Dalla famiglia “naturale” al femminicidio?

di Valerio Pocar

 

Negli ultimi giorni di marzo 2019 si è svolto a Verona il Congresso Mondiale delle Famiglie volto alla difesa della “famiglia naturale”. Come tutti dovrebbero sapere la famiglia “naturale” non esiste e non è mai esistita, essendo la famiglia una costruzione sociale mutevole nel tempo e nello spazio. Di “naturale”, per quanto concerne la famiglia, c’è solo la procreazione che, nella specie umana come in tante altre, ha natura sessuata e richiede non l’amore e tanto meno il matrimonio, ma l’incontro tra gameti femminili e maschili.

È un mal vezzo costante proprio degli ammiratori dei tempi che furono quello di difendere le cose passate attribuendo loro la caratteristica di “naturale”, sicché diventerebbero immutabili (ma niente è immutabile e neanche la “natura”, come la teoria evoluzionistica ci ha dimostrato) e giusto sarebbe difenderle. Un trucco piuttosto vecchio che da tempo ha mostrato la corda, come accade per la cosiddetta morale naturale e persino per la sedicente morte naturale, per tacere della nascita.

Gli organizzatori del congresso di Verona avrebbero fatto meglio a parlare della difesa della famiglia fondata sul matrimonio indissolubile ordinata alla procreazione, che sarebbe “minacciata” dalla legalizzazione del divorzio e dell’aborto, dai matrimoni e dalle unioni civili tra persone dello stesso sesso, dalle adozioni da parte di single o di coppie omosessuali e via elencando. È da escludere, però, che l’intento fosse davvero quello di tutelare la famiglia “naturale” nel senso sopra detto, sia perché non possono non sapere che la famiglia naturale appunto non esiste sia perché non possono fingere di credere che l’esistenza di modelli familiari diversi da quello che a loro piace sia per tale modello un pericolo reale, visto che nulla impedisce a chi vuole di realizzarlo, che anzi le leggi lo favoriscono, e che le pratiche rifiutate, come il divorzio e l’aborto, sono oggetto di scelte difficili sotto il profilo sia psicologico sia pratico e rigidamente regolate dalla legge.

La validità politica, morale e sociale delle posizioni assunte dal congresso veronese è stata ampiamente discussa e confutata dai mezzi di comunicazione, e non mi pare il caso di tornarvi sopra, anche perché le posizioni antistoriche non meritano di essere seriamente confutate perché già ci pensano i fatti a contraddirle. Tuttavia, tali posizioni devono essere prese sul serio, per via dei rischi di arretramento morale e sociale ch’esse comportano a cagione del peso di coloro che per vari motivi mostrano di condividerle. Si pone, in particolare, l’interrogativo di stabilire a chi e a che cosa giova riaffermare il passato o, forse più precisamente, chi s’intende contrastare o colpire?

Non c’è dubbio, ma è una spiegazione semplicistica ed epidermica, che mostrarsi fautori del buon tempo antico possa raccogliere il consenso dei benpensanti, ossia di coloro che preferiscono non pensare e vedono nella tradizione un fondamento sufficiente di certe scelte. Anche ai benpensanti, però, la realtà delle relazioni familiari si manifesta con sufficiente chiarezza e, del resto, sono numerosi tra gli stessi promotori del congresso di Verona gli esempi di personaggi i cui comportamenti non sono in linea col modello familiare sostenuto.

