L’opinione

La rimonta del clericalesimo tribale

Anche questo è neoliberismo…

di Carmelo R. Viola

La «civiltà» di casa nostra (come di tutta l’area capitalista, liberatasi dalla provocazione del socialismo) si va restringendo tra la tribù e la giungla. Non in senso metaforico. E ciò fa parte del corso neoliberista ovvero affonda le radici in precise motivazioni di ordine economico, più propriamente «affaristico». Giungla è l’insieme dei comportamenti motivati dalla «caccia alla preda» (insomma dal profitto); giungla, naturalmente, in versione antropo-tecnologica, cioè riproposta dall’«uomo tecnologico», proiezione dell’«animale ragionevole» (dell’«animale che ragiona, restando animale»); giungla sia in termini legali (di crimini legali - che «paralegali» - di crimini «paralegali»; questi ultimi etichettati, con assoluta interessata gratuità, di «mafia».

 

Tribù è l’insieme delle manifestazioni, spesso pubbliche, che hanno al centro il culto della superstizione e, come punto di riferimento, un «tale» che pretende di essere il «rappresentante di Dio in Terra», alla stregua di una ditta di detersivi (dell’anima!). È proprio di oggi (19 settembre 1998) la visita di «costui» in certe regioni italiane - tappe di un ennesimo giro turistico-demagogico (o «pastorale» in rapporto al gregge belante), dove, davanti a donne (ma anche ad uomini) di ogni età, che vanno in grottesco esilarante lacrimoso visibilio per cotanta presenza, ha perfino la faccia (l’attributo mettetecelo voi!) di lamentare la «denatalità» - cioè il calo delle nascite - come se altre creature, innocenti, da crescere, sfamare e far vivere dignitosamente - diciamo «umanamente» - non significassero più dramma del bisogno, più disoccupazione, più crimini, più suicidi per fame! È ancora di oggi, la recita del miracolo di San Gennaro, officiata da un porporato, indagato dalla magistratura, e incurante «come se il conto non fosse suo».

Quest’Italia, da giungla e tribale, è un «paese normale» secondo un certo D’Alema, che non conosce l’abc della scienza sociale - nella quale, tuttavia, (ma è solo uno dei molti sedicenti «statisti») pontifica spocchiosamente - o, per lo meno, un paese emergente, in via di progressivo sviluppo verso un punto di arrivo che nessuno ci ha ancora detto dove e cosa sia, visto che lo sviluppo, del caso specifico capitalista-affaristico-neoliberista, è del tutto simile alla tensione di un cane che rincorre, girando come una trottola, la propria coda, senza poterla mai addentare se non, eventualmente, facendo male a sé stesso.

 

Noi diciamo che lo Stato di un paese (sedicente) «di diritto» ha il dovere di «educare alla verità», anzi, al «culto della verità», se è vero - come dice lo stesso Ecclesiaste - che «la verità fa liberi». Ma quale condizione più ideale della non verità per rendere gli ignari più docili alla bestialità del neoliberismo?! Ecco perché i due fenomeni sono reciprocamente compatibili, anzi complementari! La non verità rende funzionali - credibili e rispettabili - un neoliberismo che non è l’economia e un neoclericalesimo, che non è il cristianesimo.

 

Ma liberi non sono nemmeno gli assatanati del potere e dell’opulenza, come non lo sono le vittime del bisogno e i devoti degli idoli, delle icone, delle ampolle-emoteca e i cultori della «papolatria», il cui significato supera di molto il pur detestabile «culto della personalità», dagli stessi attori dello spettacolo desolante della superstizione pagano-clericale (creduloni e volponi) sdegnosamente condannato.

 

Tutto questo nega e offende la semplicità disarmante di un Cristo, che non ha titoli magniloquenti e non è portato in giro, ingabbiato come un mostro sacro o un animale catturato. Tutto questo, che è insieme neoliberismo e neoclericalesimo (una miscela di animalismo e di tribalismo) nega e offende la civiltà dei nostri tempi, e taccia il pubblico potere - che tali manifestazioni «idiotògene» tutela «in nome della democrazia e della libertà» - di totale irresponsabilità morale, ovvero di connivenza senza attenuanti.

 

In un tempo e luogo, in cui bisognerebbe reclamare ad alta voce il rispetto dei diritti naturali (vedi caso: sanciti dall’art. 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani - ONU, 1948), diritti neoliberisticamente calpestati, derisi e vilipesi, ci sono folle, abilmente manovrate, che acclamano chi le aggioga al carro degli interessi dell’autocrazia - industriale e papale - con gli strumenti psicologici e paraipnotici dell’ignoranza, del timore reverenziale, ed ora anche del miraggio corruttore di «vincite miliardarie» (che abilitano al parassitismo!).

 

Denuncio tutto il disagio di trovarmi, mio malgrado, dentro o accanto a siffatta accozzaglia di impostori politici - e religiosamente politici - e di «persone mancate» e accuso tutti i (super-responsabili) finti tonti (finti credenti, finti rappresentanti di Dio, finti servitori del popolo) di essere indegni di appartenere al genere umano dei nostri giorni.

 

Chiunque abbia qualcosa da contestarmi - sul piano culturale e giornalistico, s’intende - si faccia avanti. Ma un’arma, vile, dell’ipocrita, è e resta il silenzio: la finta noncuranza.