Quando la coppia scoppia

Sguardo critico su cattolicesimo e televisione mentre la RAI compie 50 anni
(Prima parte)

di Carlo M. Pauer, Roma

«Se continua il miracolo, fra vent’anni tutta l’Italia si ridurrà come Milano»
(Luciano Bianciardi, 1957)

La televisione in Italia vede la luce il 3 gennaio 19541. Il primo grande evento televisivo, direttamente connesso con la chiesa, trasmesso dalla RAI è il funerale di Pio XII2. È il 13 ottobre 1958. La RAI il 13 dicembre dello stesso anno festeggia il milionesimo abbonato. Modugno canta Volare [in realtà Nel blu dipinto di blu, N.d.W.]. Un buon apparecchio per la televisione costa circa 250.000 lire.

Il 5 novembre 1958 la FIAT aveva annunciato un clamoroso ribasso per l’acquisto, a rate, della 500 offrendola a 395.000 lire. È l’inizio, con la motorizzazione di massa, del boom economico, nella sua forma più visibile: l’automobile. Un mese dopo viene prontamente inaugurato da Fanfani il primo tratto dell’Autostrada del Sole. Negli USA, Jack Kilby presenta il circuito integrato, comincia l’era della miniaturizzazione elettronica. Il silicio utilizzato da Kilby, della Texas Instruments, rivoluzionerà la comunicazione.

Ai cittadini di Milano, per la prima volta, sembra di essere in un gangster movie ambientato nella Chicago anni ’20: una banda di rapinatori, divenuta famosa come la «banda di Via Osoppo», assalta in pieno giorno e mitra in pugno un furgone portavalori: 114 milioni il bottino. L’Italia, con la legge Merlin, “chiude le case”3. In quegli anni, la seconda metà dei ’50, quasi il 40% dei lavoratori è nel settore agricolo, più del 32% è nell’industria e più del 28% è nel terziario. L’italiano è una lingua solo per 1/5 della popolazione e gli analfabeti sono quasi il 13%. Dunque un paese di contadini e operai, dove la vita al centro di Roma o Milano ricorda le altre metropoli europee, ma nelle periferie e in talune provincie (al sud in special modo) la realtà è piuttosto quella di un paese distrutto da vent’anni di dittatura e cinque di guerra. Miseria e ignoranza, fame e desolazione. Una delle soluzioni, incentivata dal governo, fino al ’53 nelle mani del cattolico De Gasperi (dai cui polsi partivano i fili per Washington), fu la politica dell’espatrio: emigrare in cerca di “fortuna”.

E la “fortuna” è anche la protagonista della programmazione del primo (e unico fino al 1961)4 canale TV, insieme all’informazione (il telegiornale “letto” da Riccardo Paladini) e agli sceneggiati, un modo per far conoscere la letteratura a chi non ha mai letto un romanzo. Si parla di “teatro domestico”, e il primo volto familiare è quello di Giorgio Albertazzi, (ex) repubblichino di Salò.

Ad apparire, a un popolo abituato alle madonne piangenti e al “microfono di dio” (padre Lombardi), è un giovane presentatore che propone un programma ricalcato su un modello francese, Mike Bongiorno. Con lui la “fortuna”, in veste di un banale nozionismo da Settimana enigmistica, spopola nel quiz Lascia o raddoppia?, al quale il nostro rimarrà indissolubilmente legato 5.

