L’ateismo nei Paesi islamici. Conversazione con l’ateo marocchino Kacem El Ghazzali

di Stefano Bigliardi

 

Kacem El Ghazzali, classe 1990, è uno scrittore, blogger, e attivista marocchino attualmente residente a Zurigo. Ha ottenuto asilo politico in Svizzera nel 2011. La fuga dal suo Paese si rese necessaria a causa della persecuzione seguita alla scoperta, da parte dei compagni di scuola, che Kacem teneva un blog dedicato all’ateismo, in cui si dichiarava esplicitamente non credente: il giovane studente fu attaccato verbalmente e fisicamente. Le autorità scolastiche non solo non mossero un dito, ma biasimarono le sue idee e il fatto che le avesse rese pubbliche. Kacem ha raccontato la sua storia nel romanzo Volo Casablanca-Ginevra 8J540 (2013 – non ancora tradotto in italiano) [1]. L’ho raggiunto in videochiamata il 24 ottobre 2016 per una chiacchierata su ateismo e Islam [2].

Stefano Bigliardi (SB). Dalla mia introduzione chi legge L’Ateo verrà a sapere anzitutto del tuo ateismo inteso come attivismo, però vorrei cominciare a discuterne, in conversazione con te, da un punto di vista ancor più personale. Il “tuo” ateismo è nato come qualcosa di istintivo oppure grazie a determinate letture? E in tal caso, quali?

Kacem El Ghazzali (KEG). Direi entrambe le cose. Da bambino, tra i 7 e i 10 anni, come ogni bambino, facevo domande. Domande su Dio: chi è, dov’è? Il fatto stesso di non ricevere risposte, o meglio di sentire che stavo ponendo domande vietate, e che i miei interlocutori avevano paura sia di rispondere, sia delle domande in sé, ebbene, tutto questo mi faceva sentire, già da bambino, che la religione non poteva essere difesa in modo logico. In realtà a quell’epoca non mi consideravo un ateo, ma un musulmano: culturalmente musulmano, s’intende, visto che non credevo in Allah ma seguivo almeno le pratiche religiose, anche se magari non sempre con disciplina. Per esempio fingevo di pregare, e lo facevo senza le abluzioni rituali preliminari, che sono essenziali. Oppure durante il mese di Ramadan facevo finta di digiunare, mangiavo di nascosto. Più tardi, verso i 16-17 anni è sorto in me il desiderio di analizzare e ho cominciato a leggere molto. La filosofia mi è stata di grande aiuto, forse più della scienza, anche se la teoria dell’evoluzione è stata un ingrediente importante. Non voglio ribaltare il discorso religioso e dire che ho trovato la mia “salvezza” nella filosofia come i credenti la trovano nella religione, ma sicuramente ho trovato risposte logiche e convincenti. E su queste basi si è costruito il mio ateismo. Da un lato c’era l’“istinto”, dall’altro c’era il dovere di dare io stesso una risposta articolata quanto ai motivi del mio ateismo, la stessa che io pretendevo dalle persone religiose, senza peraltro ottenere risposta.

SB. Com’è essere ateo nel mondo musulmano? Puoi spiegarci se ci sono differenze tra Paese e Paese? Possiamo dire che ci sia un ampio spettro di situazioni possibili?

