I danni all’Italia dello spirito controriformista

di Maurizio Magnani, coordinatore del Circolo UAAR di Perugia

Il termine “Controriforma” fu coniato in Germania nella seconda metà del XVIII secolo per indicare il processo di riappropriazione da parte cattolica di vasti territori d’Europa passati al cristianesimo riformista; il significato del termine si è poi esteso e trasformato assumendo connotazione negativa per i cristiani non cattolici e positiva per gli aderenti alla confessione cattolica, per i quali la Controriforma ha coinciso con il rinnovamento della Chiesa Apostolica Romana, culminato con il Concilio di Trento (1545-1563) e da esso successivamente alimentato (Enciclopedia Larousse). Il concilio tridentino raccolse i frutti di una imponente produzione teologica, elaborando in poco meno di un ventennio una quantità enorme di documenti, atti a stabilire e a ristabilire definizioni basilari e verità incontestabili riguardanti i sacramenti (istituiti direttamente da Gesù), l’organizzazione ecclesiastica (il suo carattere divino con l’incarico diretto del Figlio di Dio a Pietro), il primato del papa (vicario di Cristo in terra), le sacre scritture (il cui testo latino, detto Vulgata, risalente a S. Gerolamo, fu dichiarato versione autentica) e molto altro ancora.

Il grande sforzo conciliare tridentino riuscì, almeno in parte, nello scopo di riattribuire il ruolo di faro della cristianità alla Chiesa Romana, ruolo che era stato messo in dubbio dai riformisti proprio attraverso la critica dei principali insegnamenti della dottrina cattolica, ma ancor più riuscì nel compito di ricomporre e riordinare le fila di un clero diviso, conflittuale, ignorante e corrotto, nonché di rinvigorire la fede dell’ecclesia, l’assemblea, a partire proprio dai ministri del culto, interessati allora più alla raccolta delle prebende e alla gestione delle ricchezze che all’esercizio dell’umiltà pastorale.

La controriforma non è stata, dunque, solamente repressione brutale (individuale, esempio Giordano Bruno, o collettivo, esempio i Valdesi) o forzosa riconquista di genti che avevano aderito all’eresia, ma fu anche profondo rinnovamento spirituale e teologico, finalizzato sia alla riqualificazione del clero sia al controllo culturale e sociale delle popolazioni (prima europee e poi degli altri continenti), ottenuto soprattutto attraverso la penetrazione dei rappresentanti della Chiesa nei poteri secolari.

Proprio quest’ultimo aspetto caratterizza l’animo controriformista della Chiesa Cattolica che non si è mai spento. Se, infatti, la Controriforma è un periodo storico precisamente delimitabile, l’impegno controriformista è un tratto permanente del cattolicesimo, un progetto dotato di continuità, che ha talora subìto pause di arresto, ma non è mai declinato nell’intento, come possono testimoniare i numerosi concilî che si sono succeduti nella lunga storia della Chiesa, ognuno dei quali ha assunto il precipuo compito di rinsaldare i fondamenti del cristianesimo e rialimentare l’entusiasmo evangelizzatore cattolico attraverso l’elaborazione della dottrina, principalmente attraverso le iniezioni continue e ancora recenti di nuovi dogmi (si pensi all’Immacolata Concezione o all’Infallibilità papale, dogmi con meno di due secoli di vita) e la promulgazione periodica di nuove encicliche. Proprio l’ispirazione controriformista ha spinto (e continua a spingere) la Chiesa Cattolica a perseguire strategie di penetrazione nelle società e a elaborare programmi di egemonia temporale oltre che spirituale. È in virtù di questa ispirazione che il Vaticano ha stipulato alleanze politiche e militari, ha infiltrato i suoi rappresentanti capillarmente nelle istituzioni sociali (scuole, ospedali, università, amministrazioni, tribunali), ha introdotto strumenti di controllo e di censura (indici dei libri, degli scritti, delle rappresentazioni sceniche), ha condizionato finanziamenti e obiettivi della ricerca scientifica, ha orientato l’espressione artistica (a partire dal Barocco che fu inteso come reazione all’iconofobia protestante), ha persino condizionato la dieta, i costumi, la sessualità. Tutto ciò a cui ha potuto accedere e che le è stato permesso infiltrare ha finito con il governarlo o con l’influenzarlo grandemente. Finché ha potuto e finché potrà.

In particolare, è stato soprattutto il progetto pedagogico di indottrinamento quello che è stato perseguito con maggiore intento e con grande spesa di energie (formazione degli insegnanti e dei genitori, normative precise per gli educatori, insegnamento nelle scuole, catechismo, organizzazione del tempo libero attraverso oratorî parrocchiali, manifestazioni sportive e di rappresentazione scenica, eccetera) a riprova che i controriformisti avevano imparato bene la lezione dello scisma protestante, comprendendo la drammatica importanza della identità culturale come collante dell’assemblea ecclesiastica e l’indispensabilità dell’indottrinamento per alimentare l’unione di intenti, necessaria al compimento del programma ecumenista; l’hanno capito, purtroppo, anche molti dittatori e tiranni profani che hanno insanguinato le terre soprattutto nell’ultimo secolo.

