Cosa significa aderire all’UAAR?

di Marco Accorti

Se il tema dell’eutanasia (L’Ateo 3/2000) non ha trovato alcun riscontro, lo si può spiegare o con la piena concordanza di lettori nel sostenere la rivendicazione di un tale diritto, o sulla difficoltà a parlare della morte, argomento abitualmente scacciato oltre il limite dei nostri pensieri. Forse anche dagli atei, agnostici e razionalisti. Stupisce invece che un altro tema, quale «cosa significa aderire all’UAAR?», direi quindi sulla vita o su un modo di viverla da atei, agnostici, razionalisti, non abbia per ora dato segni di… vita. E questo non solo come lettere al direttore, ma anche come improperi indirizzati direttamente a me, incauto estensore. Quindi, «Pio IX ladro» lo propongo ancora una volta (vedi L’Ateo 4/2000, p. 31).

 

Data la vastità delle opzioni possibili mi è stato difficile decidere un incipit adatto, comunque il lettore può benissimo sceglierne un altro. Basta andare all’Appendice de Il Sillabo e dopo, la riedizione de Il Sillabo di Ernesto Rossi (ed. Kaos) e c’è da scegliere. «Fuggite la Chiesa, la bottega che puzza d’infetti rettili, e non la permettete ai vostri congiunti. Che il prete non comparisca più in pubblico col grottesco segno del triregno, simbolo di miseria e di vergogna per l’Italia. Educate i figli alla vera religione dei preti - vi diranno - la religione dei vostri padri; voi risponderete che quando i nostri padri primeggiavano nel mondo non conoscevano la religione dei preti e, dacché la conobbero, essa li prostrò ai piedi dei barbari in un progresso di prostituzione e di sventura che fa ribrezzo ricordarlo» (Giuseppe Garibaldi, 1861).

 

Dopo 60 anni da quella data quel mangiapreti di Mussolini stipula il Concordato, dopo 80 quell’ateo di Togliatti sentenzia che «l’articolo 7 della Costituzione gli interessa meno dell’ultima delle riforme agrarie», dopo 120 Craxi, il più noto «garibaldinista», stipulava il nuovo Concordato. Intanto noi, sia su queste pagine, sia sulla più moderna ML «ateismo» del sito UAAR [ML, mailing list, spazio virtuale dove si discute in Internet, n.d.r.] continuiamo a presentare atteggiamenti, proposizioni e quesiti «pregaribaldini». A dire il vero fra gli anni ’60 e ’70, quasi fosse stato il rito commemorativo del centenario, c’era stato un rigurgito collettivo di laicità, ma, ahimè, oggi non rimane traccia. é dunque evidente che se siamo allo stesso punto di Garibaldi, forse sarebbe il caso di riparlarne e domandarsi il perché.

 

Viene spontaneo attribuirne la responsabilità allo strapotere dei «clericali», ma mi sembra riduttivo, semplicistico e deresponsabilizzante andare a cercare il nemico «fuori di noi», se prima non si tenta almeno un minimo d’analisi critica delle nostre modalità comportamentali. Del resto, siamo onesti, è logico che l’avversario si difenda e contrattacchi (fra l’altro la prevaricazione, la crociata insomma, gli è connaturata), ma cos’è che ci paralizza da più di un secolo? Per quale ragione abbiamo bisogno di confluire, direi rifugiarci, in un ambito oggettivamente ristretto, invece di avere il piacere di riconoscerci naturalmente nella quotidianità, in mezzo agli altri.

 

Più volte, sia nella lettera a L’Ateo sia sulla ML, ho accennato all’ateo fascista o stalinista sottintendendo il dubbio su la legittimità o l’opportunità di una simile convivenza nell’UAAR, proprio perché mi viene da riferire a questa «ecumenicità» il fermo culturale e politico che ha permesso una progressiva clericalizzazione della nostra società. Più o meno all’ipocrita «siamo tutti fratelli in dio», che tiene coeso il verminaio confessionale, rischiamo di opporre un altrettanto ipocrita «siamo tutti fratelli in non-dio», convalidando la validità dell’indistinto come strumento di unione.

 

Ma quando ci si mette al tavolo dei bari (questa è una citazione, ma non mi ricordo di chi) o si bara meglio o non si gioca, a meno che non si sia masochisti o velleitari. Capita così che molti, a cominciare da me, abbiano abbandonato il tavolo da gioco; mentre altri, sicuramente con meno puzza al naso di quanta ne ho mostrata io, non si siano arresi. Ma con quale risultato? Non voglio sembrare polemico o irriconoscente, in realtà il contesto dell’UAAR offre un’opportunità di riflessione altrimenti preclusa. Ma se non la si adopera propositivamente a cosa serve?

 

Io sono arrivato «ieri», ma da tempo facevo il guardone, nel senso che leggevo L’Ateo (quando lo trovavo) e cercavo di capire. Poi, per comprendere meglio, ho fatto anche il «grande salto» e mi sono iscritto, trovando un colto, piacevole e vivace salotto ed una grande accoglienza, ma anche un’ecumenica fratellanza che sconfina nell’indistinto e nell’immobilità. Sia chiaro, non è l’ambiguità melmosa clericale che, cambiando continuamente forma, tutto invade e tutto risucchia: la nostra sembra una palude che ribolle, ma sempre palude è; una pentola di fagioli, ma sempre fagioli dentro una pentola siamo. Baldo Conti prima, Giampiero Grosso dopo, hanno posto sul tavolo questioni fondamentali in modo articolato e sentito. Non c’è stato alcun coinvolgimento. Io, in maniera più grossolana, ho riprovato senza trovare ugualmente riscontro.

