La natura e i suoi giri di valzer. Ne parliamo con Nicla Vassallo

di Stefano Bigliardi

 

L’Ateo si onora questa volta di una conversazione con Nicla Vassallo. Filosofa di fama internazionale, specializzatasi al King’s College London, è professore ordinario di Filosofia Teoretica presso l’Università di Genova. Il suo lavoro si concentra, attualmente, sugli aspetti dei rapporti affettivi e amorosi in relazione alle istituzioni, sugli stereotipi di genere, e sul problema dell’ignoranza conoscitiva. Alla ricerca e all’insegnamento unisce un’importante attività di intellettuale pubblico, come conferenziera e scrivendo di filosofia e di cultura su diverse testate.

Nicla Vassallo è autrice di oltre centocinquanta pubblicazioni, tra le quali ci limitiamo a ricordare qualche titolo in italiano: Filosofia delle donne (Laterza 2007), Teoria della conoscenza (Laterza 2008), Donna m’apparve (Codice Edizioni 2009), Piccolo trattato di epistemologia (Codice Edizioni 2010), Terza cultura (il Saggiatore 2011), Per sentito dire (Feltrinelli 2011), Conversazioni (Mimesis 2012), Breve viaggio tra scienza e tecnologia con etica e donne (Orthotes 2015). Ha pubblicato inoltre due raccolte di poesie, Orlando in ordine sparso (Mimesis 2013) e Metafisiche insofferenti per donzelle insolenti (Mimesis 2017) [1].

Lo spunto per la nostra conversazione è stato offerto dal suo libro Il matrimonio omosessuale è contro natura: Falso! (Laterza 2015). Più che sul matrimonio omosessuale vogliamo concentrarci sul secondo concetto evocato dal titolo, quello di “natura,” con tutte le sue ambiguità e strumentalizzazioni, che nessuno meglio di un filosofo può aiutarci a sviscerare e criticare [2].

 

Stefano Bigliardi (SB). Gentile professoressa Vassallo, la Sua pubblicazione del 2015 è un saggio sul matrimonio omosessuale, ma anche sul concetto di natura. Anzitutto, da che cosa è nata la Sua riflessione?

Nicla Vassallo (NV). Il volume a cui Lei si riferisce è uscito per Laterza nella collana Idòla, ovvero in una collana divulgativa per il grande pubblico, seppur tale mia riflessione si debba a diversi anni orsono, di studio e lavoro, ma anche a uno specifico e più recente dialogo con la filosofa statunitense Martha Nussbaum, in anni nei quali in Italia non si parlava affatto di matrimonio same-sex. Tra l’altro, un mio profondo ringraziamento del mio precoce interesse per tale matrimonio lo debbo a Stefano Rodotà, la cui scomparsa lo scorso 23 giugno ha creato in me un immenso strazio e vuoto. Uomo assai colto e curioso, mi rivolgeva spesso interrogativi sul concetto di natura e sulle leggi che la regolano.

SB. Parliamo allora della “natura”. A chi conosca la storia del pensiero appare chiaro che questa parola ha compiuto i più arditi giri di valzer e ha danzato nei circoli più diversi, associandosi ai concetti più svariati. Spinoza (almeno secondo certe interpretazioni) identifica Dio e natura e giunge di fatto a un panenteismo ateo. Mentre oggi la “naturalità del matrimonio eterosessuale” è una delle armi preferite di chi si oppone, religiosamente, al matrimonio omosessuale, con l’implicita equazione natura = eterosessuale = buono = voluto da Dio. Condivide questa valutazione? Può aggiungere altri esempi di questo “valzer”?

NV. Premesso che noi, in quanto esseri umani animali, risultiamo un coacervo di natura e cultura. Premesso che il matrimonio è un contratto che nulla ha da spartire con la natura e permane un contratto, perlomeno in Italia, giuridicamente bizzarro, poiché contratto unico che si possa firmare tra due e solo due persone appartenenti a sessi diversi, sessi che, sempre in Italia, vengono considerati due, contro ogni evidenza della buona biologia. Premesso che nel mio volume non tratto di matrimonio same-sex cattolico (e non dimentichiamo che la Chiesa Cattolica ha osteggiato per secoli il matrimonio eterosessuale, non riconoscendolo quale sacramento, bensì quale deriva per “incontinenti” sessuali). Premesso tutto ciò, rimane appunto il problema-valzer delle leggi di natura.