Flashback

L’immaginario dell’immediato dopoguerra, su cui s’impone lo scontro durissimo delle elezioni politiche del ’48, trova in quel momento nel cinema il luogo della rappresentazione. Da una parte lo sguardo di Rossellini, Visconti, De Sica-Zavattini, con l’impegno etico di raccontare la “realtà”, dall’altra il melodramma dei Freda e Matarazzo, la commedia di Totò e Sordi, delle “maggiorate fisiche” insidiate da carabinieri simpatici e ladruncoli onesti. L’Italia corrotta, mafiosa, neofascista non trova un centimetro di pellicola che la racconti. Un trentenne democristiano con la corporatura da raccoglitore di pinoli, sottosegretario di sicuro avvenire, aveva dichiarato: «certe cose offenderebbero la patria di Don Bosco e Forlanini, e di una progredita legislazione sociale» e, in un articolo sul ruolo della censura: «Tra non molto avremo dinanzi anche il problema gigantesco della televisione e […] per uno spettacolo che invade l’ambito più intimo delle famiglie è doveroso pretendere una censura quanto mai rigorosa»6. Da Hollywood intanto arrivava il cinemascope (il primo film in questo formato è La tunica di H. Koster, kolossal cristologico del 1953) e un canestro di divi per tutti i gusti; tra questi Tyrone Power il cui successo lo rende modello di riferimento perfino per le sorelle Giussani che stanno lavorando alla creazione del personaggio dei fumetti Diabolik. Un Grande Vecchio dell’industria cinematografica ricorda in quegli anni: «In tutti noi c’è sempre qualcosa di sconosciuto e un giorno, all’improvviso, lo riconosceremo in qualche figura sullo schermo; e allora soltanto capiremo noi stessi»7. John Ford aveva ragione! Anche per la televisione…

«È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago…» (Mt 19,24; Mc 10,25)8

Il cattolicesimo politico, guidato direttamente dalle encicliche papali (la Vigilanti Cura di Pio XI è sovente richiamata dal sollecito Andreotti nei suoi scritti), attento a scollature, cosce, linguaggio decoroso9 e amenità moralistiche di vario genere, non si accorge che il serpente avvolge le tonache e dice Bongiorno!

Il rapporto col denaro, il vero protagonista dell’impatto della TV sul cattolicesimo italiano, la chiesa lo aveva risolto molti anni addietro, nel Medioevo. Il nodo era quello dell’usura, fare denaro col denaro.

Accettando lo sviluppo delle banche (tra XII e XIV secolo) e dunque le basi del capitalismo moderno, la chiesa dovette metter mano sulle interpretazioni alle due scritture (Antico e Nuovo Testamento) di cui, grazie al sistema monarchico papale, aveva il monopolio dell’esegesi10. La questione era assai delicata poiché il cattolicesimo non ammetteva l’usura. Jacques Le Goff parla, a proposito dello «straordinario dibattito sull’usura» di quel periodo denso di cambiamenti per l’economia occidentale, di «parto del capitalismo»11. In Mt 6,24 si legge: «Non potete servire a Dio e a mammona»12 e, ammesso che un cattolico legga il vangelo e ancor più si interessi alle note, egli constaterà che nella vigente versione della Bibbia, approvata dalla CEI, questo passo di Matteo non ha commento13. Neanche un rimando a mammona, termine non più usuale e di significato teologico arcano, specie per il cattolico. Ancora nell’XI secolo sant’Anselmo paragonava l’usura al furto, e tutta la produzione scolastica si confronta con il problema14, a partire dai principali puntelli scritturali15. Nel mentre Dante, Canto XVII dell’Inferno, descrive gli usurai come quelli «che dal collo a ciascun pendea una tasca». E se questo è il bastone, il Purgatorio fu la carota, come sostiene Le Goff nel suo famoso libro sull’argomento16.

La disputa si risolse in chiave aristotelica a partire dalla condanna dell’eccesso, individuando il bene nel giusto mezzo. Dirà il medievalista francese: «l’usuraio moderato ha qualche possibilità di passare attraverso le maglie della rete di Satana»17. Perciò la soluzione fu che l’interesse (cioè l’usura) è ammesso purché non eccessivo (cioè usura legale = banche). La chiesa inventò dunque una sua versione dello shabbes goy18 per servirsi degli ebrei come propri banchieri19.

Questo accadeva molto tempo fa, poi vennero S.E. il Card. Marcinkus, lo IOR, e Sindona e Calvi, i “banchieri di dio” che avevano molti illustri maestri e predecessori20.