 

Se L’Ateo sembra un dialogo fra sordi, raramente ravvivato da confronti magari duri, la ML, proprio per sua natura presenta invece una vivacità ed una interattività maggiore: anche fino al contrasto, come del resto la diversità l’impone. Tuttavia tanto L’Ateo che la ML sembrano soffrire della nostra scarsa capacità propositiva. Sembra che come io non so rispondere alla mia domanda, neppure altri siano in grado di farlo.

 

Sia chiaro: sono qui apposta per «migliorare la mia ignoranza» sui contrasti fideistici che ci circondano, ma mi fa anche piacere che non si parli solo di anticlericalismo, bensì di sessualità e AIDS; tuttavia non posso non notare che i termini in cui sono poste le questioni son tutto fuorché propositivi se non talvolta retrodatati. E comunque son temi «trasversali», patrimonio non esclusivo degli atei: don Milani era un anticlericale, l’omosessualità come (ahimè) l’AIDS sono molto, molto… democratici, disconoscendo sesso, razza e religione.

 

Fra le e-mail mi ha colpito molto quella di Stefano ed ancor di più il modo con cui conclude: «…Sarà anche una banalità, ma uno dei motivi per cui sono ateo è che sono gay…», sottintendendo, credo, uno stato di emarginazione. Un’affermazione di questo tipo era «normale», direi inevitabile, 25 anni fa quando militavo nel partito radicale e mi trovavo fianco a fianco con gli amici del FUORI («…uno dei motivi per cui sono radicale è che sono omosessuale…»). A quei tempi i gay non esistevano: c’erano i finocchi e basta. Solo nel FUORI c’erano gli omosessuali.

 

Oggi però ci sono gay, donne, ebrei e atei che esplicano compiti importanti per il paese grazie a 25 anni non trascorsi proprio inutilmente, anche se vale la pena di ricordare quell’intuizione geniale di Pasolini che, anche pur non avendolo mai amato, ritengo portatore di momenti di lucidità inimitabili. Se in altra occasione aveva invitato: «Non un partito radicale, ma i radicali nei partiti», nel suo Testamento, letto al congresso radicale di Firenze del ’75, ammoniva riferendosi al potere capace di abrogare «…attraverso la realizzazione falsificata e totalizzante dei diritti civili, ogni reale alterità. Dunque tale potere si accinge di fatto ad assumere gli intellettuali progressisti come propri chierici. Ed essi hanno già dato a tale invisibile potere una invisibile adesione intascando una invisibile tessera».

E come antidoto ci invitava a non rinchiuderci nel «nostro» partito, ma a sparpagliarci in giro per continuare a contaminare gli altri: «Contro tutto questo voi non dovete far altro (io credo) che continuare semplicemente a essere voi stessi: il che significa a essere continuamente irriconoscibili. Dimenticate subito i grandi successi: e continuate imperterriti, ostinati, eternamente contrari a prendere, a volere, a identificarvi col diverso: a scandalizzare, a bestemmiare». Ed è quello che è successo, ad esempio, con i preti, i fascisti, i comunisti, i parlamentari, gli industriali, i commessi, i buttafuori, ecc… gay. Insomma, chi è andato per il mondo una «casa» l’ha trovata non diversamente dalle altre persone «normali» che si sono messe in cerca e, come le altre persone, ora rischia di soffrire dei «normali» problemi d’emarginazione che questa società riserva indistintamente a tutti, proprio perché il potere emargina proprio perché massifica, omologa o, come si dice oggi, globalizza tutto.

 

E qui credo di poter riannodare l’affermazione di Stefano con quel senso di disillusione che sembra pervadere tutti noi (mi ci metto anch’io) e che ci porta a stare rinchiusi come fagioli dentro la nostra pentola e borbottare senza riuscire ad avere capacità propositive. Perché se è vero che la marginalità è l’unica fonte di creatività, è anche vero che quando diventa autoesculsione ne rappresenta la tomba. Così quando periodicamente siamo «chiamati» nel mondo, ad esempio quando ci chiedono il voto, sappiamo solo scoltellarci secondo i più vecchi canoni della conflittualità partitocratica ovvero confessionale. Già, perché la conflittualità è figlia diretta della catechesi, quale rifiuto dell’accettazione paritaria del diverso: si conflittualizza per non confrontarsi. Non a caso la parola d’ordine è tolleranza e non rispetto: tollerare vuol dire sopportare (dal latino tollo, portare un peso), mentre rispettare viene da spectare, prestare attenzione, guardare (spectare) chi è dietro (re). Eppure in una delle sue tesi l’UAAR è esplicita «…è fondamentale mettere i sedicenti partiti laici, siano essi di ispirazione socialista o liberale, di fronte alle loro responsabilità e ai loro pretesi richiami ideologici» (n. 28).

 

Allora facciamolo! Usciamo dalla nostra pentola. Andiamo a scandalizzare, a bestemmiare, contaminiamo il mondo. Discutiamo e stabiliamo una piattaforma di priorità, così che potremo «vendere» il nostro voto in cambio delle nostre richieste. Quali? Ma per cominciare non c’è bisogno di andare lontano, basta guardare come l’UAAR si qualifica: «L’UAAR… ha diritto di interloquire in termini di etica, di morale, di istruzione, di concezione della vita - come contraccezione, aborto, eutanasia, unioni civili e di fatto - al pari delle comunità religiose, in particolare di quella cattolica».

Questa è già una piattaforma di obiettivi concreti e attuali. Direi maturi. Se li appoggiassero il fascista e lo stalinista, il liberista e il comunista allora non la nostra «ecumenicità» non sarebbe più un fermo culturale e politico e non avrebbe più senso domandarsi «Cosa significa aderire all’UAAR. O no?