KEG. Per esserci c’è. Ma a parlarne si finisce a paragonare il male con il male, o il male con il peggio! Per esempio il Marocco è considerato uno dei Paesi arabi e islamici più liberali. Gli atei marocchini, ma anche quelli libanesi, godono di alcune libertà, se paragonati per esempio a quelli sauditi, o iracheni. E ci sono stati dei cambiamenti nel tempo: per esempio la situazione in Siria era migliore prima della Primavera Araba, si trattava pur sempre di una dittatura che torturava e imprigionava i dissidenti, sia chiaro, ma c’era spazio per una certa discussione della religione e ad Aleppo si pubblicavano libri che erano vietati al Cairo o a Riad. Ma lo stesso, essere ateo in un Paese musulmano è come andarsene in giro in un campo di Hamas sventolando una bandiera di Israele. Non è una cosa di cui si possa andare fieri, o che si possa dichiarare tranquillamente. Al contrario, può causare molti guai. In alcuni Paesi, come il Marocco, puoi essere ateo posto che non lo dichiari, e se lo dichiari privatamente è possibile che tu perda degli amici o che la tua famiglia ti si opponga con durezza o ti cacci di casa. In Arabia Saudita non solo la società non ti tollera, ma puoi essere legalmente perseguito come terrorista. In Marocco comunque l’attivismo, l’azione politica, non sono consentiti. Se si cerca di portare l’ateismo nella sfera pubblica, di creare un dibattito per la sua presa in considerazione da un punto di vista legislativo, proteggendo gli atei marocchini come i cristiani e gli ebrei sono protetti dalla Costituzione, si può essere perseguiti come persona che sta “portando guerra all’Islam”. E l’Islam non viene “difeso” solo con le parole o con gli articoli, ma per vie legali, e nei fatti, con la violenza fisica…

SB. Per farci un’idea dell’Islam contemporaneo dobbiamo però anche tenere conto dei tentativi di riformare l’Islam “dall’interno”, no? Voglio dire, ci sono tutte quelle teorie, elaborate da intellettuali musulmani, e molto care a certi liberali europei non musulmani, che armonizzano per esempio Islam e femminismo, Islam e scienza contemporanea, Islam e democrazia, Islam e omosessualità… Sono tentativi altamente intellettuali, e minoritari, ma esistono. Che cosa ne pensi?

KEG. In una certa misura io appoggio questi tentativi, ma sono anche critico al riguardo. Si tratta pur sempre di prendere il Corano come punto di riferimento, e questo crea un problema. Una volta aperta la porta a chi vuole usare il Corano in un determinato modo, la si apre anche a chi lo interpreta trovandoci altre cose. E lo stesso termine “interpretazione” è fuorviante perché si possono benissimo usare dei versi presi dal Corano che sono dotati di un significato molto immediato. Versi che legittimano violenza, odio, morte per gli apostati. Non che io voglia cancellare la religione del tutto: ma andrebbe confinata alla sfera privata. Se vuoi essere musulmano non c’è problema, ma allo stesso tempo devi anche accettare la logica e la ragione, e concentrarti su quello che veramente unisce gli esseri umani, che non è il Corano, ma il fatto stesso di essere degli esseri umani che condividono lo stesso pianeta e hanno diritti universali. Tutti i tentativi di difesa coranica di questo o di quello comunque portano a delle dispute teologiche tra musulmani in cui le idee liberali per lo più finiscono con l’avere la peggio. E poi un conto è ispirarsi a idee proposte da grandi pensatori musulmani del passato, un altro è sforzarsi di trovare idee contemporanee in quello che ha detto o fatto il Profeta millequattrocento anni fa, il che secondo me toglie credibilità a ogni discussione.

SB. Adesso che hai vissuto qualche anno in Europa immagino avrai una certa dimestichezza con certi discorsi “inclusivi”, promossi da una certa, chiamiamola così, con termine imperfetto, “sinistra”. A volte ho l’impressione che l’idea marxiana secondo cui la religione è l’oppio dei popoli non sia più tanto in auge… Mi sembra che sia comune soprattutto un richiamo all’“apertura” rispetto alla religione, e forse persino con un occhio di riguardo nei confronti dell’Islam. Non trovi?

