Legge di parità scolastica e Costituzione

di Romano Oss

In un incontro a Trento sono intervenuti, sulla legge della parità scolastica, Bruno Moretto del Comitato Nazionale Per la Scuola della Repubblica e Luigi Lia, avvocato del Comitato nazionale Per la Scuola della Repubblica.

Sono in raccolta le firme del Comitato nazionale Per la Scuola della Repubblica necessarie a presentare una proposta di legge di iniziativa popolare (Costituzione art. 71, comma 2) che regoli: «Diritti e obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità» iniziativa annunciata nella Gazzetta Ufficiale del 31/12/1999 n. 284».

L’indirizzo di riferimento, se in zona non è già costituito il Comitato, è: Forum «Per la Scuola della Repubblica», corso Vittorio Emanuele 154, 00186 Roma.

 

Per poter affrontare il problema della legge ora, febbraio 2000, in discussione alla Camera (forse quando uscirà questo intervento sarà già stata votata) e per fare un po’ di chiarezza anche a favore di chi non ha seguito molto da vicino il susseguirsi di proposte, mediazioni e compromessi è forse opportuno presentare un breve resoconto, anche se semplificato, sull’intera questione: scuola pubblica, scuola privata.

 

Anzitutto è necessario capire bene come gli articoli 3, 33, 34, 117 della Costituzione siano tra loro legati per quanto riguarda la materia scolastica.

 

Per chi non avesse a portata di mano la Costituzione riportiamo gli articoli:

 

    Art. 3. - Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
    È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

     

    Art. 33. - L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento.
    La Repubblica detta le norme generali sulla istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.
    Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.
    La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello di alunni di scuole statali.
    È prescritto un esame di Stato per la ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale.
    Le istituzioni di alta cultura, università e accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato.

     

    Art. 34. - La scuola è aperta a tutti.
    L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.
    I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.
    La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie e altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.

    Art. 117. - La Regione emana per le seguenti materie norme legislative nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, sempreché le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre Regioni: (omissis) istruzione artigiana e professionale e assistenza scolastica; (omissis) Le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione il potere di emanare norme per la loro attuazione.

     

Dagli articoli della Costituzione si evince chiaramente come la «Scuola della Repubblica» abbia il compito di garantire le stesse possibilità a tutti i cittadini e debba funzionare come strumento atto a rimuovere le differenze sociali.

 

Lo Stato ha inoltre l’obbligo di istituire scuole statali per tutti gli ordini e gradi ed è inadempiente quando trascura questo obbligo, come ad esempio succede in molte realtà, soprattutto per la scuola dell’infanzia, dove questo dovere è disatteso a favore di preti e suore, e nessuno crede che si tratti di dimenticanza!

 

La Scuola della Repubblica deve garantire due libertà: quella di accesso e quella di insegnamento. In riferimento a quest’ultima la libertà non può essere intesa solo dal punto di vista dell’insegnante, benché importante, ma anche rispetto allo studente che deve ricevere un insegnamento libero da condizionamenti ideologici e in armonia con i principi dello Stato.

 

La libertà è garantita anche ai privati, ma si tratta di libertà individuali come quella di istituire scuole e istituti di educazione. In queste perciò non vige la libertà di insegnamento, né per l’insegnante né per lo studente, poiché prevale il progetto educativo sulla base del quale è stata istituita la scuola. Questo aspetto permette legittimamente di controllare l’accesso, le assunzioni, e adire al licenziamento nei casi in cui le persone interessate non siano in linea con il progetto educativo stabilito. Ed è bene che queste differenze con la scuola statale rimangano perché i due sistemi hanno obiettivi e finalità diverse e non possono integrarsi.

 

L’offensiva dello Stato Pontificio nei confronti della Scuola della Repubblica nasce da sempre perché a nessuno fa piacere perdere il controllo delle menti, ma è bene ricordare una data abbastanza recente, il 1983. In quell’anno la CEI, Conferenza Episcopale Italiana, (i vescovi per intenderci) lancia l’idea del «Sistema Integrato Pubblico-Privato» che vedrà i primi tentativi di realizzazione in Province, cattolicamente sicure, come quella di Trento e quella di Brescia.

 

Si è trattato di un’offensiva interpretativa della Costituzione, basata sul fatto che le scuole non statali possono rilasciare certificati di studio equipollenti e quindi sono soggetti che svolgono una funzione omologabile a quella svolta dalla Repubblica secondo l’Art. 3 della Costituzione.

 

La concessione normativa di un’idea di sistema integrato soddisfaceva entrambi i pensieri nemici della Scuola della Repubblica: quello politico che permetteva di scambiare la concessione normativa con una temporanea rinuncia ad esigere finanziamenti, quello pretesco che permetteva di incassare una ottima rendita di posizione che in futuro avrebbe permesso di avanzare richieste di altro genere, in particolare quelle economiche.

 

Il concetto di sistema integrato permette di rovesciare il dettato costituzionale e tende a istituire un sistema scolastico di cui fanno parte pubblico e privato: questa è semplicemente una aberrazione costituzionale.

 

Dopo quel fatidico ’83 si avanzava da parte delle cosiddette scuole private la richiesta di finanziamento, scopo unico e ultimo di queste scuole che in definitiva sono aziende con scopo di lucro.(Azienda è una parola che per la scuola considero terribile e che da più fronti si avanza anche nel settore pubblico per snaturarlo nei suoi valori fondamentali).

