Nessun dogma, a Paperopoli

di Elena Corna

 

Nell’universo dei fumetti Disney c’è tutto: streghe, alieni, macchine del tempo e fantasmi. Tutto il pensabile e rappresentabile è rappresentato, anche grazie al fatto che il mondo dei fumetti è governato da leggi fisiche decisamente più elastiche di quelle che reggono il mondo in cui ci muoviamo noi: per Paperino è possibile farsi schiacciare da un rullo compressore, restare piatto come un foglio di carta e poi tornare normale. C’è proprio di tutto, però non c’è Dio. Non c’è alcun ente trascendente la cui presenza sia supposta o data per scontata nell’orizzonte dei personaggi.

È naturale quindi che, come alcuni ricordano, la Chiesa considerasse Topolino una lettura disdicevole al pari de L’Unità [1]. Non solo a Paperopoli e a Topolinia non c’è Dio, come non c’è traccia di clero né di chiese, ma non esiste nemmeno una “famiglia cristiana”: ci sono famiglie formate da zii e nipoti, ci sono stretti rapporti di cuginanza e di amicizia ma non ci sono padri e figli (con una eccezione, costituita da Ezechiele Lupo e suo figlio Lupetto) e soprattutto non ci sono madri. In compenso, ci sono papere e tope che vivono da sole, dotate al massimo di un fidanzato destinato a rimanere tale e anzi tenuto disinvoltamente sulla corda (Paperina spesso civetta con altri paperi…). Non poteva piacere alla chiesa questa società con famiglie strampalate, con ragazzini che viaggiano disinvoltamente da soli e femmine (papere, tope o mucche che siano) che lavorano e si gestiscono autonomamente, per non parlare di Trudy che addirittura convive more uxorio con Gambadilegno [2]. E non piaceva nemmeno al fascismo. In una lettera del 19 luglio 1938, il Minculpop intima all’editore Nerbini, il primo a pubblicare Mickey Mouse, di far scomparire ogni soggetto o vignetta d’importazione americana, in quanto non ispirati ai principi educativi del Fascismo. È da notare che Topolino non era gradito nemmeno al partito comunista, ma per altri motivi [3].

I cattolici statunitensi poi, rendendosi conto del gradimento che aveva il nuovo mezzo espressivo del fumetto, cominciarono nel 1946 a pubblicare il loro albo a fumetti, Catholic and Comics. Il Comics Code Authority (1954) del resto, non vietava di parlare di religione, vietava solo di ridicolizzare o attaccare la religione.

Come nota Maurizio Giannattasio [4], il mondo cattolico aveva colto l’importanza dell’influenza dei fumetti sul pubblico giovanile. E qui si inaugura la nuova tappa: un’immensa produzione di strisce legate all’editoria cattolica. Persino le vite dei Santi. Fino all’altro giorno, quando l’inchiesta dell’«Osservatore Romano», ha inaugurato una nuova era. Come Sherlock Holmes si va alla ricerca di indizi, di tracce, di vignette, di storie che indichino un possibile orizzonte di fede cattolico. Sull’Osservatore Romano era infatti apparso I’articolo Homer e Bart sono cattolici (18 ottobre 2010), di commento a un contributo di padre Francesco Occhetta pubblicato su Civiltà cattolica, che elogiava lo spirito cristiano che pervade i Simpson (dopo aver notato che i Simpson sono visti da cento milioni di spettatori di 90 paesi) [5]. Pare quasi un tentativo di “aggiudicarsi” i personaggi di maggior successo (e visibilità) del mondo dei comics. Secondo il catalogo americano Comicbookreligion però Homer e Bart non sono cattolici ma sono affiliati alla Western Branch of American Reform Presbylutheranism.

Ebbene sì. Esiste un catalogo che indica la religione di ogni personaggio dei fumetti e cartoni [6]. Tutti i personaggi hanno una “religious affiliation”, tranne quelli della banda Disney (e anche gatto Silvestro, Titti…). Perché? Perché sono animali. Benché antropomorfi e antropomorficamente ragionanti, sono pur sempre animali e quindi, secondo l’ideologia cristiana, privi di coscienza morale. Nel catalogo infatti i personaggi della banda Disney sono classificati come “animali antropomorfi” e basta, senza alcuna affiliazione. E della religione fanno allegramente a meno. Innanzitutto per una sorta di protocollo; dice Roberto Gagnor, sceneggiatore di Topolino: noi sceneggiatori ci troviamo nel mezzo di una convenzione che dura da quasi un secolo. Per quanto la società guardi ad un antropomorfismo, certe cose proprie dell’uomo non vengono (volutamente) trattate dai personaggi, ad esempio il sesso. Ma anche la malattia, la religione e la politica sono assenti. E devono esserlo [7]. Era inoltre suggerito di non rappresentare armi da fuoco: …ci avevano raccomandato, verso gli anni Settanta, di non calcare troppo la mano su certe cose pesanti, battaglie, armi, cose violente… ricorda Romano Scarpa, uno dei più grandi creatori di storie Disney [8].

