Il Concordato del 1929 e la revisione del 1984

di Massimo Teodori

 

Traccerò qualche linea storica sulla vicenda del Concordato: come nasce, come cresce, come va avanti … sottolineandone i tratti che mi sembrano anche oggi importanti.

Nel 1929 Mussolini arrivò ai Patti Lateranensi portando a termine qualcosa che già da cinquant’anni la vecchia guardia liberale tentava di fare. Perché Mussolini e non Vittorio Emanuele Orlando, Crispi e gli altri che pure avevano tentato quella che all’epoca si chiamava la “conciliazione”? Le vecchie glorie dello Stato liberale certamente volevano la “conciliazione”, ma in termini cavouriani. Nell’Ottocento c’erano due diversi filoni, diversi anche se complementari, sulla questione: il filone separatista, quello della Destra storica, all’insegna di “libera Chiesa in libero Stato”; e il filone interventista, proprio della Sinistra democratica, che prevedeva la prevalenza dello Stato sulla Chiesa. Probabilmente fu la Chiesa a non voler concludere la conciliazione perché i presidenti del consiglio liberali — Giolitti, Zanardelli, De Pretis e da ultimo Vittorio Emanuele Orlando — avevano sempre in mente lo schema separatista. Mussolini arrivò al Concordato perché era nell’interesse del fascismo fare un patto con la Chiesa: un patto di grande realismo, un patto di potere — perché tale fu il Concordato.

I Patti Lateranensi furono stipulati con Mussolini — e non con l’Italia liberale — sulla base di un dare e avere molto cospicuo. In primo luogo, il regime fascista, che dal 1925-26 era diventato un regime totalitario, aveva bisogno dell’appoggio della Chiesa: del Vaticano, cioè del potere centrale della Chiesa, come della rete delle parrocchie, allora molto importante in tutt’Italia. Da parte sua, la Chiesa aveva molteplici interessi, materiali e politici. I Patti Lateranensi marciavano su tre gambe: il trattato, il concordato e la convenzione finanziaria. L’interesse materiale si concretò nella convenzione finanziaria: la Chiesa ricevette 750 milioni dell’epoca e un “consolidato” di un miliardo. Era una somma notevole: ma Mussolini riuscì a dare molto meno di quanto la Chiesa chiedeva, ossia tutti gli interessi sulle somme che lo Stato aveva promesso con la Legge delle Guarentigie del 1871.

Mussolini fece inoltre un concordato da Sinistra storica più che da Destra storica: i vescovi dovevano infatti giurare fedeltà allo Stato. Non è un punto marginale: Mussolini voleva la Chiesa subordinata allo Stato e affermò con forza la potestà dello Stato sulla Chiesa. In cambio la Chiesa ottenne una cosa molto importante: che l’unico movimento organizzato legittimo fosse l’Azione Cattolica. Si tratta di un elemento che avrà grande importanza nella storia italiana, perché gran parte della classe politica democristiana che operò nel secondo dopoguerra si era formata nell’Azione Cattolica — Andreotti, Moro, ecc. I quadri della DC erano formati infatti da due tipi di persone: i “vecchi” appartenenti al Partito Popolare di Don Sturzo rimasti in Italia e i “giovani” provenienti dall’Azione Cattolica. Lo scambio tra il giuramento dei vescovi da un lato e, dall’altro, la legittimazione di un movimento come l’Azione Cattolica riveste dunque grande importanza nella storia politica dell’Italia del secondo dopoguerra, dunque nella storia della democrazia italiana.

La “ciccia” dei Patti Lateranensi consisteva nel denaro, denaro che per altro, come si è detto, Mussolini tenne sotto controllo, erogando circa un terzo di quello che la Chiesa, sempre molto rapace, chiedeva. Quanto al trattato, non si discostava molto dalla Legge delle Guarentigie: riconoscimento dell’autonomia dello Stato del Vaticano, sua intangibilità territoriale, ecc., ossia quanto lo Stato aveva offerto nel 1871 per chiudere la questione romana.

