La crisi della Chiesa cattolica

di Giancarlo Nobile, Napoli

In Italia, centro del Cattolicesimo, si fa sempre più forte la scollatura tra la realtà sociale ed il modello imposto dalla Chiesa cattolica: l’aborto, i contraccettivi, la violenza sessuale, il divorzio, negli anni si cono succeduti gli scontri col mondo laico. Ed a nulla è servito il Concilio Vaticano II, che non e stato né poteva essere un mutamento di sostanza. Questa divaricazione, anzi, è diventata sempre più forte. La società laica italiana, d’altro canto, mantiene ancora molti tratti della società medioevale; basti pensare alla chiusura tribale nella famiglia, che diventa «familismo amorale» (generatore di mafia, camorra, ‘ndrangheta) al sud e «mammismo» (generatore d’insofferenza per tutto ciò che è statale) nel nord leghista.

 

La Chiesa, per la sua struttura radicata nel territorio, è stata vissuta come buon mezzo sociale per affrontare i vari problemi di droga, emigrazione, emarginazione. Lo Stato si è scrollato di dosso molti di tali problemi sociali e, demandandoli alla Chiesa, ha reso quest’ultima sempre più forte strutturalmente ed economicamente. Ciò, di fatto, ha costruito uno Stato nello Stato, determinando da un lato la fuga dei cittadini dallo Stato democratico, dall’altro un intollerabile potere delle gerarchie ecclesiastiche.

 

Per comprendere ciò, basterebbe citare gli episodi del vescovo di Monreale accusato di collusione con la mafia, e del cardinale di Napoli, Michele Giordano, implicato in uno squallido giro d’usura e di riciclaggio di denaro sporco. Ambedue figli del familismo amorale del Sud, hanno criticato in modo sprezzante lo Stato laico che entrava nei loro affari, nella loro etica e nella loro legge, proclamandosi così al di fuori e al di sopra di esso.

 

La Chiesa cattolica ha da sempre monopolizzato, come tutte le religioni, il tempo degli uomini piegando a sé il calendario. E il cittadino ignaro ne segue le feste ed i riti, quand’anche più per abitudine che per convinzione, non conoscendone e non capendone le origini (che furono agro-pastorali) e le motivazioni (il mantenimento dell’ordine sociale). Senza andare lontano, vi sono stati nel recente passato alcuni episodi che hanno ribadito le radici e l’esegesi vere del Cattolicesimo, lasciando interdetti i cittadini non abituati ad entrare nel merito dottrinale della religione.

 

Tali episodi hanno portato alla ribalta dei mass-media la Chiesa, la sua dottrina ed il suo rappresentante, il papa, e hanno evidenziato i limiti a cui è giunto il Cristianesimo al di là delle sue madonne piangenti e dei suoi monaci taumaturghi. Uno di questi episodi fu l’intervento di Irene Pivetti, allora presidente della Camera, alla festa di Comunione e Liberazione. In tale contesto, questa donna già famosa per aver rimpianto la condizione femminile sotto il ventennio mussoliniano, esaltò il primato della religione sullo Stato. Dichiarò inoltre che la legge costituzionale deve discendere da Dio, posizione questa che lasciò interdetti per la sua totale illogicità. La libertà dello Stato nei confronti della religione fu conquistata con il sangue versato alla Santa Inquisizione della sacra Romana Chiesa, e fu confermata dalla vittoriosa Rivoluzione Francese del 1789 e quella di Napoli del 1799, perdente sul piano militare, ma non su quello delle idee.

 

La Costituzione dello Stato deriva direttamente dai cittadini, loro sono i sovrani di uno Stato democratico e da loro discendono le regole. Un presidente della Camera che pronuncia le frasi di Irene Pivetti, «in un paese normale» sarebbe stato subito destituito. Sarebbero stati sufficienti i dubbi di «sanità mentale» o di «incapacità culturale». Ma tant’è. Nell’Italia «modernamente medioevale» di oggi, questa donna aliena dal mondo mantenne la sua carica. E mentre troppi rappresentanti della Chiesa elogiarono la Pivetti, è sintomatico che la Chiesa aspira a tornare indietro non riuscendo a definirsi nei tempi nuovi. Come se si trovasse in un mondo e in un tempo non più suoi.