Con la televisione in un paio di decenni, il popolo di dio non sarà più lo stesso. La chiesa deve dunque confrontarsi con il nuovo mezzo, prodotto da cambiamenti così rapidi e radicali (la modernità condannata dal Sillabo) che il nuovo papa, Giovanni XXIII nel 1958, appena eletto in sostituzione dell’ignobile Pio XII, convoca un concilio, il Vaticano II. Tra i molti argomenti urgenti c’è anche quello della televisione, tanto che è invitato a tenere una lezione persino Marshall McLuhan, il teorico del “villaggio globale”. Il 4 dicembre 1963 con l’Allocuzione di Sua Santità Paolo VI ai Padri Conciliari, s’introduce l’istituzione della Pontificia Commissione per le comunicazioni sociali, poi avviata con la lettera apostolica Motu Proprio In fructibus multis l’anno seguente. Nella lettera di papa Montini si legge: «Già il Nostro Predecessore […] col “Motu Proprio Boni Pastoris” aveva dato un nuovo assetto alla Commissione permanente, alla quale veniva affidato l’incarico di “esaminare le varie attività relative al cinema, alla radio e alla televisione, di incrementarle e dirigerle, in conformità con la dottrina e le norme direttive contenute nell’Enciclica ‘Miranda Prosus’ e con le disposizioni che in seguito sarebbero state date dalla Sede Apostolica”».

Com’è evidente si parla di «incrementarle e dirigerle in conformità con la dottrina», e il tentativo fu davvero fatto ed è tuttora in corso, ma con scarso successo. Il paradigma etico del cristianesimo originario, di cui è esempio l’adagio evangelico del cammello e della cruna, o almeno frammenti di esso dotati di suggestioni mutuate da ben altre filosofie, come si è detto fu abbandonato e/o mistificato quasi immediatamente dalla patristica, attenta alle ragioni del “quotidiano” e dunque dei poteri. La preoccupazione della chiesa fu allora eminentemente dedicata alla morale sessuale, ultimo baluardo di controllo e disciplinamento del corpo (e dello spirito), avendo il Vaticano accettato definitivamente il capitalismo. Com’è certificato dalla Rerum novarum cupidi, l’enciclica del 1892 di Leone XIII (Vincenzo Gioacchino dei Conti Pecci), in cui leggiamo che i proletari sono invitati a «non mescolarsi con uomini malvagî, promettitori di cose grandi» perché «della natura delle cose fa parte la proprietà privata» e perciò «togliere dal mondo le disparità sociali è cosa impossibile. Lo tentano invero i socialisti; ma ogni tentativo contro la natura delle cose riesce inutile». La cosiddetta prima enciclica sociale della chiesa romana, con il consueto spregio del ridicolo, consacra come naturale lo stato borghese e il correlato modo di produzione.

Le insostenibili beatitudini del discorso della montagna, le querule fiabe del Gesù evangelico, hanno presto fatto posto (cfr. n. 8) a una teologia mondana e in concorso con il più obliquo pragmatismo politico. Assimilato il denaro e la ricchezza nel sistema teologico, la chiesa si concentra nella ricerca di pagliuzze nei reggiseni e mutandine, mentre un trave(t) si infila nell’occhio di san Pietro, il patriarca dei mediocri Mike Bongiorno. Con lui, un corredo di fenomeni da baraccone, controfagotti, vallette e Marianini, improvvisamente investiti di effimera notorietà e cospicua ricchezza.

I protagonisti dello show, che ferma perfino il festival di Sanremo e suscita le proteste dei gestori dei cinema, sono la prima proiezione (spettacolare) dell’uomo (stra)ordinario nella comunicazione di massa. L’uomo medio vede un se stesso diventare protagonista dell’immaginario comune, che diviene appunto (stra)ordinario, cioè una simulazione. La tanto amata “famiglia cattolica” che, come s’è detto, la chiesa vuole proteggere con indirizzi morali sulla organizzazione del palinsesto TV, è già disgregata dalle suggestioni del boom, quando viene proiettata all’interno della televisione. Da una parte è raccontata “giornalisticamente”, è oggetto d’inchiesta, dall’altra è soggetto produttivo e di consumo (Carosello sarà sempre più orientato ai giovani e ai bambini, allontanandoli inevitabilmente dalla “tradizione”).