Un altro tabù è quello relativo alla morte, che si preferisce non nominare. Tuttavia, si ha la sensazione che le raccomandazioni non fossero così tassative: occasionalmente compaiono sparatorie e si parla anche di morte, soprattutto nelle storie di Guido Martina, uno dei più prolifici sceneggiatori Disney [9]. Lui non aveva peli sulla lingua, ricorda Scarpa [10]. I paperi sanno benissimo di non essere immortali (sennò non avrebbero senso le preoccupazioni di Paperone circa l’incompetenza dei suoi eredi) anche se vengono rappresentati sempre uguali (i nipotini non crescono mai), in una sorta di “presente esteso” che risulta rassicurante. La morte fa parte della nostra esperienza, che almeno non ci tocchi incontrarla anche nei fumetti! Questo sembra essere il pensiero dei lettori.

Don Rosa, l’unico artista ad aver scritto una monumentale biografia coerente di Paperone, inserendola in un contesto storico reale e risalendo anche all’anno di nascita (1867), ne ha immaginato anche la morte. Nel 1991 uscì infatti una sua vignetta in cui si vedono Paperino e Paperina invecchiati e Qui Quo Qua adulti che piangono sulla tomba di Paperone. La vignetta fece scalpore [11] e tuttora non cessa di far discutere [12]. Non immaginavo che mi avrebbe procurato tanti problemi, commenta Don Rosa [13]. Se i paperi (e topi) sono mortali, c’è di certo un aldilà, una dimensione popolata da entità ormai disincarnate; il tema del fantasma che deve sistemare qualcosa di irrisolto in vita per trovare la pace è piuttosto frequente [14].

Molto più tabù è sempre stato considerato il tema del matrimonio [15]. Secondo gli utenti del forum del Papersera, negli anni ’30 gli scrittori erano molto più liberi e non erano tabù né religione né matrimonio: in una vignetta di Topolino e i suoi vispi nipotini (Gottfredson 1932), Topolino sogna il proprio matrimonio davanti a un ufficiale che, secondo alcuni, sembra un prete. Tuttavia, l’officiante non porta nessun simbolo religioso e non è nemmeno vero che il matrimonio sia tabù: la parola matrimonio ricorre in parecchi titoli (Paperino e il matrimonio di Reginella, Il matrimonio di Zio Paperone) e a Paperopoli molti sono sposati. Anche il commissario Basettoni ha una moglie. Semplicemente, il matrimonio non riguarda i protagonisti; e comunque, quando si arriva quasi al matrimonio, è sempre davanti a un sindaco (come in Il matrimonio di Zio Paperone, De Vita 1984).

È vero che il contesto del sogno di Topolino (la veste dell’officiante, la vetrata alle loro spalle) sembra suggerire un rito cristiano, ma l’accanimento di alcuni critici e lettori nel voler attribuire una “consapevolezza cristiana” [16] a paperi e topi sembra suggerire soprattutto una loro volontà (dei lettori) di ritrovare nei loro personaggi preferiti quella che evidentemente è la loro religione (dei lettori) [17]. In realtà, le storie non autorizzano affatto a concludere che quella cristiana sia, anche in modo non esplicitato, la religione di riferimento a Paperopoli e Topolinia. Anzi, è l’unica religione la cui intolleranza viene (nemmeno troppo) velatamente criticata nella famosa storia Topolino in: Ho sposato una strega (Marconi-Cavazzano 1990). In questa vicenda, Topolino si invaghisce di una bella strega, il cui padre spiega a Topolino: ”siamo arrivati qui, secoli fa, per sfuggire alle… ehm… calde usanze [18] del nostro paese d’origine”. Il riferimento ai roghi è reso più evidente dall’immagine di un fuoco che accompagna il fumetto.