Supponiamo, per amor dell’argomentazione di ammettere Newton sulla gravitazione e le leggi di Mendel. Quali altre “regolarità” rintracciamo, perfino nelle maree o, spingendoci a questioni più spinose, nell’espansione dell’universo? Gli scienziati sono alla ricerca di spiegazioni, mentre alcuni filosofi e alcune filosofe della scienza sostengono che le leggi di natura non esistono. E, se ciò vale, come si potrebbe mai considerare, a meno di una dimostrazione ontologica dell’esistenza di Dio (e per la precisione di un Dio fautore di una natura che induca a un contratto legale), qual è il matrimonio eterosessuale, la “natura” alla base di quest’ultimo, e il “contro natura” alla base del matrimonio same-sex?

SB. Al di là delle argomentazioni accampate da specifiche religioni, oggi più che mai sembra che “natura” sia comunque usata come una parola divinizzata, sacralizzante, nel senso che suona come un termine riferito a qualcosa di buono in sé e per sé, e di invalicabile o intoccabile, al costo anzi della vita e della salute: come un dio. Non a caso, antivaccinisti e altri estremisti vi si appellano continuamente, contrapponendola, più o meno esplicitamente, alla “artificialità cattiva” delle pratiche a cui si oppongono. Concorda con questa osservazione?

NV. In parte, ho già risposto in precedenza. In parte, vorrei aggiungere che oggi l’ignoranza dilaga non solo nel nostro paese e che il termine “natura” viene spesso impiegato senza conoscerne il significato, al pari di altri termini. Alla cosiddetta divisione del lavoro linguistico corrisponde la divisione del lavoro epistemico — ne parlavo spesso con Eva Picardi, amica e mia “metà” filosofica, recentemente scomparsa.

Eppure di tali divisioni la gente comune nulla sa, e allora l’ignoranza diventa una fonte a cui abbeverarsi: quando a tale gente (senza alcuna offesa) domandi — come mi è accaduto in una conferenza aperta anche al grande pubblico — «Provate a osservarvi: cosa avete di non naturale addosso e in quale ambiente naturale vi trovate ora in questa conferenza da voi seguita?», la gente prova smarrimento, non essendosi mai posta la domanda, peraltro assai semplice, se non banale.

SB. Se rinunciamo alla categoria di natura/naturale, e siamo coerenti, mi sembra che dobbiamo rinunciare anche ad argomenti a favore dell’omosessualità, come ad esempio l’osservazione per cui l’omosessualità “c’è anche in natura” o che è una variante della “natura umana”. Ma è una grossa perdita?

NV. Perdita solo per chi crede che le relazioni d’amore si riducano a relazioni sessuali di pene-vagina, di penetrazione, di dominio del maschile sul femminile, di procreazione “naturale” a ogni costo. Le relazioni same-sex esistono tra molte specie di animali non umani. Cosa mai si dovrebbe perdere nelle relazioni same-sex tra animali umani? Forse, solo lo stereotipo costrittivo dell’eterosessualità a ogni costo, pagata cara, secondo molte modalità che non consentono di sviluppare appieno la propria identità personale, e che, forse proprio per tale sottosviluppo, vanno a finire con le denunce di varie violenze sessuali praticate dai maschi umani sulle femmine umane.

SB. Ci sono, a Suo avviso, altre parole altrettanto ambigue di “natura” e altrettanto usate per creare “confini sacri” e mettere un lucchetto a certe discussioni? A me viene in mente “cultura,” per esempio. Ed è paradossale, visto che la si può prendere come antitetica rispetto a “natura.” Non è che a volte la “cultura” sembra proprio la nuova “natura,” per esempio quando si vogliono difendere certe pratiche (penso alla mutilazione genitale femminile) come “culturali” e quindi da “rispettare” (ossia da non toccare)?