 

Un altro episodio da ricordare fu l’atteggiamento del Vaticano alla Conferenza ONU sulla Demografia, tenutasi a Il Cairo nel 1994. La posizione isolata del Vaticano contro l’aborto e contro i sistemi contraccettivi videro il Cattolicesimo scavalcato in modernità perfino dall’Islamismo. Il Vaticano si trovò chiuso nei suoi dogmi rivolti a un mondo non più esistente. Dogmi che cozzano contro un mondo sempre più complesso e in veloce trasformazione, con immani problemi sociali, politici, economici, ecologici. Un mondo in cui tutto si pone sullo stesso piano storico, ma tutto è diverso nelle sue interpretazioni sociali, culturali e politiche. E in tale mondo una struttura dogmatica non ha possibilità d’esistere; la dialettica tra diversi diviene fondamentale.

 

Oggi il Vaticano ha iniziato ancora nuove battaglie di retroguardia. Com’è quella del finanziamento pubblico alle sue scuole private, o quella del voler imporre i suoi principi in tema di bioetica ignorando la libertà e la responsabilità del singolo cittadino e della ricerca scientifica. Una cultura sola, un’etica sola, una volontà sola: questa è la visione di questa Chiesa cieca al mondo reale. Una Chiesa ingessata dai suoi dogmi, chiusa a difendere valori di un mondo passato, si trova sempre più isolata e non capita. Una Chiesa che non riesce più a dialogare teologicamente con le sue «pecorelle» e s’immerge in un sessuofobismo ottuso. Una Chiesa che con iattanza si autocelebra e celebra pomposamente il suo papa, si rimira compiaciuta in uno specchio che riflette un’immagine di potere assoluto che non può più esistere. È questo anche il dramma di Giovanni Paolo, stanco e ammalato, che non si «rassegna» al mondo moderno.

 

Il sistema cattolico è un sistema medioevale. Dopo la caduta dei regimi dell’Est, esso è rimasto il solo sistema assolutistico che conferisce il monopolio del potere, del sapere e della verità ad un solo uomo. Questo sistema dittatoriale è un sistema che può imporre vescovi non desiderati alla comunità ecclesiale, che discrimina le donne tramite il divieto del sacerdozio, che impedisce il matrimonio ai preti, che soggioga i propri teologi, che spinge fuori della Chiesa innumerevoli uomini, che impedisce l’effettiva intesa ecumenica da essa proclamata solo a parole. Così, la Chiesa si trova di fronte alla più profonda crisi dopo la Rivoluzione Francese: il suo essere rigido, dogmatico, impermeabile al nuovo, il suo essere atono verso ciò che non può dominare. Il solo guardare nostalgicamente indietro la sta condannando all’incomprensione. Alla fuoriuscita dalla storia.

 

Ed ecco il male interiore che ha colpito la Chiesa: l’impossibilità di riformarsi. Tutto è in costante discesa: dalle vocazioni (tanto che sta diventando consueta la «tratta» di ragazze del sud del mondo per rimpinguare le esangui schiere dei monasteri) al numero di fedeli, dei sacerdozi e dei praticanti. Ecumenismo, sacerdozio, ruolo delle donne sono alcuni dei problemi irrisolti che la Chiesa bloccata dal suo stesso essere non riesce a risolvere. Wojtyla è un profeta immobile, un pietrificato annunciatore del passato perché non è in grado di immaginare una Chiesa radicalmente diversa. Pena il radicale mutamento etico, culturale e dottrinale del Cristianesimo. Tutto ciò è stato ribadito nell’ultima enciclica «Fede e ragione» in cui il papa si rifugia nella scolastica di Tommaso negando tutto il pensiero posteriore sia in termini filosofici sia in termini scientifici e tecnologici. Il tutto inserito in un confuso e semplicistico discorso che cerca di portare il pensiero buddista, confuciano e induista in un unicum che è il Cattolicesimo.