L’unico “omaggio” alla religione cristiana si deve a Guido Martina e costituisce una vera eccezione: la storia Topolino e le delizie natalizie (Martina-Scarpa 1954, ristampata ridotta nel 1958 e mai ristampata fino al 2007) si conclude con una filastrocca che recita: nella notte tanto bella / che ci unisce e ci affratella / in soave intimità / tutti intorno a un Bimbo in fasce / nella culla poverella / ingemmata da una stella… Per il resto, ogni riferimento a un culto paperopolese o topolinese è bandito.

In realtà ogni tentativo di identificare un’ideologia strutturata nel mondo Disney si basa su un errore, quello di considerare quello disneyano un universo granitico, praticamente immutato dal momento della sua apparizione fino ad oggi [19]. L’universo Disney si evolve, benché non in modo macroscopico, e col tempo sono cambiate le caratterizzazioni dei personaggi e le situazioni, che seguono i temi più di attualità. Soprattutto, ogni artista costruisce le storie secondo la sua sensibilità e i suoi interessi. Qual è dunque l’atteggiamento dei vari artisti verso la religione? Walt Disney, figlio di due membri della Chiesa Congregazionale di Chicago, era dichiaratamente religioso, ma di una religiosità tutta sua, tendente al panteismo. Inoltre, da giovane Disney entrò a far parte dell’associazione di stampo massonico DeMolay. Per questo i cattolici lo considerano laico, teista e anticattolico [20]. Carl Barks, indiscusso maestro e creatore di Zio Paperone, era ateo [21]. Il suo erede e continuatore, Don Rosa, ingegnere, si è sempre divertito a inventare storie impeccabili dal punto di vista scientifico e storico [22] e non c’è traccia di prospettiva religiosa, anche se Rosa ha avuto un’educazione cattolica da cui poi ha preso le distanze [23].

Rosa ha sempre avuto molta libertà [24] e quindi, se avesse avuto interesse a trasmettere qualche velato messaggio religioso, avrebbe potuto farlo. Gli sceneggiatori italiani ugualmente appaiono molto più interessati alla divulgazione della scienza e al dibattito su questioni etiche, sociali e tecnologiche (inclusi l’uso dell’energia nucleare, la catena di montaggio e il telelavoro, tanto per fare alcuni esempi) [25] che alla trasmissione di messaggi religiosi, del tutto assenti. Paperi e topi sono stati in ogni parte del mondo (e oltre), nel presente e nel passato, e si sono confrontati con tutti i sistemi di credenze possibili: a Venezia hanno dialogato con monaci (di cui uno porta la croce al collo) in abbazie e basiliche (Zio Paperone e i guardiani della biblioteca perduta, Don Rosa 1993), nelle vicende ambientate in Arabia, Allah è citato esplicitamente (Zio Paperone Lawrence d’Arabia, Barks 1965), in India hanno discusso di induismo e di cultura indiana (Zio Paperone e il tesoro dei dieci avatar, Rosa 1996) [26], in Tibet hanno ammirato la saggezza della filosofia buddhista (Topolino in: missione Tibet, De Vita 1982) e hanno avuto a che fare con usanze e credenze degli aborigeni australiani, dei nativi americani, degli egiziani e degli antichi greci e romani. Ed è proprio questo il bello: per un lettore assiduo le diverse credenze e strutture sociali relative appaiono tutte sullo stesso piano, come espressioni culturali di realtà geografiche diverse.

Ogni popolo ha i suoi mores. Topolino, per mezzo della macchina del tempo del professor Zapotec, capita anche “in medio oriente all’inizio dell’anno uno”, ma non si parla della nascita di Gesù. Si dice solo che “quello è il punto di partenza del calendario della nostra cultura”. Da parte sua, Topolino è interessato solo a “vedere da vicino come viveva la gente di quest’epoca”. E quello che vede è soprattutto lo scontento per la dominazione romana (Topolino e la memoria futura, Sisti-Scarpa 1996). Pur nella molteplicità degli stili e degli interessi dei vari scrittori (ne sono state prodotte, di storie, in 80 anni!), si possono individuare dei “comuni denominatori”. Il fatto, appunto, che compaiono le credenze più disparate e che compaiono come prodotti culturali, tutte con pari dignità; i paperi vi si adeguano senza giudicare ma anzi, cercando di capire, dimostrando una curiosità che non sarebbe piaciuta per niente a Tertulliano, il quale tuonava: ”Non abbiamo bisogno di curiositas dopo la venuta di Gesù Cristo…” [27] Tertulliano condanna l’atteggiamento dei pagani abituati a voler conoscere e integrare nel loro pantheon qualsiasi divinità straniera [28]. E a questo proposito si può aggiungere che il termine “dio” compare in alcune storie, ma come nome comune, non come nome proprio! Per esempio, “Lo credono un dio o un eroe…” ipotizza Paperino vedendo degli indigeni inchinarsi davanti a una strana figura. “Sebek era il dio del Nilo” spiega Quo in Egitto. “Per tutti gli dèi Maya” esclama Topolino [29].