Alla fine degli anni ’60, solo dopo neanche un decennio dalla dismissione della messa in latino, al posto del coro a cappella, dell’organo a canne, la chiesa, sperando di attrarre giovani, introduce le chitarre e le canzoni beat, prova ad assimilare a modo suo i “capelloni”. È un boomerang, perché quell’estetica, tra le molteplici forme che propone, è fortemente connotata da un’attenzione alla sessualità diametralmente opposta a quella medievale ammessa dalla chiesa. In gioco c’è un corpo che s’impone pienamente come interfaccia dello spirito, vissuto attraverso la conquista del piacere hic et nunc, cioè opponendosi al trascendente dell’orizzonte escatologico che la teologia vorrebbe veicolare con la messa beat21. Oggi, a distanza di anni, nella Roma del potere, dove sorgono centinaia di istituti religiosi, conventi, seminari, trovare un/a novizio/a della UE è impresa assai ardua. La crisi delle “vocazioni” è assimilabile a una disfatta, a un disastro, che i preservativi usati 22 rinvenuti dopo il raduno dei papa boys nel 2000, non sembrano smentire.

Note

  1. La prima trasmissione regolare della storia è Arrivi e partenze, presentano i personaggi famosi che arrivano e partono con navi e aerei: Armando Pizzo e Mike Bongiorno. Nasce la RAI Radio Audizioni Italia, la sigla era stata cambiata nell’ottobre del ’44, dopo la caduta del regime fascista che aveva dato vita all’azienda nel 1924, da quella di EIAR - Ente Italiano Audizioni Radiofoniche. Da notare che RAI è il palindromo di EIAR senza E. A buon intenditor…
  2. Per un’introduzione alla figura del pontefice si veda: Marco Aurelio Rivelli. «Dio è con noi!». La chiesa di Pio XII complice del nazifascismo. Kaos, Milano 2002.
  3. Alle elezioni politiche del 26 maggio 1958 il quadro proporzionale era il seguente: DC 42,3% - PCI 22,7% - PSI 14,2% - PSDI 4,6% - PRI 1,4% - PLI 3,5% - MSI 4,8% PNM 4,8 - Altri 1,3. Cioè, se si volesse ipotizzare uno schieramento destra/sinistra: 55,4% la destra (DC, PLI, MSI, PNM) e 42,9% la sinistra (PCI, PSI, PSDI, PRI). Si tratta di un’ipotesi che ovviamente non tiene conto del veto di Washington e della CIA nei confronti del Partito Comunista, ma che consente di vedere quantomeno lo scenario in termini di riformismo e conservatorismo da un punto di vista etico. Se si considera che una certa parte del voto alla DC, contiene in qualche misura voti “progressisti” (è a questa esigenza che risponderà di lì a pochi giorni il Concilio Vaticano II), si vede bene che la vittoria del referendum sul divorzio non appare più così incerta come fino al 12 maggio 1974 dovette sembrare agli occhi di una parte dei vertici del PCI, che nel 1972 preferì lo scioglimento anticipato delle Camere pur di evitare lo scontro sul divorzio. Va ricordato che il progetto di legge sul divorzio data al 1902, per la penna dei parlamentari socialisti Bernini e Bertesi, e a quel tempo la destra poteva contare su Antonio Salandra, uomo di potere fermamente convinto che la donna fosse «creatura profondamente, irrimediabilmente inferiore».
  4. Il 4 novembre, con un palinsesto di due ore al giorno, inizia a trasmettere il Secondo Programma. Presto i telespettatori cominceranno a conoscere il «triangolino bianco lampeggiante in basso a destra sullo schermo». Segnala l’inizio del programma sull’altro canale, un segnale definitivo e autoevidente del monopolio, perché negazione esplicita di concorrenza. Ma anche garante dell’autonomia (relativa) del mezzo rispetto al mercato. Il problema “estetico” era dunque nella dirigenza, nei luoghi del potere democristiano. È interessante ricordare che dopo due anni da amministratore delegato RAI, Filiberto Guala (proveniente dall’Azione Cattolica) entrò in monastero. Fu nominato nel ’54 e si deve a lui l’impianto culturale della TV italiana del primo periodo (detto paleotv). Fu, democristianamente, “fatto fuori” due anni dopo, si narra, a seguito di un “complotto” in cui venne coinvolto “persino” papa Pacelli.