Il tentativo, da parte degli organizzatori, di appropriarsi di posizioni di stampo tradizionale, proprie del magistero cattolico, ha forse indotto un opinionista acuto che per regola merita attenzione, come Alberto Melloni, ad avanzare (“la Repubblica”, 1° aprile 2019) la tesi che il vero obbiettivo contro il quale si è indirizzata tutta l’operazione veronese sarebbero papa Francesco e le sue aperture verso scelte e modelli innovativi anche nel campo delle relazioni familiari e affettive. Ci riesce difficile condividere questa tesi, visto che al di là di alcune belle parole il papa ha sempre ribadito, anche proprio nei giorni del congresso, le posizioni tradizionali del magistero cattolico: che il sesso e la passione sono un dono di Dio, purché nel matrimonio; che il matrimonio può consistere esclusivamente nell’unione di un uomo e una donna; che bisogna essere misericordiosi verso gli omosessuali, che comunque versano in uno stato di disordine morale; che l’aborto e l’omicidio sono parenti stretti; ecc. Del resto, il suo prudente segretario di Stato ha dichiarato di dissentire per quanto concerne le modalità del congresso, ma non rispetto ai suoi contenuti, non nascondendo peraltro un certo imbarazzo per l’evidente strumentalizzazione da parte di forze politiche orgogliosamente di destra che si sforzano di trovare appoggi, ancora una volta, nella Chiesa, ormai recalcitrante. Del resto, la presa di posizione di movimenti cattolici di base contro il Congresso è stata piuttosto risoluta.

Crediamo che il vero obbiettivo di costoro sia contrastare l’emancipazione femminile e i movimenti delle donne, che hanno manifestato contro il congresso di Verona e i suoi contenuti, hanno visto giusto. Il divorzio ha rappresentato — è passato mezzo secolo — il grimaldello che ha scardinato la famiglia tradizionale e ha aperto la strada alla riforma del diritto della famiglia patriarcale di stampo fascista e affermato la parità tra donne e uomini. La possibilità di ricorrere all’Ivg ha, ormai quarant’anni or sono, sollevato la donna dal ruolo riproduttivo socialmente assegnatole liberando il suo diritto all’esercizio autonomo della sua sessualità. S’intende che non è stato necessario ricorrervi in concreto ed è bastata la facoltà di farlo e, anzi, divorzio e aborto, peraltro meno frequenti in Italia rispetto ad altri Paesi, hanno rappresentato gli epifenomeni di mutamenti profondi già in atto nella società italiana.

Dietro questi mutamenti si cela quello che, a parer nostro, è il vero obbiettivo perseguito dai congressisti di Verona, vale a dire il ristabilimento dei rapporti gerarchici all’interno delle relazioni familiari e persino di quelle affettive che dovrebbero vedere lo status del maschio prevalere su quello della femmina, gerarchia che anch’essa sarebbe “naturale”. Sono stati ormai versati fiumi d’inchiostro sulla crisi dell’identità maschile, al punto che il tema è diventato stucchevole, ma la crisi è vera e, come sempre accade nelle situazioni di crisi, occorre trovare un capro espiatorio, individuato nella donna emancipata e nell’omosessuale, traditori dell’identità loro assegnata dalla “natura”. Un tradimento che merita di essere perseguitato e punito, perché infrange la naturale gerarchia, della quale la famiglia tradizionale e l’omofobia erano i capisaldi. Non per caso i congressisti di Verona, nostrani e stranieri, erano l’espressione di movimenti e di regimi autoritari, amanti di sistemi sociali di tipo gerarchico. Ciò che bisogna anche dire è che tra siffatte posizioni politiche e la motivazione soggettiva degli autori di femminicidi e di pestaggi dei gay la distanza è sottile come un foglio di carta velina.

Bisogna stare attenti e la mobilitazione è doverosa. Per la piena affermazione dei diritti di parità delle donne e degli omosessuali il cammino è ancora lungo e il riconoscimento di quei diritti rappresenta una conquista recente e non consolidata, una conquista che può ancora tornare a essere messa in discussione.

Da “Nonmollare” (https://critlib.it/wp-content/uploads/2019/04/nonmollare-n.-040.pdf) quindicinale post azionista, n. 040, 15 aprile 2019, pp. 5-6.

Valerio Pocar è presidente onorario UAAR dal 2003 (vedi: https://www.uaar.it/uaar/presidenti_onorari#Pocar).

Da L’ATEO 3/2019