Il pensiero per Wojtyla è un pensiero monolitico, unidirezionale che parte da Dio e cerca la verità assoluta di Dio. Ma il vero pensiero obbliga ad uscire all’aperto, fuori del recinto rassicurante e protettivo delle opinioni consolidate e condivise. Il vero pensare è un mettere continuamente in discussione le proprie convinzioni in un gioco senza rete, in una partita rischiosa e senza trucchi. Il vero pensiero, quello laico, non dispone della certezza di una parola rivelata. È questo il modello di chi vive non cercando una verità che già c’è, depositata o nascosta da qualche parte, ma viaggiando tra mille e mille verità, cosciente che il pensare ha davanti a sé una pagina bianca. E dunque il pensare è assumersi il rischio di conquistare quella pagina bianca e scriverci, sotto la propria responsabilità. Assumersi la propria responsabilità vuol dire essere liberi.

 

Dunque, pensare vuol dire essere liberi. Ed è la libertà e l’assunzione di responsabilità che fa paura alla Chiesa; la libertà è il grande e mortale nemico del Cattolicesimo, la responsabilità individuale ed il suo superamento. La libertà e la responsabilità conquistate politicamente attraverso le rivoluzioni americana, francese e russa, e teorizzate da Illuminismo, Romanticismo, Marxismo ed Esistenzialismo, sono il muro ove si schianta il Cattolicesimo. Contro questa libertà affonda il Cattolicesimo con la zavorra dei suoi dogmi: dalla trinità delle persone di Dio (Nicea, 325; Costantinopoli, 381) alla duplice natura e volontà di Gesù detto il Cristo (Calcedonia, 451; Costantinopoli, 680), dal Purgatorio (inventato a Firenze nel 1439) alla transustanziazione (Trento, 1563), dall’immacolata concezione di Maria di Nazaret detta la Madonna (Roma, 1854) alla sua assunzione in cielo (Roma, 1950) e, ciliegina nella torta, all’infallibilità del papa (1870).

 

Ma quali sono le radici di ciò? Le radici stanno nella stessa nascita del Cristianesimo. Una piccola e intelligente casa editrice napoletana, la Procaccini (Via S. M. Costantinopoli 30, 80138 Napoli, telefax 081 741 5881), ha pubblicato nella sua interessantissima collana Fragmenta un testo di Voltaire inedito per l’Italia: L’affermazione del Cristianesimo, a cura di Francesco Capriglione (pp. 160, Lire 8.000). Tale opera viene così giustamente presentata dalla casa editrice: «Questa opera costringe ad interrogativi radicali: su che cosa si fonda l’affermazione sociale, politica, ideologica del Cristianesimo?». È un libro da leggere. Dopo tanti secoli, dopo tanti studi sull’argomento, basta ricordare Frazier con il suo Ramo d’Oro, o Ambrogio Domini con il suo Storia del Cristianesimo. Questo libro riverbera una freschezza, una lucidità d’analisi, un’impostazione storiografica, una semplicità espositiva enormi.

 

Ed è questa anche un’occasione per riavvicinarsi a Voltaire di cui recentemente è stato festeggiato il 300° anniversario della nascita (François Marie Arouet, il vero nome di Voltaire, nacque nel 1694 e morì nel 1778). Voltaire il filosofo che dissolve i dogmi, il pastore del dubbio, l’artigiano della convivenza civile. Voltaire il filosofo di questi tempi, in cui la dialettica tra diversi è indispensabile per costruire un mondo basato sulla comprensione e l’accettazione degli altri sistemi e modi di essere. Ecco perché, Voltaire, è oggi indicato come uno dei padri del movimento ambientalista ed è visto come uno dei precursori del pensiero moderno ecologista che vuol costruire la «società sostenibile».

