E cercano ancora il creatore con le regole della matematica

di Maurizio Magnani, coordinatore circolo UAAR di Perugia

La probabilità che lanciando in aria un mazzo di carte da ramino si ottenga una disposizione delle carte ordinata sequenzialmente per semi e per numero è infinitamente bassa, così bassa che se la prova fosse eseguita al buio sospetteremmo l’intervento di un trucco o di una mano ordinatrice, insomma di una intenzione: crederemmo ben difficilmente al ruolo del caso. Diversi anni fa, alcuni astrofisici, soffermandosi a ragionare sulle leggi fisiche dell’universo e sui valori numerici che le esprimono, giunsero alla conclusione che se anche uno solo dei tantissimi “parametri” del cosmo, quali una costante cosmologica (esempio, la costante gravitazionale che concorre a definire la legge di attrazione gravitazionale tra i corpi), una forza fisica fondamentale (esempio, la forza elettromagnetica) o una particella elementare (esempio, la massa del protone) fosse diverso, allora l’intero universo sarebbe non solo differente da quello che è, ma sarebbe quasi certamente invivibile o addirittura non si sarebbe mai formato. Insomma, un Universo così ordinato e ben funzionante dove un gran numero di leggi fisiche, costanti matematiche, forze e particelle fanno andare avanti le cose e le fanno evolvere e dove piccolissimi cambiamenti non avrebbero mai dato vita ad un cosmo così “intelligente” non può essere, a detta di molti, il frutto di un puro gioco del caso.

Intendiamoci bene: dietro a questa tesi non esistono filosofi o teologi di poco conto, ma un gran numero di matematici, astronomi e fisici con calcolatori di inimmaginabile potenza i quali hanno calcolato come la probabilità che un Universo con una fisica come la nostra possa essersi costituito in conseguenza di una formazione casuale dei parametri vale 10-229, cioè una probabilità su dieci seguìto da 228 zeri.

Da questa premessa, due scienziati, J. Barrow e F. Tipler, hanno formulato un principio definito antropico (antropos = uomo) che ricolloca, contro Copernico e Darwin, l’uomo al centro dell’Universo. Il principio antropico “debole” sostiene che il cosmo in cui viviamo, proprio per l’ordine funzionale che mostra e che non sarebbe stato possibile variando anche di un’infinitesima parte le sue leggi, non può essere nato per caso, ma è sotteso da una trama, un ordito intelligente. Spingendosi oltre e prendendo spunto da una famosa riflessione di Einstein, il quale si stupiva di come la mente umana riuscisse a intellegire e a spiegare i misteri dell’universo, il principio antropico “forte” formula la tesi che non solo l’Universo è stato costruito seguendo un “progetto”, ma che tale progetto prevedeva anche la nascita di un essere intelligente, l’uomo, capace di renderlo compiuto attraverso l’atto di intellezione e di contemplazione cosciente.

Il lettore avrà compreso, a questo punto, che il principio antropico rappresenta una versione aggiornata della cosmologia teleologica (teleos = fine) inaugurata da Aristotele e sostenuta dai teologi medioevali quale prova dell’esistenza di un dio creatore (se l’universo tende verso un fine, esso gli è stato attribuito da un’entità che lo trascende). Le reazioni alla tesi del principio antropico non si sono fatte attendere, hanno coinvolto molte tra le menti più brillanti della fisica e dell’astronomia degli anni ’80 e ’90 e hanno preso spunto, ancora una volta, da Einstein quando disse «non credo che dio abbia potuto scegliere quando ha creato il mondo» sostenendo così che i parametri cosmologici potevano essere solo quelli che sono, all’interno di una teoria matematica coerente dell’Universo. Riassumo solo alcune delle obiezioni mosse al principio antropico.

  1. Confusione delle cause con gli effetti. Chi non è mai nato non può testimoniare il fallimento della sua nascita, mentre chi riesce in una impresa può sentirsi privilegiato, ovvero i ragionamenti teleologici variano in funzione di chi li formula. Se tra un miliardo di anni la Terra dovesse essere dominata da macchine biologiche pensanti autonomamente, allora esse rifletterebbero che l’Universo è stato senz’altro progettato per i biocybers intelligenti. Inoltre, il cosmo è destinato a un’espansione lenta e inesorabile, a un congelamento senza più alcun pullulare di vita, come dire che esso è stato progettato per morire?
  2. Il Multiverso. L’astronomo John Weeler, il principale teorico dei buchi neri, ha elaborato l’ipotesi scientifica dell’esistenza della molteplicità di Universi, oggi confortata anche da Stephen Hawking e da altri astrofisici. Essa sostiene che esistono moltissimi Universi, in teoria infiniti, collegati tra loro da cunicoli spazio-temporali ai cui estremi esistono buchi neri (che ingoiano materia di qui) e buchi bianchi (che restituiscono materia di là), ciascuno dei quali con propri parametri fisici e proprie leggi naturali: gli Universi che non possiedono leggi e parametri compatibili con la loro sopravvivenza abortiscono, gli altri sopravvivono e possono originare altri universi paralleli, come per gemmazione.
  3. Il darwinismo cosmologico. Recenti e convincenti indizî sulla variabilità delle costanti cosmologiche ha portato Lee Smolin alla formulazione della teoria secondo la quale i valori dei parametri fisici non sono stati sempre gli stessi dagli inizi dell’Universo, né saranno a lungo ancora gli stessi; pertanto il cosmo possiede una sua naturale evoluzione e noi dobbiamo abbandonare l’idea di un Universo (il nostro, in attesa della conferma dell’esistenza di altri) regolato da leggi immutabili. Insomma, i parametri dell’Universo evolvono, altroché essere sempre gli stessi e assoluti, ed evolvono verso la creazione della complessità.