  5. Il format americano The $64.000 Question era troppo costoso, si optò per il transalpino Quitte ou double?. Negli USA nello stesso periodo, dopo una serie di scandali (cfr. il film Quiz Show di R. Redford, 1994) molti telequiz milionari ebbero un crollo di credibilità e di ascolti e furono interrotti e chiusi.
  6. Giulio Andreotti, «Censura e censure», Rivista del cinematografo, dicembre 1952.
  7. S. Trasatti (a cura di). I cattolici e il cinema anni ’50. Roma 1990, p. 145.
  8. Sul tema si veda il recente: Clemente Alessandrino. Il ricco e la salvezza: Quis dives salvetur?. Cinisello Balsamo (Milano) 2003. L’opera è il primo scritto cristiano dedicato al tema della ricchezza in rapporto al problema della salvezza e della morale cristiana. Scritta per rassicurare i ricchi di Alessandria, spaventati dalla similitudine col cammello. Il cammello è uno dei più noti, tra i molti, errori di traduzione dei vangeli. In greco cammello è kàmelos mentre gomena, grosso canapo, è tradotto con kàmilos. Si vede bene dunque la sciatteria dei compilatori, nonché una patente ignoranza del greco, lingua in cui è trascritto il nuovo testamento.
  9. Scrive il critico Aldo Grasso: «Ci sono state epoche in cui non si potevano ascoltare “Crapa pelada” e “Pippo non lo sa”, e poi Modugno (“nun me ’mporta ’e chi t’ha avuto”) e “Il cielo in una stanza” e i brani di Celentano, Gaber e Dalla venivano “corretti”. “Saint Louis Blues” diventava “Le tristezze di san Luigi” e le gambe della ballerine dovevano essere inguainate in calzamaglie a righe. Non era lecito dire “alcova”, “divorzio”, “verginità”, “gozzoviglie” e neppure “membri del Parlamento” o “amante della libertà”. Si tagliavano i versi di Carducci e Pascarella, le commedie di Eduardo e “La dolce vita”. I gialli dovevano essere ambientati in Sudamerica e si bruciavano gli archivi con i filmati delle manifestazioni sindacali. La storia dei mezzi di comunicazione è prima di tutto la storia di quello che si può dire e degli argomenti di cui non si può parlare. A segnare la loro evoluzione non sono solo le censure autoritarie, ma anche le varie forme di autocensura, spesso incoraggiate da “norme di comportamento” e “codici di autodisciplina” che prestano maniacale attenzione al linguaggio e ai gesti, alla sfera politica e religiosa e naturalmente al sesso, tenendo sotto stretta sorveglianza annunciatori e redattori dei notiziari, le inchieste e i varietà, ma soprattutto comici e satirici, soubrette e cantanti».
  10. Pena per i trasgressori che “azzardavano” interpretazioni “altre” [eretiche]: taglio della lingua, tortura e anche la morte per rogo, comminata dai tribunali dell’inquisizione. Per una lettura sull’argomento, assai controverso e dibattuto in ambito scientifico dove pesa il dominio accademico del filocristianesimo anche in autori insospettabili, è bene leggere: N. Eymeich e F. Peña. Il manuale dell’inquisitore. Roma 2000 (a cura di L. Salas-Molins).
  11. J. Le Goff. La borsa o la vita. Dall’usuraio al banchiere. Roma-Bari 1987, p. 3.
