Pietro Omodeo, cent’anni

di Alessandro Minelli

 

Settantasette anni separano un articolo pubblicato lo scorso anno da Pietro Omodeo (argomento: un piccolo lombrico bioluminescente) dalla prima nota scientifica dello stesso autore, basata sulla sua tesi di laurea, discussa l’11 giugno 1940 e relativa alla circolazione del sangue in un’altra specie del medesimo gruppo zoologico.

Per Omodeo, i lombrichi sono stati un gruppo ideale in cui indagare problemi di tassonomia e di biogeografia, di genetica e di biologia riproduttiva. La fedeltà, per così dire, a questo gruppo di animali è un esempio della sua non comune capacità di riprendere lo studio di un problema a distanza di anni, in maniera puntuale ma con sempre nuove intuizioni, nella precisa convinzione che mai, nella ricerca, sia lecito considerare definitivo un risultato, una lettura di un aspetto del mondo naturale. Questo atteggiamento ha sempre trovato in Pietro una motivazione profonda, nel suo convinto e sempre vigile senso storico, attento al farsi delle cose, da quelle più piccole e quotidiane a quelle, di ben altra portata, verso le quali con instancabile costanza ha cercato di ricondurre la sua indagine e la sua riflessione, cercando anche di indurre i suoi allievi a fare altrettanto.

Ecco dunque, alla metà degli anni ’60, il suo coraggioso impegno nell’affrontare temi assolutamente inediti per la biologia italiana (quasi altrettanto anche per quella internazionale): temi che si possono ricondurre ai concetti di regolazione biologica (omeostasi) e di flusso di informazione. Pietro Omodeo diventa uno dei protagonisti dei primi convegni italiani di cibernetica e da queste nuove discipline trae spunti per rivedere – copio qui i titoli di alcuni suoi articoli – Le trame concettuali della biologia, per affrontare fondamentali Problemi teoretici della Biologia fino alla sfida di una teoria del vivente.

Vastissime letture in tutti i settori delle scienze della vita e profonde riflessioni sui problemi più disparati – condivise giorno dopo giorno con colleghi e allievi – diventano il solido nucleo concettuale attorno al quale Omodeo rifonda il suo insegnamento della biologia, secondo una trama consolidata infine in un importante e fortunato trattato, la cui editio princeps è del 1977.

Dalla sua voracissima esplorazione del mondo biologico, peraltro, non deriva solo quest’opera. Alcuni temi specifici attraggono particolarmente il suo interesse e diventano a loro volta oggetto di studi e di pubblicazioni. Tra questi l’origine dell’uomo, l’evoluzione del genoma, l’evoluzione della cellula. Su quest’ultimo argomento pubblica un primo saggio nel 1969 e ritorna nel 2011 con un piccolo volume.

Chi scrive queste righe ha avuto la fortuna di incontrare Pietro Omodeo proprio negli anni in cui prendevano vigorosa consistenza i suoi interessi per la biologia teorica che – come si è detto – si organizzavano in parte attorno alle nozioni della cibernetica e della teoria dell’informazione, ma si ispiravano allo stesso tempo a un convinto ma non dogmatico evoluzionismo. Già a noi studenti di Scienze Naturali a Padova, come ai nostri colleghi di Medicina, Omodeo insegnava, nei corsi di Zoologia e di Biologia Generale, rispettivamente, che il vivente è un sistema dinamico interessato da un costante flusso di materia, energia ed informazione. In questo fondamentale messaggio non c’era solo il segno di una biologia che cominciava a rinnovarsi beneficiando di un’interazione con le scienze e tecnologie dell’informazione e della regolazione. C’era anche, allo stesso tempo, quell’impronta – che all’epoca forse nessun altro avrebbe saputo dare allo studio dei viventi – che già distintamente caratterizzava la ricerca e la didattica di Pietro e che ha continuato a rappresentarne l’asse portante fino ai suoi scritti di questi ultimi anni: il senso vivo della storia – la storia dei viventi (evoluzione biologica) così come la storia dell’uomo in tutte le sue declinazioni, quelle sociali e quelle culturali in primo luogo.

Di cibernetica discutemmo molto, mentre io attendevo alla mia tesi laurea, della quale Omodeo fu relatore. Era il 1970. Solo più tardi, poco più tardi, scoprii quanto i suoi studi avessero già spaziato, oltre che in biologia teorica e in zoologia, anche nel campo della storia della scienza e della filosofia, con una forte predilezione per Lamarck e per Diderot, due autori che troveranno ampio spazio in un suo libro del 2000, intitolato Gli abissi del tempo.

