Morfologia del diavolo

di Giuseppe F. Merenda

 

Il termine “diavolo” deriva dal latino tardo diabolus, traduzione dal greco con i vari significati di “calunniatore, diffamatore, divisore, oppositore, accusatore, contraddittore e nemico di Dio. Il termine “demonio” deriva dal latino daemonium e questo dal greco. Dall’originario significato di “entità soprannaturale”, demonio ha assunto il significato di “appartenente agli dèi”, “ammirabile” e “sorprendente”. Il termine “dèmone” deriva dal greco antico traslato in dáimon e può significare “essere divino, essere intermedio fra Dio e l’uomo” oppure “divisore delle carni, divoratore di cadaveri”. L’espressione “spirito immondo” allude invece a un essere che non può comunicare con Dio, il quale Dio, essendo uno spirito purissimo, è irraggiungibile. Beelzebul o Baalzebub potrebbe significare “Signore della dimora” o “Baal delle mosche”, una storpiatura del nome del dio Baal. Satana, “ha-satan”, era un termine derivato dall’accadico Sataran, adoperato nell’ambiente giuridico ebraico per indicare l’accusatore, colui che si poneva alla destra dell’accusato e ne denunciava le colpe. Satana, oltre al significato di accusatore, può assumere quello di “avversario”.

Razionalmente e filosoficamente il diavolo, il demonio, il dèmone, sataran, satana, belzebù, asmodeo e lo spirito immondo dovrebbero essere la rappresentazione simbolica del male, ma per i seguaci di molte religioni e in particolare per quelli del cristianesimo essi sono degli esseri reali che assumono ruoli diversi e variabili aspetti fisici. Infatti, i fortunati che hanno il privilegio di vedere questi esseri li riconoscono immediatamente (anche se non li hanno mai visti prima) e li descrivono nelle forme più diverse, allo stesso modo con cui da meno di un secolo a questa parte vengono descritti gli alieni e gli UFO. Tuttavia, essendo sia gli alieni che i diavoli delle creature extraterrestri, queste coincidenze descrittive sono plausibili.

Se è facile risalire all’etimologia dei nomi e degli epiteti del diavolo molto più difficile è cercare di capire quale possa essere il suo vero aspetto fisico. Si legge in Genesi che mentre Adamo ed Eva si trovavano nel Paradiso Terrestre un serpente attaccò discorso con loro. Questo serpente era il diavolo, «la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio» [1]. Con ogni probabilità doveva trattarsi di Sataran l’antico dio-diavolo mesopotamico (registrato nelle tavolette di argilla di Shuruppak) che si era trasferito nell’Eden, ma in nessuna parte della Bibbia questo è confermato e Adamo, purtroppo, non ha lasciato alcuna descrizione. Se nell’Antico Testamento il diavolo ha l’aspetto di un serpente maschio, nella Cabala Ebraica il diavolo è una femmina, tale Lilith, (anche essa estrapolata dalla religione mesopotamica) che fa parte di un gruppo di bestiacce mandate nel Paradiso Terrestre dal Signore, in uno dei suoi frequenti momenti d’ira, assieme a gatti selvatici, iene e satiri [2]. La dèmone Lilith fu compagna di Adamo per 130 anni, poi i due per incompatibilità di genere e, pare, per contrasti sulle posizioni nell’atto dell’amore, si lasciarono. Adamo si accasò con Eva e quasi contemporaneamente i gatti selvatici, chiamati in ebraico ziim, furono trasformati in demoni, mentre le iene (hiim) e i satiri divennero degli onocentauri, degli esseri simili ai centauri ma con la parte inferiore del corpo da asino. Anche Lilith fu trasformata in un onocentauro. Nel Talmud viene descritta con la faccia da donna, i capelli lunghi, le ali, il volto orribile, la capacità di cavarsi gli occhi dalle orbite per metterseli in posti irriferibili e la sfrontatezza di assalire gli uomini che dormivano da soli facendosi fecondare dal loro sperma grazie al quale poi nascevano i lilim, altri dèmoni [3]. Si narra che nel periodo in cui convisse con Adamo, Lilith partorì tanti lilim [4], ma Dio, man mano che nascevano, li uccideva, provocando le ritorsioni di Lilith che per vendicarsi strangolava e divorava i neonati delle altre donne prima che venissero circoncisi.