NV. Quando prima ho parlato di cultura, non mi riferivo alla cultura intellettuale. Senz’altro non all’esaltazione del multiculturalismo antropologico, in cui in troppi e troppe sono precipitati/e e proseguono col precipitare, nonostante quanto sta accadendo. Ogni pratica disumana va condannata: del resto siamo animali umani, non animali. Per esempio, la leonessa uccide per nutrire lei stessa e i suoi piccoli. Non pratica mutilazioni genitali. Non appartiene a gruppi fondamentalisti religiosi che uccidono innocenti in nome di qualche Dio, o per paranoie/psicosi/onnipotenze, per sentirsi dèi.

SB. Nietzsche invitava a trasvalutare tutti i valori, ossia a storicizzarli e considerarli criticamente. La considerazione critica può sfociare tanto nella ridefinizione di un valore quanto nel suo abbandono in tutto e per tutto. È conveniente e possibile cercare una nuova nozione di “natura,” oppure è auspicabile si arrivi a un dibattito in cui il termine “natura” semplicemente è trattato come valuta fuori corso, ossia come una moneta che non si usa e si restituisce a chi cerchi lo stesso di rifilarcela?

NV. Vi sono valori e valori. Non la penso come Nietzsche su alcuni valori, quelli prettamente epistemici/conoscitivi. Sto dalla parte di Socrate, che ha ripreso un valore del tempio di Delfi, ovvero conosci te stesso/a. Sto dalla parte di Aristotele che apre il primo libro della Metafisica sostenendo che la nostra umanità si deve al nostro aspirare al valore della conoscenza. In tutto ciò, il termine “natura” va impiegato con estrema cautela.

SB. Nietzsche, evocato poc’anzi, è il pensatore del “filosofare con il martello”. Ma a furia di prendere tutto a martellate si rimane seduti su un mucchio di cocci. Ora, ammesso anche che si possa e voglia rinunciare al concetto di “natura”, è possibile ed auspicabile cercare di raggiungere un nuovo livello di discussione e di azione in cui si rinuncia a tutti gli appigli concettuali tradizionali? Oppure qualcosa può e deve restare?

NV. Non appartengo alla schiera di coloro che amano il filosofare col martello. Efficace retorica brutale. Appartengo alla schiera, come ho già specificato, di coloro che amano filosofare col dialogo e le buone argomentazioni. Raziocinio, non martellate. La tradizione? In troppi vi si appellano, illusi che sia “cosa buona”. Invece, si tratta di una bella e pura fallacia logica. Se ci attenessimo alla tradizione, la schiavitù sarebbe tuttora ammessa, le donne non potrebbero votare né studiare, il delitto d’onore apparterrebbe ancora alla nostra giurisprudenza. Questo solo per portare alcuni esempi tra i tanti. Ai lettori i troppi altri.

SB. Vorrei finire con una riflessione sui concetti di “sacro” e “intoccabile.” Non è forse vero che ci sono, anche per chi non crede, valori sacri e intoccabili? Quali sono quelli di Nicla Vassallo?

NV. Non credo con fede: vero. Personalmente mi attesto un’agnostica, poiché, metafisicamente nonché epistemologicamente, al momento non posseggo giustificazioni razionali per sostenere né che un qualche Dio esista, né che non esista. Quando ne sarò in possesso, Le dirò meglio, e assai probabilmente diverrò un’atea razionale. Mi domanda dei miei valori sacri e intoccabili? Il valore della conoscenza, come ho già avuto modo di specificare, il quale include il valore della verità. Pure del dire la verità, nel non mentire, ovvero nel non affermare ciò in cui non si crede, nel non auto-ingannarsi. Il valore della conoscenza include altresì il valore del conoscere altre persone, ovvero il valore dell’amicizia e dell’amore.

 

Note

[1] Per un profilo e una bibliografia completi: http://www.niclavassallo.net/

[2] La conversazione si è svolta via mail nell’agosto 2017. Il testo finale è stato approvato dalla professoressa Vassallo, che insieme alla redazione ringrazio di cuore.

Da L’ATEO 2/2018