televisioni pullulanti di maghi, di oroscopi, taroccari, predicatori, liturgie, traboccanti di ridicoli “misteri”, di padrepii e madreterese, di infiniti beati menagrami? Si possono immaginare forme più subdole e/o manifeste di istupidimento, veicolate dalle tecnologie più avanzate? Processioni, santificazioni pubbliche, statuette piangenti, guarigioni che «neanche la scienza sa spiegare», a detta di giornalisti ignoranti più del giusto. Ecco un altro paradosso: che la modernità avvenirista dei canali mediatici (e incombe già il digitale terrestre!) si trovi a veicolare tante ataviche scempiaggini. Che cosa fa testo, oggi? Già, lo dice la tv! (alla stessa stregua, in un non lontano passato, lo diceva il prete dal pulpito).

La superstizione dei contemporanei non è certo una compensazione per il troppo razionalismo. Non è arcaismo. Non è il sedicente “bisogno di sacro” in un mondo secolarizzato. La superstizione è fatta in realtà della stessa pasta della tecnica moderna. L’irrazionalità è già tutta data in quelle concatenazioni di segni astratti che ogni giorno manipoliamo, restando del tutto ignari, indifferenti al loro significato.

Ma i dogmi, seriosi “misteri” della fede, che c’entrano con le ottuse, banali superstizioni? Bella domanda, che si fa più che altro in ossequio all’arte retorica. Per illuminarci, i teologi d’ogni credo - coltivando tuttora la medievale pseudoscienza dell’infinitamente assurdo (Proudhon) - ci propinano caterve di mirabolanti sofismi, al fine di distinguere zuppa da pan bagnato: le religioni sedicenti superiori, cioè, dalle banalissime sette, ovviamente inferiori. Basta così! Perché smantellare e ridicolizzare la teologia è davvero come sparare sulla Croce Rossa; chi ne sa poco o punto (e vorrebbe saperne di più) non ha che da cercare e gustarsi uno dei grandi libri Garzanti: Il buon senso di Paul d’Holbach (ormai introvabile, Milano 1987). Un gioiello della letteratura illuministica, ma direi anche umoristica. Uno spasso squisito. Per riuscire a ridere della barbarie oscurantista, sondandone i fittizi arcani.

Esistono tuttavia alcuni dogmi “razionali”. Eccone uno: ogni religione, di per sé, appare come superstizione ai seguaci d’una fede diversa (Hobbes). Per di più, si sa che il dogmatismo, sinonimo di potere e magistero clericale, nulla ha a che fare col povero Gesù, uomo ingenuo, naïf, analfabeta, mago e visionario. Il nazareno non se li sognava neppure, quegli schemi. Quei Dogmi assassini li partorì invece di filato lo psicopatico Paolo, imitato da una sequela di sommi Padri e Dottori della Chiesa. Furono loro, indubbiamente, gli iniziatori infami del turpe imperialismo cattolico, gli araldi di tanti razzismi, anzi del nazismo, immesso ante litteram nella storia umana. I dogmi, sedicenti “verità” fanciullesche, oscene caricature di pensiero mascherato di filosofia, ridicolaggini sì, ma tutt’altro che innocue (vere armi pesanti per fondamentalisti d’ogni credo), i dogmi sono lì per generare e legittimare di continuo mostri, nemici, angosce esistenziali. Altro che ecumenismo, altro che buonismo, queste ennesime ipocrisie del postmoderno. Quante altre guerre di religione dovranno ripetersi, perché gli sia strappata codesta “rispettabile” maschera?

È vero. Non si possono immaginare prove della fragilità e stupidità umana più infauste delle superstizioni da un lato, più pericolose del dogmatismo dall’altro: in perfetta simbiosi di reciproco parassitismo, facce della stessa grama realtà storica. Chi studia e arricchisce la propria conoscenza (non solo a scuola, si badi, ma fintanto che campa) non può trovare esempi peggiori di idiozia massificata, di istupidimento pedagogico. Vi si esprime compiutamente, purtroppo, il criminoso cupio dissolvi inerente in tutte le superstizioni religiose. Piccole e grandi.

Per finire col grande Bertrand Russell, non ci resta che rammentare un ultimo dogma. Ma “razionale”, cioè irrefutabile. Che è, oltretutto, uno dei pochissimi (e accettabilissimi) assiomi agnostici. Ossia che tutte le religioni sono false e dannose in ugual misura. In verità, credere che una religione sia più vera di un’altra, oppure un dogma più credibile dell’altro, è la peggiore delle superstizioni. Senza ombra di dubbio.