KEG. Sì. Questo atteggiamento mi rattrista e mi infastidisce molto, tanto quanto mi infastidisce il modo che ha la “destra” di relazionarsi all’Islam e all’immigrazione dal mondo musulmano. E ne incolpo comunque i partiti di sinistra! Perché invece di affrontare certi problemi razionalmente, sapendo distinguere tra critica e ostilità anti-islamica, li hanno evitati o sottaciuti. Questo ha fatto sì che del dibattito si impadronissero populisti e demagoghi, i quali hanno potuto presentarsi come eroi della libertà, gli unici che hanno a cuore il destino dell’Europa e dell’Occidente. Lo vediamo anche in questo momento nelle elezioni americane con Trump e Clinton: per me è fonte di grande tristezza dover riconoscere che mi trovo d’accordo, nell’identificazione di un pericolo islamista, con qualcuno di destra. Perché dobbiamo ascoltare certe cose da Donald Trump e non da Hillary Clinton? E sì che lei ne ricaverebbe molto plauso, io sarei il primo a sostenerla! La stessa cosa accade qui in Europa, dove vengo criticato da ambienti di sinistra come “islamofobo” (anche se poi non mi spiegan o perché chi critica il Papa non viene bollato come “cristianofobo”). Eppure io preciso bene i termini e i limiti della mia critica, e il fatto che io stesso provengo da un ambiente musulmano e ho parenti musulmani! Sono l’ultima persona che potrebbe essere contro le libertà e i diritti civili, o contro i musulmani in quanto individui. In Europa la situazione è complessa e la sinistra apparentemente ha smarrito la sua bussola politica. I diritti delle minoranze vanno difesi, ma non è che una minoranza in quanto tale abbia la verità infusa e sia incriticabile. Tra l’altro questo atteggiamento finisce con il danneggiare non solo gli atei nel mondo musulmano, ma anche i musulmani liberali menzionati prima, o chi vuole relazionarsi criticamente al Corano, contestualizzandolo, per esempio con gli strumenti della storia e della linguistica. I fautori di questi tentativi dovrebbero essere accolti dall’Occidente e dalla sinistra come eroi! Allo stesso modo in cui i dissidenti dell’Unione Sovietica si dovevano accogliere come persone che necessitavano di visibilità e di sostegno.

SB. Quindi non temi che la tua critica dell’Islam porti acqua al mulino dell’islamofobia di destra? E se un mattino ti svegli e trovi le tue parole in bocca a un leader razzista, a un estremista che soffia sul fuoco dell’intolleranza?

KEG. Insisto, non sono io a portare acqua al mulino, è la sinistra. La gente sente che la sinistra non rappresenta più non tanto le sue fobie ma le paure logiche e argomentate, basate su fatti e statistiche, per esempio riguardanti i cambiamenti demografici. Attenzione a negare questi dati e a bollare queste paure come paranoiche, perché poi al momento di votare, se non ci sono molte opzioni, una persona con delle paure, anzi, proprio perché ha delle paure, voterà per chi quelle paure le canalizza, anche se si tratta di partiti di destra che storicamente non hanno a che vedere con le lotte per i diritti civili e i valori umanistici ma piuttosto con quelli della chiesa! Mi riferisco ovviamente alla destra cattolica, non alla destra liberale ed economica. Abbiamo dei partiti di ispirazione religiosa che sono in grado di presentarsi come la voce della ragione: ques to mi disturba non poco!

SB. D’accordo. Chiudiamo il cerchio e torniamo all’attivismo. Che cosa pensi che si possa fare? Che azioni si possono promuovere nel tuo Paese? E in Europa? E tu che cosa pensi di fare?

