Dal mondo Humanist

[ Continua da l’Ateo n. 1/1999, p.5 ]

Che dirne allora, in positivo? Che cosa rappresenta, oggi, questo umanismo senza aggettivi, se si prescinda programmaticamente da concezioni e filosofie del passato, permeate in qualche misura dallo spirito umanistico della classicità? In realtà, tutte hanno concorso in diverse proporzioni - nell’evoluzione del pensiero - alla genesi e all’elaborazione di questa radicale Weltanschauung o visione umanistica del mondo che, per non esser confusa né identificata con altre analoghe od omonime, potremmo utilmente qualificare come pragmatica e anglosassone; o meglio - in maniera meno geografica e più genuina - come latamente antropologica. Di più; essa è essenzialmente antropocentrica, dato che al centro dell’universo umanista si colloca l’essere umano senza distinzione di aree geopolitiche. La persona, cioè, nella sua interezza e integrità, a partire dalla sua nuda realtà biologica e culturale insieme, senza alcuna distinzione «gerarchica», ossia senza differenze sostanziali di razza e di acculturazione. L’animale che è umano (la scimmia nuda, per dirla con Desmond Morris) e al tempo stesso «politico», nella primigenia accezione aristotelica, ma immune da successivi deliri di soprannaturalità. Epurata da complessi di superiorità o di inferiorità: il che non implica alcuna demagogica negazione di evidenti livelli culturali, di oggettivi «quozienti» intellettuali, mentre comporta invece rispetto autentico del comune sentire umano.

Bisogna forse dimostrare come nessuno degli ideali umanistici, ricorrenti nella storia delle idee, sia andato molto al di là di pur lodevoli istanze di perfettibilità individuale, di velleitarie, astratte, predicatorie aspirazioni «progressive»? Basti pensare al plurisecolare, retorico umanesimo «cristiano», al quale - nel farsi concreto della storia - è mancata solamente (e scusate se è poco) la materia prima di cui doveva sostanziarsi, cioè l’umanità, la pietas, il senso dell’umano puro e semplice. Nella vita di relazione, s’intende, tra individui e popoli. Donde la profonda, sistematica, irreversibile disumanizzazione prodotta dalle nefaste teologie dell’età contemporanea.

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