Paperi e topi affrontano discussioni etiche e agiscono secondo un’etica che deriva semplicemente dalla capacità di immedesimazione (anche, ovviamente, interspecifica), dal senso di giustizia, insomma dalla loro coscienza (questo sì, è un termine che appare spesso). Ad esempio, i nipotini vogliono bloccare un crimine ecologico di Paperone, che li prega: “Non fatelo!”. I nipotini indignati rispondono: “La nostra coscienza ce lo impone!” (Zio Paperone e la rivolta alimentare, Pezzin-Scala 1985). Non c’è nessun bisogno di un’etica eteronoma.

Infine, paperi e topi sperimentano e riflettono un sacco. Giulio Giorello parla di Topolino come di un maestro di libertà creativa, pieno di audacia intellettuale, che non sopporta alcuna gabbia, anche se costruita da una qualsiasi prestigiosa filosofia del passato, perché insofferente delle convenzioni imposte o ricevute… E l’arma di Topolino è quella dell’ironia e del paradosso [30]. Il saggio di Giorello esamina solo le storie di Topolino ma lo stesso vale per i paperi, abituati a vedere le diverse facce di una medaglia. Non solo tutto (l’arte, la moda, i media, i meccanismi economici) viene analizzato con ironia, ma molte storie sono costruite proprio sul ribaltamento di prospettiva, per cui un’iniziativa, o un’invenzione, iniziano una marcia trionfale per poi rivelarsi catastrofiche. Inoltre, in numerose vicende i protagonisti sono indotti alla riflessione su alcuni fenomeni con il vederli portati alle estreme conseguenze: può essere l’eccessivo sfruttamento minerario (come in Zio Paperone e lo scompenso della Terra, Cimino-Gatto 1971), il cambiamento climatico (Zio Paperone e la corrente del Golfo, Dalmasso- De Vita 1976), l’agricoltura di speculazione (Zio Paperone e la fattoria orbitale, Pezzin-Carpi 1979).

Insomma, la mente papera e topa è una mente critica ed empirica: indubbiamente avvantaggiati dalla consapevolezza che gli sceneggiatori li faranno uscire sani e salvi da ogni storia, sperimentano sulle loro piume tutto lo sperimentabile. Questi tre elementi (il senso della molteplicità delle culture e la loro pari dignità, l’etica autonoma e lo spirito critico/empirico/ironico) sono sufficienti a identificare la Weltanschauung papera e topa come antitetica a quella cristiana o, più in generale, monoteistica. Nessun dogma, a Paperopoli.

E così, mentre c’è chi emette una fatwa contro Topolino, c’è chi, scherzando, lo vorrebbe come presidente onorario dell’UAAR [31]. Ancora più di Topolino, però, meriterebbe la carica il suo amico Pippo, incallito agnostico ed empirico, che non solo rifiuta tutto ciò che non rientra nella sua logica pippesca, ma è anche capace di minare le convinzioni degli altri. Nella storia Pippo e la fattucchiera (Chendi-Bottaro 1960), la strega Nocciola cade in depressione perché proprio non riesce a convincere Pippo della sua autenticità di strega. In piena crisi di identità, si rivolge a uno psichiatra, il quale non vede altra soluzione che recarsi da Pippo e convincerlo. Nell’ultima vignetta si vedono lui e la fattucchiera allontanarsi a braccetto dalla casa di Pippo recitando: ”Non esistono né gli psichiatri né le streghe, non esistono né gli psichiatri né le streghe…”.

 


 

Note

[1] Lo ricorda Aldo Giannuli, Sociologia di Paperopoli, L’Ateo, n. 2/2014, p. 13.

[2] Alle “ragazze” di Paperopoli e Topolinia il Corriere della Sera ha dedicato una pagina intera il 4 aprile 2005.

[3] L’ha ricordato Sergio Staino il 14 marzo 2015 a Scandicci, in occasione della rassegna Il libro che ha cambiato la vita. Su questo tema vedi Serena Todisco, L’ideologia politica di Walt Disney, Roma, Abel Books, 2013.