 

Ma come fare a concedere soldi a questi in un modo che possa sembrare quasi legittimo? Con un’operazione di maquillage si limita un po’ la loro libertà ideologica, gli si chiede di cambiare qualche regola in modo tale che sembri che il sistema privato è come quello pubblico (ad esempio in Trentino sono stati imposti gli organismi collegiali, inutili dove c’è il controllo ideologico) e poi si concedono i finanziamenti.

 

Il missile cielo-terra lo ha spedito direttamente il monarca polacco chiedendo che a parità giuridica tra scuola pubblica e privata corrisponda la parità economica. La cosa terribile è che con la legge ora in discussione sulla parità non si potrebbe nemmeno dargli torto!

 

Ora, con l’introduzione dei cicli si arriva all’equazione: a parità di ciclo, parità scolastica. Il passo alla parità di trattamento non è nemmeno breve: sarà automatico.

 

La strada aperta in Trentino con la legge del 1990 ha prodotto i frutti sperati e, avendone verificato la potenzialità corrosiva sul sistema nazionale, altre Regioni si faranno avanti per ottenere leggi analoghe, così all’assegno nazionale si affiancherà l’assegno regionale, specialmente per le scuole dell’infanzia private, proprio perché lo Stato è inadempiente e, complice o in buona fede, fa il gioco degli speculatori dell’educazione.

 

L’attacco alla Costituzione non è più portato dal centro, ma arriva ora da tante periferie, regionali e provinciali.

 

Nella legge sulla parità un altro punto molto pericoloso è quello relativo alla autonomia.

 

In questo caso l’azione passa prima attraverso il ridimensionamento e la formazione di plessi, possibilmente verticali diretti da un’unica direzione ed esercitanti una forte autonomia. Ne derivano due grandi paure: la prima è che «plesso verticale» può significare anche possibilità di unica connotazione ideologica dalla materna alla superiore, la seconda paura è che il termine di autonomia può essere funzionale al concetto di azienda che, pur se statale, deve uniformarsi alle regole del mercato, e ancora una volta la Costituzione rabbrividisce!

 

Il passo successivo sarà ovviamente l’integrazione perché sarà un gioco da ragazzi dimostrare come il sistema pubblico sia omologo a quello privato e come entrambi svolgano la stessa funzione.

 

Alcune considerazioni necessariamente si devono fare sul «diritto allo studio».

La Costituzione all’Art. 117 parla di «assistenza scolastica» che, tradotta nel linguaggio politico-giornalistico, si trasforma in «diritto allo studio». La Costituzione prevede che per poter svolgere un intervento migliore questo aspetto dell’assistenza vada decentrato. Per questo motivo anche secondo il DPR 216 del 1975 sono previsti interventi di carattere assistenziale collettivo come quelli sui trasporti (scuolabus), sulle mense scolastiche, rispetto ai portatori di handicap o anche assegni alle famiglie povere.

 

Spingendosi oltre ai limiti ragionevoli nella interpretazione di questo comma costituzionale, da più parti si avanza l’idea di dare un assegno alle famiglie i cui figli si iscrivono alle scuole private, come se si trattasse sempre di famiglie povere. Un bel caso di finanziamento indiretto e onere per lo Stato.

 

In Lombardia l’on. Formigoni voleva far passare il finanziamento, non alle famiglie bisognose, bensì a tutte le famiglie i cui figli si iscrivessero alle private, e niente agli altri. Ovviamente una simile formulazione non poteva passare, ma probabilmente è passata quella che si voleva far passare: il buono scuola viene dato a tutti però sulla base di documentazione di costi (facili da documentare per le private, difficile o impossibile per le statali) e sulla base della dichiarazione dei redditi (favorendo così i soliti evasori e sfavorendo l’impiegato delle poste); ci si è ben guardati di parlare di patrimoni prima di erogare i finanziamenti pubblici.

 

Si è ormai oltre allo scontro tra religioso e laico, ora ci si rivolge anche al privato laico con l’intento di cambiare il sistema scolastico ed educativo. La Costituzione viene elusa attraverso i finanziamenti indiretti e, per garantire la cosiddetta parità, si elargiscono anche finanziamenti diretti alle private nel nome della parità di trattamento.

 

L’intenzione che emerge da qualsiasi azione in campo scolastico è sempre quella di arrivare alla formulazione per legge di un sistema integrato pubblico-privato dove il pubblico paga per tutti e il privato incassa i profitti assieme al risultato del condizionamento ideologico.

 

I nodi comunque rimangono, la scuola privata non può rinunciare al suo assetto ideologico ed è ovvio, altrimenti non avrebbe senso di esistere. Ma come si possono avvicinare i due sistemi per dare l’impressione all’opinione pubblica che in definitiva svolgono la stessa funzione? Con il meccanismo dell’autonomia si apre la possibilità per le scuole statali di dotarsi di P.I. o P.E.I. o altre sigle che significano progetto educativo. Di istituto? Di plesso? Vedremo. Sta di fatto che progetto educativo può significare anche darsi una connotazione ideologica (un regalo alla Lega per fare le scuole del Nord?).

 

La scuola statale non ha bisogno di progetto educativo perché è già scritto nella Costituzione: «…pieno sviluppo della personalità umana…» allora perché lo si vuole a tutti i costi? Serve solo per avvicinare la scuola pubblica a quella privata: un avvicinamento ciascuno e avremo la sensazione, ma solo quella, che i due sistemi, a ben vedere, non sono troppo dissimili.

 

Siamo veramente nei guai.