Sappiamo che in seguito il “Serpente Antico”, l’astuta bestia che aveva offerto la mela a Eva, si trasformò in un Dragone, «un gran dragone rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi» [5]. Questo Dragone, in conseguenza di una rissa con Michele e con altri angeli, fu precipitato sulla terra, dove decise di stabilirsi e di assumere le funzioni di diavolo [6]. Sul Dragone i teologi sono discordi. Molti di loro sostengono che l’essere che combatté contro l’Arcangelo Michele e che venne precipitato sulla terra, non era il Gran Dragone Rosso bensì Lucifero. Lucifero è la traduzione latina dell’ebraico helel e vuol dire “il brillante” ovvero la “stella del mattino”. Se era Lucifero, di lui abbiamo una probante descrizione: era bellissimo, anzi “perfetto in bellezza” e ricoperto di “rubini, topazi, diamanti, crisoliti, onici, diaspri, zaffiri, carbonchi e smeraldi”, quindi facilmente riconoscibile [7]. Che poi Lucifero, cadendo in malo modo sulla terra, fosse divenuto il diavolo lo confermano Isaia ed Ezechiele, profeti vissuti nell’VIII e nel VII secolo a.C, i quali però fanno coincidere Lucifero con la divinità greca Eosforo (Portatore dell’Aurora) o Fosforo (Portatore della luce) che, in buona sostanza, altri non era se non il pianeta Venere, chiamato Ishtar dai popoli mesopotamici e al-Uzzah dai popoli arabi. A completamento di quanto sopra detto bisogna aggiungere che nella religione greco-romana anche Giunone e Diana erano divinità “lucifere” ovvero “portatrici di luce” e che uno degli epiteti di Apollo era “Phosphoros” in greco, e “Lucifer” in latino.

Ma, attenzione, non il solo Lucifero fu precipitato sulla terra. Contemporaneamente a lui furono precipitati i suoi sodali che erano la metà esatta degli angeli creati dal Signore, per un totale di oltre 600.000.000 diavoli o angeli ribelli. Va però precisato che questa cifra è approssimativa, perché Luca (15,4) afferma che il numero degli angeli è 99 volte superiore a quello degli uomini, Giovanni (Apo 5,11) assicura che gli angeli sono “miriadi di miriadi e migliaia di migliaia” e monsignor Corrado Balducci, teologo, ufologo e demonologo ha contato 1.758.866.666 diavoli [8]. Debbo poi confessare che anche io, nel mio piccolo, ho operato il tentativo di contare i diavoli dipinti sulla volta del Castello della Zisa a Palermo, tuttavia, come cinicamente preannunciatomi dai custodi, il mio tentativo è fallito, e quindi non posso apportare alcun contributo a questa conoscenza.

Riprendendo il filo della storia, i compagni di Lucifero precipitati sulla terra e diventati diavoli si diedero subito da fare con le figlie degli uomini, perché “erano belle” e ne presero in moglie “quante ne vollero”. Da queste unioni nacquero i Titani o Nephilim, che erano giganti dall’animo malvagio [9]. Nel Talmud del loro aspetto si dice che «avevano le ali e volavano da un’estremità all’altra del mondo» [10]. Uno di essi, Keteb Meriri, ovvero la Peste Dolorosa, così viene dettagliatamente descritto nell’Antico Testamento: «era pieno di occhi, di scaglie e di peli con un occhio sul cuore, fatale per chi lo guardava» [11].

Nella Septuaginta, la traduzione in greco della Bibbia, i 72 saggi traduttori per descrivere l’aspetto del diavolo utilizzarono un termine che vuol dire “capra selvatica, satiro, demone”, oppure il termine “siyyim, cioè “abitante del deserto, bestia selvatica”. In fasi successive Ebrei e Cristiani confermarono che Lucifero e gli angeli decaduti avevano l’aspetto caprino degli esseri appartenenti al mondo mitologico pagano e dunque erano simili ai fauni, ai centauri, ai satiri, alle sirene, alle arpie e conseguentemente a Pan, a Cernunnos e a Iuppiter Ammon. In tal modo cominciò a definirsi una morfologia del diavolo ancora più aderente alla realtà: un essere peloso, con il corpo umano, le orecchie a punta, i piedi con gli zoccoli, la coda di capra e le corna. La presenza delle corna divenne una costante per tutti i diavoli, forse perché Giove Ammone, Pan, Cernunnos e i Satiri avevano le corna. Al successo della cornificazione del dèmone contribuì anche l’interpretazione esoterica che attribuiva al diavolo il significato di divisore dell’anima umana in due parti: il bene e il male. Si credeva, ad esempio, che l’ora del diavolo fosse mezzogiorno, proprio perché è quello il momento in cui il sole giungendo allo zenit divide il giorno in due parti uguali e contrarie.