  12. Questo passo di Matteo è inserito nel famoso Discorso della montagna, un brano fondamentale e assai complesso, oggetto di manipolazioni e interpretazioni, poiché facilmente semplificabile, in molti punti divenuti celebri (le beatitudini iniziali, ad esempio), e strumentalizzabile per fini politici dai critici endogeni del cattolicesimo (si pensi oggi, al cattolicesimo “no-global o new-global” neopacifista).
  13. Nell’analogo in Lc 16,13, “accade” lo stesso. In Luca il racconto prosegue con un’invettiva di Gesù ai Farisei, notoriamente avidi di denaro secondo la visione evangelica, ai quali è detto «ciò che è esaltato fra gli uomini è cosa detestabile davanti a Dio», questo ciò è evidentemente il denaro. Anche qui nessun commento CEI.
  14. Scrive sull’Avvenire del 7 agosto 2003 il filosofo cattolico amante del libero mercato Dario Antiseri, con riferimento al ruolo centrale dei francescani nell’avvento del capitalismo: «Centrale, in siffatta tradizione, è l’opera di Pietro Di Giovanni Olivi (1248-1298), il quale - tra altre questioni - nel suo “Tractatus de emptione et venditione, de contractibus usurariis et restitutionibus”, si pose l’interrogativo se sia lecito distinguere fra il prestito di una somma di denaro qualsiasi e il prestito di una somma di denaro efficientemente inserito o da inserirsi nel processo produttivo. La sua risposta fu che, mentre l’incremento del denaro preteso in forza del mutuo era configurabile come usura, la ricompensa che un mercante o chiunque altro avesse avuto progetti di investimento economico relativamente fruttifero, pretendeva per distrarre il proprio denaro e darlo in prestito, sarebbe invece da considerare come un risarcimento del danno subito».
  15. Si tratta di Es 22,24; Lv 25,35-37; Dt 23,20; il Salmo 15; Ez 18,13.
  16. J. Le Goff. La nascita del Purgatorio. Torino 1982.
  17. J. Le Goff. La borsa o la vita. Dall’usuraio al banchiere. Roma-Bari 1987, p. 66.
  18. Le persone non ebree che possono compiere il sabato ciò che agli ebrei è vietato.
  19. Si vedano sull’argomento: B. Nelson. Usura e cristianesimo. Per una storia della genesi dell’etica moderna. Ed. Sansoni 1967; D. Antiseri. Cattolici a difesa del mercato. Ed. SEI 1995; M. Novak. L’etica cattolica e lo spirito del capitalismo. Ed. Comunità 1994; interessante, per il lettore scaltro, il lavoro del fascista Ezra Pound, Lavoro e usura, Milano 1972.
  20. Per approfondire la storia del cattolicesimo, si veda: Karlheinz Deschner. Storia criminale del cristianesimo, Milano 2000. L’opera è in 10 volumi, in Italia sono stati pubblicati i tomi dal I al IV ed è in uscita il V per febbraio 2004. Per richiederlo all’editore scrivere a edizioni.ariele@tin.it o nelle migliori librerie.
  21. L’8 maggio del 2001 l’Ufficio Liturgico del patriarcato di Venezia scrive in un documento per i parroci che si «abbia cura di scegliere dei canti con chiaro contenuto teologico e adatti al momento rituale specifico. Si evitino, invece, rigorosamente quei canti che appartengono al repertorio canzonettistico dei festival, dei film, dei concerti pop o della musica lirica e che non sono in alcun modo legati all’azione liturgica che si sta compiendo». Una retromarcia decisa.
  22. Che sia vero o no, che il numero sia considerevole o insignificante, è poca cosa, davanti all’impatto sull’evento (la Giornata Mondiale della Gioventù). Anche se in termini leggendari, questa notizia ha profondamente disarticolato la percezione dell’adunata oceanica, suggerendo un’immagine incontrollata del milione di corpi colà convenuti.

(Fine Prima parte, la Seconda parte nel prossimo numero).