KEG. Buona domanda, e difficile al tempo stesso. In realtà quello che faccio io non è attivismo. È autodifesa. Faccio parte di una minoranza sotto attacco, praticamente priva di sostegno e protezione. In queste condizioni è difficile farsi promotori, ad esempio, di una riforma, che è qualcosa che alcuni si aspettano dalle persone come me. Devo dire comunque che, al di là di quello che posso fare io, vedo molti cambiamenti incoraggianti. Sono in Europa dal 2011. Ho lasciato il Marocco a vent’anni. Ero uno studente di scuola superiore. Vedo per esempio che ora è possibile dichiararsi ateo su Facebook, come pure cristiano o omosessuale, e ci sono migliaia di utenti che lo fanno apertamente. Di ateismo se ne parla alla TV araba. E vengo a sapere per esempio di riunioni di atei in bar o simili. Questo accade in Marocco, ma anche in Tunisia ed Egitto. E persino in Arabia Saudita! Usano dei nickname, ma ci sono anche gli atei sauditi, per esempio su Twitter! Anzi, certi sondaggi indicano una notevole presenza di atei in Arabia Saudita, ben superiore ad altri Paesi musulmani [3]! Con questo ovviamente non voglio nemmeno dire che il fatto di voltare le spalle alla religione faccia di qualcuno una brava persona. Un ateo non è necessariamente nobile ed etico. L’ateismo è una posizione riguardante l’esistenza, la sua origine, e la sua fine. Poi un ateo quanto al comportamento può benissimo essere un pedofilo o un terrorista! Comunque, prima dell’avvento di Internet era come se non ci fossero gli atei nel mondo musulmano, un po’ come quando il presidente Ahmadinejad dichiarò che non ci sono omosessuali in Iran… [4]. Certo, dove c’è una dichiarazione di ateismo su Internet c’è anche molto odio, c’è la rappresentazione dell’ateo come Satana, e così via. Però la comunicazione è comunque una forma di contatto, e la società si abituerà lentamente. Una volta che si sia creata una consuetudine sorgerà un politico coraggioso che porterà il tema nella sfera pubblica. Anche se, nel mio Paese, le cose potrebbero essere più complicate ancora, perché oltre che del trauma culturale occorre tenere presente che il re lì è sia il Capo dello Stato sia il Comandante dei Fedeli e un cambiamento in materia di libertà religiosa sarebbe difficile da promuovere anche per lui in prima persona.

 


 

Note

[1] L’UAAR ha a suo tempo diffuso la notizia in italiano. Per saperne di più sulle iniziative di Kacem El Ghazzali e i suoi interventi, o per leggere articoli su di lui (specialmente in inglese, francese, e tedesco) la sua pagina web ufficiale è un buon punto di partenza.

[2] La registrazione originale della conversazione, in inglese, è a disposizione di chiunque sia interessato. Ringrazio per la rapidità e la pazienza Kacem El Ghazzali, che ha anche approvato la presente traduzione in italiano.

[3] Si vedano per esempio i dati riportati qui. Come Kacem ha commentato successivamente alla conversazione, i numeri (in questo caso il 5% dei sauditi interpellati si sarebbe dichiarato ateo) possono sempre essere contestati da diverse prospettive, ma la presenza stessa di atei che si dichiarano tali in Arabia Saudita è un fatto notevolissimo.

[4] Le dichiarazioni a cui si riferisce Kacem risalgono a una conferenza dell’allora presidente iraniano nel settembre 2007 presso la Columbia University (si veda per esempio questo articolo). Per dovere di completezza occorre ricordare che secondo l’entourage del presidente l’affermazione era da intendersi riferita a una minore presenza di omosessuali in Iran rispetto agli USA. Sempre per dovere di completezza occorre ricordare che i rapporti omosessuali sono severamente puniti in Iran a seconda del ruolo dei soggetti coinvolti (e quindi della “gravità”), e sono passibili di pena capitale. Queste misure sono inquadrate e giustificate religiosamente vista la natura dello Stato e delle leggi iraniane dalla Rivoluzione del 1979. Nel momento in cui scrivo l’ultima esecuzione per questo tipo di “reato” di cui si abbia notizia risale al luglio 2016: l’impiccagione del diciannovenne Hassan Afshar, il cui “reato” risaliva peraltro a quando aveva 17 anni. 

Da L’ATEO 1/2017