Curiosamente anche Mosè, come il diavolo, aveva le corna, e infatti con le corna sulla testa è stato eternato da Giotto, da Michelangelo, da Rembrandt e da José de Ribera. Addirittura san Girolamo, nel tradurre la Bibbia dall’ebraico in latino, ha insinuato che Mosè «ignorabat quod cornuta esset facies sua», non sapeva di essere cornuto. I Masoreti, invece, venendo in difesa di Mosè, affermavano che si era trattato di un lost in translation, nel senso che Mosè quando scese dal Sinai con le tavole della legge aveva in fronte due raggi di luce, e che il termine ebraico “karan” (che vuol dire “raggi”) venne confuso con “keren” che vuol dire “corna”. Però, a questo punto, va confermata l’ipotesi di Freud: Mosé come Lucifero era un adoratore di Aton, il dio egizio del sole e, in odio a Yahweh, ne aveva imposto l’adorazione al suo popolo sotto il finto nome di Adonai [12].

Se poi nel nostro insaziabile bisogno di conoscenza cerchiamo di avere un identikit ancora più preciso del diavolo e ricorriamo al Nuovo Testamento, restiamo alquanto delusi, perché Gesù, nonostante abbia avuto molto a che fare con i diavoli, non ci è di grande aiuto. Sappiamo che il Figlio di Dio estrasse “sette demoni umani” da Maria di Magdala [13], ma oltre a definirli “umani”, di essi altro non ci dice. Erano piccoli? Erano grandi? Uscirono dalla bocca, dall’ano, dalla vagina? Gesù non ce lo dice. Successivamente, mentre si trovava nel deserto con solo “le bestie e gli angeli che lo servivano” e molto si lamentava perché aveva appetito [14], gli si accostò il diavolo che gli disse: «Se sei figlio di Dio dì a questi sassi di diventare pane!». Anche in questa occasione il cronista Marco non fa nessun accenno alle sembianze del tentatore, per cui alcuni esegeti ritengono che non si trattasse del diavolo bensì di un comune viandante il quale aveva voluto provocare l’inesperto eremita con una richiesta impertinente.

Poco dopo il diavolo ritornò e «lo condusse sopra un monte altissimo, gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: “Tutte queste cose io ti darò, se tu prostrandoti, mi adorerai”». Ma Gesù gli rispose: «Vattene, Satana!». Anche in questo caso è difficile stabilire se si trattasse effettivamente del diavolo, perché Gesù aveva l’abitudine di chiamare “Satana” chiunque gli stesse antipatico, per esempio Pietro [15]. D’altronde, dicono i soliti malpensanti, per giungere sopra un monte altissimo non c’era bisogno di immaginare la presenza di un diavolo con grandi capacità alari. Gesù e il viandante fecero quattro passi e insieme raggiunsero la cima del monte. Ancora di meno ci è d’aiuto l’episodio in cui Gesù adopera le sue arti di esorcista nei confronti di un pazzo incatenato, evangelicamente noto come “l’indemoniato di Gadara”. Gesù ordinò: «Esci spirito impuro da quest’uomo!» e immediatamente non un solo spirito impuro, ma una “legione di spiriti immondi” usci fuori dal posseduto. Duemila demoni evasero dal pazzo e si incarnarono in duemila maiali che di corsa fecero 55 chilometri per andare ad affogarsi nel lago di Tiberiade. Data la fulmineità dell’azione nessuno ebbe modo di scorgere le fisionomie dei satanassi.