Di tanto in tanto il progetto controriformista cattolico incontra periodi storici particolarmente avversi e periodi storici molto favorevoli. La caduta del muro di Berlino e del comunismo sovietico ha comportato conseguenze tuttora in evoluzione e ha dischiuso alle componenti più accesamente controriformiste della Chiesa indubbie prospettive di riguadagnare terreno perso in precedenza, occasioni favorite oltretutto anche dalla crisi delle ideologie che si erano opposte al comunismo, dall’immigrazione dal terzo mondo che ha sollevato la questione dell’Islam e le reazioni di chiusura e, a detta degli esperti, da un crescente disagio psicologico e sociale dell’uomo post-industriale e post-moderno, disagio che avrebbe favorito il ritorno alla spiritualità di massa.

A onore del vero, il fuoco controriformista cattolico non si è espresso con le stesse intensità in tutti i paesi europei, alcuni dei quali sono da tempo fortemente immunizzati contro i rigurgiti religiosi di ogni fattezza, ma in Italia sì, il vento controriformista ha preso a spirare con particolare forza negli ultimi anni, alimentando le fiamme dei disastri non solo e non tanto nei costumi etici e nelle abitudini di questo popolo, il quale non può più rinunciare alla modernità, quanto soprattutto in campo scientifico ed economico.

Il recente progetto di riforma scolastica (riforma Moratti), la legge restrittiva sulla procreazione assistita emanata pochi mesi fa dal Parlamento, l’inesistenza di un programma serio sull’ammodernamento tecnologico e il reperimento energetico, la mancanza di concreti finanziamenti alla ricerca (i ricercatori sono il 3‰, un terzo che in Giappone) come se essa fosse opzionale allo sviluppo della nazione, a cui consegue la fuga dei cervelli all’estero e la disincentivazione degli studenti a iscriversi a facoltà scientifiche (chimica, fisica, geologia, matematica hanno fatto registrare dimezzamenti di immatricolazioni in pochi anni) sono solo alcuni dei drammatici problemi che costeranno carissimi al benessere economico e sociale di tutti gli italiani, come ha paventato Banca d’Italia nel marzo scorso. Questi problemi e queste leggi non nascono dalla casualità, come già aveva scritto Chiara Somajni nel suo articolo «Agli italiani non importa superare l’ignoranza» fin dal giugno 1997 sul quotidiano Il Sole 24 Ore.

Programmi televisivi e stampa trattano incessantemente di miracoli, santi, papi, angeli e storielle sovrannaturali, lasciando pochissimo spazio all’informazione scientifica e alla riflessione razionale che favorisce lo sviluppo di menti critiche e preparate alle sfide del futuro. Anche questo concorre gravemente al risultato di un’Italia che perde posizioni in ambito tecnologico, che ha contratto del 30% le proprie esportazioni, che non ha peso culturale oltre che politico in sede decisionale tra gli europei che contano.

Che cosa ha a che fare tutto ciò con lo spirito controriformista? A testimonianza di come gli eventi storici mostrino una contiguità causalista e a spiegarci come avvenimenti successi secoli fa possano avere conseguenze attuali, evoco un editoriale del Corriere della Sera del 2 luglio 2000 a firma del laico Indro Montanelli, giornalista inviso a molti eppure dotato di erudizione storica non comune. Egli scriveva:

    «Quando Lutero, Calvino e gli altri riformisti dissero ai loro seguaci che loro stessi erano responsabili del proprio destino ultraterreno e che ad essi soli spettava il dovere-diritto di leggere le Sacre Scritture e interpretarle, affrettandosi a tradurre la Bibbia nella lingua nazionale, i preti cattolici presero a predicare con ancor più veemenza che la interpretazione delle Sacre Scritture era affare loro perché la gente comune si confondeva la testa a leggerle da sole. Prima e fondamentale conseguenza del divorzio tra le due Chiese cristiane fu che mentre nel mondo cattolico permase e si diffuse l’analfabetismo, tra i protestanti esso scomparve velocemente perché l’ignoranza venne considerata primo tra tutti i peccati.

    Le differenze si colgono ancor più evidenti oggi, dopo 4 secoli, sebbene all’arretramento culturale, economico e sociale dei paesi cattolici rispetto a quelli protestanti l’Italia pose argine soprattutto nel secondo dopoguerra, con una esplosione economica (il “miracolo italiano”) che ha però già esaurito la sua spinta inerziale. L’Italia non ha invece mai colmato le sue gravi carenze in campo scientifico, in quello alla propensione libertaria e al senso civico. Eppure, le potenzialità del nostro paese non sono seconde a quelle di molte altre nazioni attualmente più ricche e più evolute, ma non potranno trovare mai piena espressione finché dalle Alpi alla Sicilia le genti della penisola non sapranno liberarsi dai mefitici influssi dello spirito controriformista che continua a infestare menti e istituzioni. Temo, tuttavia, che dovremo sottostare ancora a lungo, parodiando gli scrittori Fruttero e Lucentini, alla “prevalenza del cretino”».