Ma si trattava di un interesse ben più generalizzato e profondo, che negli anni lo ha condotto a risalire indietro, dapprima attraverso l’intero Settecento, poi anche lungo i due secoli precedenti. A coronamento di questi studi, Pietro pubblicava così, sempre nel 2000, un libro molto documentato e originale intitolato Alle origini delle scienze naturali (1492-1632).

Un bel giorno, Pietro Omodeo decise di cedere la sua favolosa collezione di libri alla biblioteca dell’Istituto e Museo per la Storia della Scienza di Firenze. Ma l’ottantacinquenne studioso non ha tardato a farsi una biblioteca nuova, a misura dei suoi interessi e, perché no, dei suoi capricci di lettore. Altri libri, ma lo stesso amore per la storia delle idee, della conoscenza, dell’esplorazione del mondo.

Due anni fa – erano i giorni del suo novantottesimo compleanno – Pietro venne a Padova a presentare un suo nuovo libro, Amerigo Vespucci e l’annuncio del nuovo mondo, un’inedita biografia fondata sulla convinzione che tutto ciò che il navigatore fiorentino ci ha tramandato in manoscritto o a stampa sia veritiero e genuino, in esplicito contrasto con una diffusa opinione, sostenuta soprattutto da autori americani, che vorrebbero presentare invece il viaggiatore fiorentino come un millantatore e un impostore, indegno di dare il proprio nome al Nuovo Mondo. Dei suoi studi su Vespucci, Pietro aveva dato un primo saggio con un articolo in inglese pubblicato su Nuncius, rivista di storia delle scienze, in cui rendeva conto dei suoi studi approfonditi su un grande numero di documenti dell’epoca, dai quali emergeva chiaramente l’autenticità delle relazioni di Vespucci sui luoghi visitati e le cose viste al di là dell’Atlantico. Ma la vicenda, come c’era da aspettarsi, non è ancora finita. Pietro continua a lavorare su questo tema, in vista di una nuova edizione del suo ultimo libro: una bozza datata 2019 (cent’anni da quando è nato – il 27 settembre, per la precisione – a Cefalù) sta qui sul mio tavolo, mentre scrivo queste righe.

Agli occhi di Omodeo, una ragione speciale per occuparsi di Amerigo Vespucci è il fatto che questo personaggio è stato ingiustamente spregiato, da parte di autori che non sanno fare il loro mestiere di storici, perché non sono andati a studiare le fonti. Non dubito che a Pietro ritornino a mente altre figure, ingiustamente dimenticate o mal comprese, alle quali nel corso dei suoi lunghi anni egli ha dato un po’ di luce nei suoi scritti: ad esempio, due figure di studiosi e, allo stesso tempo, di patrioti vissuti fra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento, come lo zoologo napoletano Giosuè Sangiovanni, al quale ha dedicato il primo del suoi saggi storici (era il 1949!) e il geografo e patriota toscano Francesco Costantino Marmocchi.

Non direi abbastanza del mio Maestro se, pur nello spazio ristretto di questa nota, trascurassi di accennare alla dimensione etica, politica e sociale del suo impegno di studioso, che non si è accontentato di pur profonde riflessioni accademiche sulla dignità delle scienze naturali, ma ha ripetutamente affrontato le relazioni non sempre facili fra etica e ricerca biologica, gestione della natura e qualità della vita, senza dimenticare che il suo impegno di studioso dell’evoluzione gli è stato motivo di scontri non lievi con quei difensori del creazionismo la cui voce era particolarmente forte nell’Italia di qualche decennio fa. Come il nostro – Presidente onorario dell’UAAR – abbia affrontato e condotto le sue battaglie ce lo dice, senza bisogno di troppe precisazioni, il titolo della raccolta dei suoi scritti su questi temi: un piccolo grande libro pubblicato nel 1989: Biologia con rabbia e con amore.

Grazie, Pietro, per il tuo esempio e affettuosi auguri per i tuoi cento anni tra biologia e storia.

 

Alessandro Minelli, già professore ordinario di Zoologia all’Università di Padova, si è occupato a lungo di sistematica zoologica, filogenesi e biodiversità, per poi indirizzarsi verso la biologia evoluzionistica dello sviluppo e la filosofia della biologia. Tra le sue pubblicazioni, The development of animal form; Forme del divenire; Plant evolutionary developmental biology; Biologia, la scienza di tutti i viventi.

Da L’ATEO 4/2019