Agostino d’Ippona (354-430 d.C.) non vide mai il diavolo, ma credeva nell’esistenza degli “Incubi” e dei “Dusii” che secondo lui erano come i Silvani e i Fauni, cioè esseri con le corna e i piedi di capra che insidiavano le donne e le invitavano a compiere atti libidinosi. Agostino nel dare questa descrizione dei Dusii implicitamente volle aggiungere che erano membruti e non si riferiva agli arti. Ci volle un teologo raffinato come Tommaso d’Aquino (1225-1274) per definire meglio l’aspetto e l’essenza del diavolo: «Il diavolo, essendo materia, può manifestarsi come capro con corna e zoccoli, ed essendo spirito può manifestarsi in parole, pensieri e atti contrari alla legge di Dio e agli insegnamenti di Gesù» [16].

Grazie a queste autorevoli descrizioni, l’aspetto del nemico di Dio nel tardo Medioevo poteva dirsi ormai stabilizzato, pur tuttavia vennero aggiunti alla sua morfologia, da parte dei maestri pintori, alcuni particolari terrifici e orripilanti: lunghe orecchie a punta o pinnate (Fra Angelico e Luca Signorelli); scroto voluminoso (Nardo di Cione); pelle scura “come quella dei negri” (Duccio da Buoninsegna); zanne all’insù (Maestro della Natività); faccia al posto del sedere (il Sassetta e Michael Pacher); corpo di pesce e proboscide d’elefante (Martin Schongauer); soma colossale e fauci possenti (Coppo di Marcovaldo); corpo gigantesco, corna ricurve e pelle blu (Giotto).

Chi però andò nel regno dei diavoli e riuscì a vedere Caronte, Minosse, Lucifero, ecc., così da vicino che per la grande paura “non morì e non rimase vivo”, fu il noto rimatore Dante Alighieri. Egli descrive l’ex Principe degli Angeli come un demonio gigantesco che emerge dal ghiaccio di Cocito e che «s’el fu sì bel com’elli è ora brutto», con «tre facce alla sua testa»: una faccia rossa al centro, una bianca-gialla a destra, e una a sinistra dello stesso colore delle facce di coloro che vengono «di là dove il Nilo s’avvalla». Continuando la sua tremebonda descrizione Dante dice che da sotto a ciascuna faccia uscivano due grandi ali che non avevano penne e piume, erano come ali di pipistrello, ma molto più grandi delle vele delle navi di mare e ogni volta che si muovevano generavano venti gelidi. Avendo tre facce, di conseguenza Lucifero aveva sei occhi e tre menti dai quali colava bava insanguinata e «da ogne bocca dirompea co denti un peccatore, a guisa di maciulla» [17]. Questa testimonianza di Dante appare inoppugnabilmente veritiera perché non è possibile credere che un uomo del suo spessore abbia immaginato di recasi all’Inferno solo per riportare le fantasie infantili e le fobie fideistiche degli aderenti alla sua religione.

In ogni modo già molto prima di Dante il diavolo era entrato a far parte del folklore popolare apparendo ai contadini, alle donzelle e frequentemente ai personaggi religiosi che più rappresentavano il popolo: i frati e i santi, i quali ce lo descrivono con abbondante ricchezza di particolari. Paolo della Croce lo vide più volte in forme diverse: come un uomo gigantesco con la clava, come un cagnaccio rabbioso, come un gatto nero, come un uccellaccio grosso e deforme, e una volta, quando un fraticello ingenuo gli chiese: «Ma, insomma, come è fatto il diavolo?», gli rispose: «È tanto deforme che metterebbe spavento anche agli orsi!». Che non si può considerare una risposta esaustiva.

A Santa Teresa di Gesù il diavolo apparve una prima volta come «una figura abominevole con una bocca spaventosa e il corpo che pareva una fiamma» e un’altra come «un negretto abominevole che ringhiava come un disperato». Certamente non possiamo tacciare Teresa di razzismo, perché se vide un “negretto abominevole” è sicuro che non se lo inventò, e d’altronde anche Benedetto da Norcia vide il diavolo sotto forma di un “ragazzotto nero” [18]. Né possiamo tacciare di razzismo tutti i pittori e gli scultori che hanno rappresentato il diavolo come un uomo di colore schiacciato dai piedi dell’Arcangelo Michele. Non è possibile che tanti artisti si siano sbagliati. Essi hanno rappresentato quello che hanno visto o al massimo quello che i committenti delle loro opere, uomini di fede, persone equilibrate, pie e rispettabili, gli hanno detto di aver visto.

