Scuola: un governo servile

di R. La Ferla e Martino Rizzotti

Premessa. Il disegno di legge dello scorso mese di luglio sulla parità fra scuola pubblica e privata («Disposizioni per il diritto allo studio e per l’espansione, la diversificazione e l’integrazione dell’offerta formativa nel sistema pubblico dell’istruzione e della formazione») è la peggiore iniziativa presa finora dal governo in carica. Come è avvenuto in altre circostanze, l’invadenza, l’ingordigia e lo strapotere della Chiesa cattolica in Italia avrebbero meno spazio se nei poteri pubblici e nella maggior parte dei partiti non ci fosse quasi una gara a chi è più servile nei suoi confronti, a chi è disposto a svendere di più in termini di equità e di laicità. Che sia servile la linea che sta passando a livello governativo nei confronti della scuola è fuori discussione: a volere per decenni un provvedimento del genere sono state le gerarchie cattoliche che ultimamente non hanno nemmeno dovuto nascondere le loro mire dietro il paravento della «libertà», del «pluralismo», di una formazione scolastica «compatibile» con le scelte religiose dei genitori… Avuto il «la» nientemeno che dal Presidente della Repubblica, quelle gerarchie hanno intonato all’unisono una esplicita richiesta di denaro.

Cerchiamo qui di ricapitolare per sommi capi le ragioni che impongono una critica senza mezzi termini alla linea governativa su questa questione.

Il principio di laicità nella scuola. La laicità non è pro o contro qualcuno, ma rivendica la pari considerazione di tutte le idee, per cui ad essa si devono necessariamente ispirare ogni Stato democratico e tutte le sue istituzioni. Nel nostro paese i nemici principali dello Stato laico militano nel mondo cattolico. È tuttavia scorretto continuare a pensare che vi sia una parte laicista che si contrappone ai cattolici, perché la laicità è e deve essere al di sopra delle parti. Alcuni cattolici (purtroppo pochi) sono laici - ovvero rispettosi delle idee altrui - ma purtroppo la vasta maggioranza vuole imporre a tutti i cittadini i suoi principi: sono costoro, integralisti e quindi nemici della democrazia e del pluralismo politico e culturale, che si contrappongono alla laicità e alla democrazia. Allo stesso titolo sono nemici dello stato laico gli integralisti islamici, gli integralisti marxisti, e così via.

Salvaguardare nella scuola la libertà di pensiero e il pluralismo culturale significa evitare sia di privilegiare sia di discriminare qualche concezione del mondo rispetto alle altre. Questo riguarda contemporaneamente l’esercizio del potere, i programmi, gli insegnanti e gli alunni.

Nel nostro paese questo principio è già violato dai privilegî concessi alla religione cattolica all’interno della scuola pubblica. Alcuni privilegî non sono neppure imposti dalla legge ma sono ampiamente promossi da chi detiene il potere all’interno della scuola come i crocifissi nelle aule, altri simboli cattolici (immagini, altarini, ecc.), comportamenti come «segni della croce», preghiere, «messe» e incontri con emissari cattolici, iniziative in concomitanza di festività cattoliche come i «presepî» e così via. Poi vi sono i privilegî previsti dalla legge e che discendono dalla presenza nella scuola pubblica dell’«insegnamento della religione cattolica»; anche in questo caso la pratica supera i privilegî concessi dal legislatore: basti pensare al peso degli insegnanti di religione cattolica dentro e fuori i consigli di classe.

Per quanto riguarda i programmi si può constatare che testi meno che ossequiosi verso la storia della Chiesa cattolica e la morale imposta dal clero sono di fatto banditi.

È compatibile con la laicità consentire il sorgere di scuole private che ne rispettino il principio. In parziale deroga allo stesso principio può essere perfino tollerato (ma si badi bene che si tratta già di una concessione!) che alcune scuole private si permettano di sostenere una precisa visione del mondo come fanno, appunto, le scuole cattoliche, e come farebbero delle scuole islamiche o marxiste: sono le cosiddette «scuole di tendenza». In effetti le scuole confessionali selezionano ovviamente gli alunni (salvo chiudere un occhio purché paghino) e gli insegnanti, pretendendo da questi ultimi l’adesione a determinati valori e regole di vita (perfino dichiarazioni di contrarietà ad aborto, divorzio, convivenza, ecc.).