Oltre alla legittimazione dell’Azione Cattolica, la Chiesa cattolica ottenne quelle altre tre o quattro cose cui ha sempre tenuto: l’istruzione, l’assistenza e la messa al bando di coloro che non riconoscono la sua potestà. Si veda, a questo proposito, la clausola relativa ai preti apostati che non potevano accedere a nessuna carica o occupazione nello Stato. Un caso importante — tra i molti — fu quello di Ernesto Buonaiuti, privato della cattedra universitaria e non reintegrato dopo la guerra. Un grande personaggio, esponente di quel modernismo che nel 1929 la Chiesa non aveva ancora digerito …

I Patti Lateranensi fruttarono a Mussolini la legittimazione della dittatura, dell’impresa d’Africa e via dicendo: i preti andarono a benedire i gagliardetti del partito fascista e l’acquiescenza della Chiesa al regime arrivò al punto che non ci fu alcuna protesta per le leggi razziali del 1938 — anche se si continua a dire che Pio XI stava “preparando qualcosa” … Ricordiamo anche che il Concordato fu criticato dai cattolici antifascisti in esilio: Don Sturzo e Ferrari si opposero apertamente, così come una buona parte del Partito Popolare dell’epoca che aveva un’impostazione assai più laica di quella che avrà la Democrazia Cristiana del dopoguerra.

Dopo la guerra arriva l’art. 7 della Costituzione. Occorre ricordare che alla Costituente tutti i gruppi, anche quelli più laici, erano favorevoli a riconoscere il “trattato” — ossia l’autonomia dello Stato del Vaticano, le sue leggi, il suo statuto internazionale. Pietro Calamandrei, a nome dello schieramento laico, propose la formula secondo cui i rapporti tra Stato e Chiesa sono regolati secondo i principi della Costituzione, ossia la libertà religiosa, la libertà di culto e la libertà di associazione sanciti dagli artt. 3 e 8. In effetti il “concordato” è uno strumento che ha senso per la Chiesa nell’ambito di un regime totalitario — uno strumento di difesa, più che un’istanza separatista, di fronte a un regime che pretende il pieno controllo della società civile, delle istituzioni, delle associazioni. Tant’è vero che, dopo il Concordato italiano del 1929, gli altri tre concordati furono stipulati negli anni Trenta con la Germania di Hitler e il Portogallo di Salazar, poi con la Spagna franchista. In altri termini, con i concordati la Chiesa opera per preservare la propria autonomia rispetto a Stati totalitari. Non ce n’è bisogno sotto costituzioni che sanciscono le libertà di religione e di culto.

Fu Pio XII a volere assolutamente l’art. 7 della Costituzione. Mandò Giuseppe Dossetti, suo portavoce ed esponente della cosiddetta sinistra cattolica, a portare a tutti i gruppi un messaggio inequivocabile: se non costituzionalizzate il Concordato, la pace religiosa è finita. L’incertezza era grande, perché in teoria nella Costituente le forze laiche e quelle cattoliche sostanzialmente si equivalevano. Ma il famoso discorso di Togliatti cambiò le carte in tavola: con i voti del Partito Comunista il Concordato, nella forma dell’art. 7, fu integralmente recepito.

Nei primi anni del dopoguerra le clausole concordatarie crearono tutta una serie di strettoie di carattere autoritario. Faccio il solo esempio della questione delle minoranze religiose — pentecostali, ecc. — che di fatto furono perseguitate fino agli anni Settanta, fino a che non intervenne una sentenza della Corte Costituzionale. Alle interpellanze parlamentari che in proposito venivano presentate, Scelba e poi gli altri Ministri degli Interni rispondevano con le parole della “circolare Buffarini Guidi”, emanata nel 1935 da un sottosegretario fascista, che bandiva il culto pentecostale («essendo risultato che esso si estrinseca e si concreta in pratiche religiose contrarie all’ordine sociale e nocive all’integrità fisica e psichica della razza») sulla base di un articolo del Concordato recepito dal Codice Rocco.

Perché i comunisti italiani recepirono il Concordato? Sostanzialmente per due ragioni. Una teorica, quella per cui i valori della libertà religiosa non entravano nella loro sfera di interessi. E una politica: con quella mano tesa al Vaticano, Togliatti pensava di poter proseguire la compagine del Comitato di Liberazione Nazionale, cioè un’alleanza DC, PCI e PSI. Una mira che Togliatti perseguì fino al 1948, perché solo nel 1948 si creò la divisione tra due blocchi. Togliatti era un machiavellico realista: dopo la “svolta di Salerno” (la collaborazione con la monarchia) fece la “svolta dell’art. 7” (la collaborazione con la Chiesa).