[4] Maurizio Giannattasio, Hulk cattolico, i Puffi una loggia; la religiosità nei fumetti, Il Corriere della Sera, 11 luglio 2013.

[5] F. Occhetta, I Simpson e la religione, Civiltà cattolica n. 3848 del 16.10.2010.

[6] (www.comicbookreligion.com).

[7] Intervista a Roberto Gagnor di Federico Bottino per Retrò online del 9.12.2014.

[8] Intervista a Romano Scarpa di Claudio Piccinini, in Magica Disney, Comicon edizioni, 2013, p. 212.

[9] Molte sue storie in effetti colpiscono per la rudezza delle scene e del linguaggio: la storia El Kid Pampeador (Martina-Bottaro 1959) si apre con Gambadilegno che decapita un’oca e in Paperino e l’oro del treno (Martina-Carpi 1959) si minaccia addirittura la sedia elettrica.

[10] Loc. cit.

 

[11] Vedi Guido Tiberga, Paperone è morto, non ditelo a nessuno, la Stampa, 22 settembre 1995.

[12] Interminabili discussioni sulle scelte di Don Rosa sono reperibili sul forum del Papersera (www.papersera.net).

[13] Ettore Gabrielli, Incontrando l’uomo dei paperi: Don Rosa, 27 dicembre 2007 (www.lospaziobianco.it). Nell’articolo è riportata una lunga intervista a Don Rosa di Alberto Becattini (il suo traduttore in italiano) e Luca Boschi.

[14] Ad esempio, Paperino e la leggenda dello scozzese volante, Scarpa 1957.

[15] Vedi il forum del Papersera, topic su Al Taliaferro.

[16] L’espressione presunta “consapevolezza cristiana” è di Luca Boschi, Se Homer e Bart sono cattolici, gli altri fumetti di che religione sono? Il catalogo è questo (www.ilsole24ore.com), 21.10.2010.

[17] Vedi ad esempio Adrien C. Miqueu, Religions, Beliefs and Superstitions in Duckburg, 2009. Miqueu nota che ci sono vari riferimenti al Vecchio Testamento e ne deduce una propensione verso il cristia- nesimo, ma nelle varie storie ci sono riferimenti a tutte le mitologie, proprio tutte, perché tutte fanno parte del patrimonio culturale.

[18] In grassetto nel testo originale.

[19] Andrea Tosti, Perché Topolino deve vivere il presente, caro Buttafuoco, in Fumettologica, online, 2.02. 2015.

[20] Cfr. Walt Disney e il cristianesimo (in https://laluceinsala.wordpress.com), in cui si riferisce che Disney era “allergico alla chiesa come istituzione”.

[21] Cfr. Luca Boschi, art. cit.

[22] L’abbondanza e la precisione dei riferimenti storici, scientifici, botanici e linguistici è sorprendente e Rosa ne va fiero. Cfr. Ettore Gabrielli, art.cit.

[23] Frank Stajano, Intervista a Don Rosa, 21.08.2009 (http://comicspodcast.blogspot.it).

[24] Cfr. Ettore Gabrielli, art.cit.

[25] Cfr. Fabio Bettani, La scienza su “Topolino” nel decennio 2001-2010, tesi in Master della comunicazione della scienza, anno accademico 2011/12, reperibile online.

[26] Con spunti comici. A Quo che dice “Gli indiani hanno inventato il concetto dello zero”, Paperone risponde: ”Vostro zio Paperino lo apprezzerebbe. In quale altro modo potrebbe quantificare la propria vita?”.

[27] Tertulliano, De praescriptione hereticorum, 7,12,145.

[28] L’argomento è ben sviluppato da Maurizio Bettini, Elogio del politeismo, Bologna, Il Mulino, 2014, pp. 65-75.

[29] Sul paradosso linguistico delle religioni monoteistiche che hanno reso nome proprio quello che era un nome comune, vedi Maurizio Bettini, op. cit., pp. 57-63.

[30] Giulio Giorello, La filosofia di Topolino, Parma, Guanda, 2014. Le espressioni citate sono alle pp. 216-219.

[31] Vedi Stefano Marullo, A proposito della filosofia di Topolino.

 


 

Elena Corna, laurea in storia greca (UniFi) e diploma di guida ambientale, insegnante di daoyin, attiva presso il Circolo UAAR di Firenze, si occupa di divulgazione della cultura in modalità ludica.

Da L’ATEO 4/2016