 

Gli integralisti, e purtroppo anche alcuni sedicenti laicisti, chiamano la suddetta concessione «libertà di insegnamento» e qualificano gratuitamente come «cultura di Stato» la garanzia di pluralità culturale difesa dai laici, quando è semmai l’imposizione di una determinata scelta filosofica a scapito della altre a configurare un restringimento della libertà e della cultura.

Il quadro italiano. È noto che il terzo comma dell’articolo 33 della nostra Costituzione recita: «Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione senza oneri per lo stato». Tale articolo viene ipocritamente aggirato nel disegno di legge governativo. I finanziamenti non andrebbero direttamente agli istituti privati, ma - in nome di un principio di sussidiarietà oggi di moda - formalmente alle famiglie. Ecco come viene aggirato l’inequivocabile «senza oneri per lo Stato»! Quanto alla parità scolastica, la Costituzione non può contraddirsi, e infatti la intende come parità di obiettivo formativo. Ma la garanzia di equipollenza di un percorso compiuto al di fuori della scuola pubblica, soprattutto negli anni dell’obbligo, dovrebbe prevedere un maggiore controllo: questa è forse la ragione per la quale una vera legge sulla parità scolastica non era stata finora approvata.

La linea di travisamento della Costituzione e di sostegno economico alle scuole private adottata da questo governo è già ampiamente collaudata, purtroppo, da molti enti locali. Essi, sostenendo finanziariamente le scuole confessionali, specie nell’area materna e in quella professionale, contravvengono all’articolo 33, il quale si applica ovviamente anche alle articolazioni locali dello Stato; altrimenti qualsiasi dettato costituzionale potrebbe essere aggirato attraverso gli enti locali!

Da notare che il contributo statale (in aggiunta a quello degli enti locali) si configura come un’autentica opera di pronto soccorso, dal momento che nel volgere di pochi anni le iscrizioni alle scuole cattoliche si sono dimezzate. Inoltre tale contributo, qualunque sarà il trucco con il quale verrà corrisposto, si aggiungerà alle altre numerose sovvenzioni ed esenzioni fiscali concesse alla Chiesa cattolica al di fuori del meccanismo (già di per sé truffaldino) dell’8 per mille, e sottrarrà risorse alla scuola pubblica. In effetti si stima una spesa da 1600 miliardi a dieci volte tanto, proprio quando ai cittadini è richiesto uno sforzo finanziario eccezionale per partecipare fin dall’inizio alla moneta europea.

Come reagire? Diciamo innanzitutto che sarebbero accettabili eventuali finanziamenti solo alle scuole private che garantiscono realmente il principio di laicità, escludendo perciò le scuole non pluraliste. In realtà pochi sanno che accadrà semmai il contrario in quanto molte fra le scuole private più innovative, quasi sempre laiche e che rappresentano un patrimonio di sperimentazione anche per il sistema pubblico, verranno escluse dal finanziamento perché hanno, ad esempio, insegnanti con diplomi stranieri.

 

Ma il problema centrale è un altro. L’educazione al pluralismo è un pilastro della formazione democratica dei cittadini, tuttavia se è solo libresca, fornita giusto per rientrare nei programmi ministeriali, è inefficace: l’educazione autentica al pluralismo proviene invece dal vivere quotidianamente la diversità sociale e culturale di alunni e insegnanti in ciascuna scuola e in ciascuna classe. Il cosiddetto «pluralismo del sistema scolastico» invocato dalle gerarchie cattoliche e concesso dal disegno di legge di questo governo è un mero pluralismo imprenditoriale, per di più assistito, perché lo stato aiuta con i soldi di tutti ogni lobby sufficientemente potente da fondare e possedere scuole. Anche con il controllo ministeriale sulle graduatorie degli insegnanti la «scuola di tendenza» divide i giovani in base alle idee dei genitori, negando l’autonomia della loro maturazione personale. Favorire e incentivare la chiusura degli alunni nei ghetti culturali imposti dalla visione del mondo dei loro genitori significa assumersi la grave responsabilità di coltivare i particolarismi, indebolendo la coesione della società.

 

Non si tratta quindi solo di denaro: il recente disegno di legge non consiste solamente nella sottrazione di risorse alla scuola pubblica, e non basteranno quindi assicurazioni e promesse su questo aspetto; esso fa di peggio: tradisce il pluralismo autentico come valore civile fondamentale. Mai come ora è importante l’unità di azione delle associazioni laiciste. Contro il disegno di legge governativo occorre una forte opera di informazione, di sensibilizzazione e di mobilitazione. Per affiancare e sostenere tali attività si impone un incontro urgente fra tutte le associazioni impegnate su questo fronte.