Ma chi vuol cercare al di là del processo storiografico, vedere oltre il fatto storico contingente, chi vuol vedere dietro le quinte del drammaticissimo dualismo tra il «bene» e il «male» che sono all’origine del Cristianesimo, allora la lettura è Il Vangelo secondo Gesù di José Saramago (Ed. Bompiani, pp. 346, Lire 29.000). Saramago, vincitore del premio Nobel 2000, costretto all’esilio dal suo Portogallo dall’intolleranza e dell’integralismo cattolici, con questo romanzo pone all’attenzione le estreme conseguenze delle contraddizioni dogmatiche del Cristianesimo. Chi è Dio, che fa uccidere suo figlio in modo atroce, per estendere il suo potere dal popolo pastorale d’Israele a tutto il mondo? Chi è Satana (il cosiddetto «male») e qual è il suo rapporto con Dio (il cosiddetto «bene») nell’ambigua dialettica tra i due poli? Sono solo alcune delle domande cui con profonda intelligenza e bravura stilistica dà risposta Saramago.

 

La bivalenza del bene e del male è insito nel Cristianesimo ed è uno dei temi più interessanti. Ecco cosa ha scritto recentemente l’antropologa Ida Magli «…La spietatezza che accompagna i cristiani ovunque vadano, una spietatezza che non ha riscontro nella storia dell’umanità per il semplice motivo che, se tutti gli uomini hanno sempre oppresso ed ucciso, nessuno l’ha mai fatto come i cristiani in nome “dell’amore”. Per questo, l’Inquisizione non è difendibile, per questo non sono difendibili le Crociate, per questo non sono difendibili i massacri degli indios americani: non per la loro violenza tragica come tutta la violenza umana, ma perché hanno affermato di agire per amore. Anche la Vandea, come la Bosnia di ieri e di oggi, appartiene alla storia del Cristianesimo. Dovunque si sono radicati i cristiani, si è manifestato il massimo dell’intolleranza e della violenza…».

Cristianesimo, religione figlia del pensiero platonico (dualismo) ed aristotelico-tomistico (struttura). Pensiero che sostituisce la visione globale dei presocratici della realtà con una distinzione netta tra Essere ed Ente, tra l’idea delle cose e la loro ombra. Tutta la materia, tutto quello che percepiamo attraverso i nostri sensi, non è che un’ombra delle strutture spirituali delle cose, degli archetipi, vale a dire delle idee. La realtà viene così ad essere scissa in due sfere: quella dell’Essere ideale, divino, che esiste di per sé, e quella dell’esistente, di quanto terreno, appartenente al mondo, alla materia, che è percepibile attraverso i sensi. Il dualismo greco, all’origine del pensiero occidentale, priva le cose d’ogni carattere dell’Essere. Questo dualismo s’incontra con il dualismo giudaico e origina quello cristiano, che spoglia la natura da ogni carattere divino e sacro.

 

Nella storia europea poté così affermarsi un disprezzo «per le cose contingenti» e fu proprio questa concezione della realtà terrena come non necessaria e non divina a offrire all’uomo occidentale la possibilità di considerare la terra a sua completa disposizione e negare ad essa ogni valore intrinseco ed assoluto. Come si può vedere nei problemi ambientali del presente, noi sperimentiamo le conseguenze ultime del pensiero filosofico greco-giudaico. Ed ora che l’umanità ci deve fare i conti, quel filone filosofico originante i dogmi che annichiliscono il Cristianesimo vengono fuori nei loro limiti. Scrive Emanuele Severino: «Il nemico più implacabile e più pericoloso del Cristianesimo è il Cristianesimo stesso».

Nel momento in cui l’umanità cerca la complementarietà con la natura, il dualismo della cultura occidentale permeata del pensiero ellenisticogiudaico entra in crisi. Nel momento in cui l’Occidente affronta la sua storia e cerca di mutare i suoi paradigmi culturali, per incontrare e dialogare pariteticamente con tutti i popoli della terra, deve affrontare anche serenamente la «crisi» e la «questione» Cristianesimo senza tabù, remore e… dogmatismi.