A queste obiezioni sul principio antropico se ne aggiungono molte altre, per esempio di natura filosofica-linguistica (“essere” ed “esistere” sono predicati separati dalla dimostrazione, come dire che io posso parlare di un cavallo alato e descriverlo nei particolari, ma non per questo esso esiste nella realtà; con ciò, dal postulare l’essenza di un’entità ordinatrice del cosmo a dimostrarne l’esistenza ne corre …); filosofica-ontologica (la matematica non possiede un proprio statuto ontologico definito, essendo uno strumento di misurazione per approssimazione e incapace di poter dimostrare la propria coerenza interna, dunque impossibilitato ad autorizzare azzardi metafisici, tanto meno se sono trascendentali); psicologica-cognitiva (la mente dell’uomo cerca sempre cause efficienti ai fenomeni, soprattutto se appaiono complessi, sebbene essi possano essersi costituiti in modo casuale o per evoluzione spontanea); epistemologica (la lotta per la sopravvivenza è un fenomeno osservabile in natura, siamo noi che la trasformiamo in “legge di natura”, pertanto il cosmo funziona in un certo modo e siamo noi che chiamiamo questo funzionamento “leggi” con parametri e formule; oltretutto molti fenomeni biologici non sono descrivibili da leggi categoriali esprimibili matematicamente eppure esistono) e così via.

In definitiva, le obiezioni formulate al principio antropico sono state tali e tante che nel mondo scientifico sono rimasti ormai in pochi irriducibili a dar credito alla teoria. Non è così invece tra i teologi, i filosofi e gli scienziati “orientati” in senso metafisico-trascendente, tanto che in uno dei recenti numeri di Vita e Pensiero, l’autorevole rivista delle Università Cattoliche, è stato pubblicato un articolo di Paul Davies, notissimo astronomo e autore di molti libri, dal titolo «In cerca del creatore con le regole della matematica», nel quale egli espone una sua versione del principio antropico confermando le sue certezze che la conformazione del nostro Universo non è accidentale e che solo il legame tra i profondi meccanismi dell’universo e la mente dell’uomo possa spiegare come quest’ultimo lo intellegisca e lo faccia addirittura in termini matematici.

Devo confessare al lettore che, pur sforzandomi, non riesco a provare stupore, come fa Davies, che l’istruito riesca a capire l’istruttore che lo ha addestrato, ovvero che l’uomo, il cui cervello è stato plasmato da decine di milioni di anni di evoluzione naturale, comprenda la natura e le sue leggi di cui è selezionato prodotto, e lo faccia attraverso una matematica che comunque è parto culturale del suo cervello. Inoltre, ipotesi non trascurabile, non abbiamo la certezza che non esistano altre modalità di intellegire l’Universo, modalità magari anche migliori delle nostre.

Intuisco invece, perché incontrai Davies alcuni anni fa alla manifestazione Spoletoscienza, nel corso della quale egli mi sembrava poco attratto dal principio antropico, come l’astronomo inglese cambi opinione adattandola alle idee di chi lo ospita: è una questione di marketing. D’altronde, venni a conoscenza dell’esistenza di Davies molti anni fa attraverso un articolo della rivista Nature in cui l’articolista si domandava perplesso: ma come fa uno scienziato a lavorare seriamente e contemporaneamente a scrivere tanti libri e a tenere tante conferenze in giro per il mondo?

Evidentemente Davies aveva già fatto allora le sue scelte.

Bibliografia

J. Barrow, F. Tipler. Il principio antropico, Adelphi 2002.

P. Davies. Il cosmo intelligente. Mondadori (varie edizioni).

M. Gasperini. Cosmologia e teoria delle stringhe. F. Muzzio 2002.

B. Greene. L’Universo elegante. Einaudi 2000.

L. Smolin. La vita del cosmo. Einaudi 1998.