Le cose sono poi andate come sono andate fino al 1984. Perché Bettino Craxi volle la revisione del Concordato e cosa significò tale revisione? In primo luogo, ricordiamo che gli esponenti di spicco della DC avevano cercato di rivedere il Concordato — soprattutto Moro, che si rendeva conto che, dopo la legge sul divorzio e il relativo referendum, il Concordato conteneva una serie di norme anacronistiche e contraddittorie, non solo rispetto alla Costituzione, ma anche rispetto a leggi specifiche che lo Stato italiano aveva nel frattempo emanato. Craxi — lo dico con molta semplicità, senza voler tracciare paralleli politici — fece qualcosa di analogo a Mussolini. C’era senz’altro una significativa differenza nella situazione politica: negli anni Ottanta il “duello a sinistra” tra comunisti e socialisti era al punto massimo. Berlinguer aveva fallito il “compromesso storico”, il referendum sulla scala mobile era stato clamorosamente perso dal PCI e dalla CGIL, in termini elettorali il PCI — cresciuto fino a raggiungere il 34% nel 1976 — cominciava a calare mentre il PSI saliva … Craxi sapeva che rivedere il Concordato — ciò che il PCI avrebbe voluto fare da sempre — gli avrebbe fatto conquistare un’importante concorrenzialità sul PCI.

Dal Concordato vennero tolte le norme più anacronistiche — il cattolicesimo come religione di Stato, il matrimonio in chiesa equiparato a quello civile, la messa al bando dei preti apostati … E Craxi dette quello che si poteva dare di soldi ai preti. Si raccontano due storie — che ho sentito di prima mano dai protagonisti. La prima che Craxi disse a Gennaro Acquaviva, il consigliere politico che teneva i rapporti con i cattolici: Gennaro, mi raccomando, dagli soldi ai preti purché si arrivi in fondo. La seconda, quando Margiotta e Amato andarono a riferirgli che la cosa era fatta, Craxi si voltò verso il ritratto di Garibaldi alla parete e disse: “perdonaci”.

Il Concordato del 1984 è in qualche misura peggiore del Concordato del 1929: quest’ultimo fu un concordato chiuso, in cui lo Stato totalitario impose il suo potere; mentre quello del 1984 è un concordato aperto, in cui si dice che sulle varie materie di pertinenza della Chiesa e dello Stato si faranno apposite leggi. La prima di queste leggi apposite è stata quella sui beni e sugli enti ecclesiastici: il grande bidone degli ultimi trent’anni. Una legge sempre suscettibile di interpretazioni sulle disposizioni ambigue che contiene, sulle quali gli enti ecclesiastici hanno lucrato tutto quello che potevano lucrare. La prima è quella relativa all’otto per mille: disposizione in sé giusta, per il principio secondo cui ciascuno paga per la propria religione, ma che poi in realtà si proietta su tutti i contribuenti per le quote di cui non viene indicata la destinazione. La cosa fu subito evidente: invece di incassare i circa 300 milioni che avrebbero dovuto sostituire la “congrua” che lo Stato pagava ai preti, la Chiesa incassò quattro volte tanto, tutto sulla base di un’interpretazione pretesca di una dizione ambigua contenuta nella legge. La seconda è la questione delle imposte sui beni ecclesiastici, applicata attraverso circolari che allargavano continuamente le esenzioni.

Questa è la storia. Oggi rimane valida la posizione che hanno sempre sostenuto i liberali: il “trattato” non si tocca, ma tutti i privilegi di cui gode il clero italiano rispetto allo Stato italiano vanno smantellati. Questo è quanto i laici devono dire, e devono dirlo anche ai cattolici.

 

Massimo Teodori è stato uno dei fondatori del Partito Radicale. È stato professore di Storia americana all’Università di Lecce e di Storia e istituzioni degli Stati Uniti all’Università di Perugia. Giornalista, editorialista, pubblicista è autore di numerosi volumi di storia americana, storia contemporanea e sociologia politica, tra i quali ricordiamo in particolare Storia dei laici nell’Italia clericale e comunista (Marsilio, 2008) e Risorgimento laico. Gli inganni clericali dell’Unità d’Italia (Rubbettino, 2011). L’intervento qui pubblicato è stato pronunciato al convegno “Oltre il Concordato” organizzato dalle associazioni Luca Coscioni, UAAR, Associazione Nazionale del Libero Pensiero Giordano Bruno e Fondazione Critica Liberale tenutosi il 5 febbraio 2019 in occasione del 90° anniversario dei Patti Lateranensi.

Da L’ATEO 3/2019