Il testimone a noi (cronologicamente) più vicino, colui che ha avuto i contatti più credibili con il Principe del Male, è stato certamente il santo Padre Pio da Pietrelcina. «Una notte dalla porta con terrore vidi entrare un grosso cane dalla cui bocca usciva tanto fumo e udii che diceva: “È iss! È iss!”». Per l’occasione, l’astuzia del diavolo fu tale che per farsi meglio capire dal sant’uomo volle esprimersi in dialetto campano. Di seguito venne a trovarlo «Barbablù con altri suoi satelliti armati di bastoni e ordigni di ferro» e giù botte da orbi. Barbablù, grazie a san Pio, è diventato una new entry nel mondo demoniaco. Personaggio fiabesco creato nel XVII secolo da Charles Perrault e ispirato a Enrico VIII, in seguito a confuse reminiscenze infantili deve essere entrato nell’inconscio del frate di Pietrelcina, per cui il futuro santo, quando commetteva dei peccati di sesso o di carne, ne dava la colpa all’innocente Barbablù. E Barbablù con Padre Pio, usava sempre l’astuzia se non la scorrettezza. Una volta gli si presentò come «un signore, alto, snello, vestito con una certa raffinatezza e dai modi garbati, gentili …». Molti di noi sarebbero caduti nella trappola, ma non il frate santo, che gridò: “Viva Gesù! Viva Maria!” e subito Satana-Barbablù uditi quei «soavissimi e potentissimi nomi, sparì all’istante in un guizzo di fuoco lasciando dietro di sé un insopportabile irrespirabile fetore» [19].

Concludendo questo breve excursus sulla morfologia del demonio avverto chiunque voglia tacciarmi di incompletezza che le raffigurazioni del Principe Ribelle sono infinite. Prova ne sia che ad aprile del 2016 il diavolo è stato fotografato su Marte da Opportunity, uno dei rover che stanno esplorando il pianeta. A causa della notevole distanza, che implica ritardi fino a oltre venti minuti per la ricezione dei segnali, è stato impossibile ottenere immagini live, in ogni modo non ci sono dubbi: anche sul pianeta rosso c’è il demonio, anzi i demoni. Gli scienziati della Nasa affermano di avere visto delle piccole trombe d’aria che hanno chiamato “Dust Devils”, ma essi, in quanto uomini di scienza, non riescono a immaginare quanto il maligno sia ingannatore. I Dust Devils, i Diavoli di Polvere che essi hanno filmato sono realmente l’ultima incarnazione del maligno, il quale pur di fare un dispetto al suo Creatore sta accompagnando l’uomo nella esplorazione dell’universo.

 

Note bibliografiche

[1] Genesi 3,1.

[2] Isaia 34,14.

[3] Nid. 24B; Er 100 ter.

[4] Talmud. Erubin, 18b.

[5] Giovanni, Apocalisse 13,11-18.

[6] Giovanni, Apocalisse 12,3-7.

[7] Ezechiele 28,13.

[8] Corrado Balducci, La Possessione diabolica, Ed. Mediterranee, Roma 1976.

[9] Genesi 6,1-4; Numeri 13,33.

[10] Talmud, Change. B 1a.

[11] Dt 32,24; Sal. 91,6.

[12] Sigmund Freud, L’uomo Mosè e la religione monoteista, Vol. XI, Bollati Boringhieri, Torino 1989.

[13] Luca 8,2.

[14] Marco 1,12-13.

[15] Matteo 16, 22-23.

[16] Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, I-II, q. 71, a. 6: Ed. Leon. 7, 8-9.

[17] D. Alighieri, Inferno XXXIV, vv 37-60.

[18] Gregorio Magno, Storie di santi e di diavoli, Vol. I, pag. 127, Mondadori Ed. 2010.

[19] Pio da Pietrelcina. Epistolario I (1910-1922). Edizioni “Padre Pio da Pietrelcina“ Convento S. Maria delle Grazie, San Giovanni Rotondo (Foggia).

 

Giuseppe F. Merenda, psichiatra e psicoterapeuta, è l’autore di Francino, l’altra storia di Francesco d’Assisi; L’uomo che gustò la morte, l’altra storia di Gesù da Nazareth; Santuzze e Santuzzi; Storie di cani e di umani. È socio del Circolo UAAR di Venezia.

Da L’ATEO 5/2016