La violenza della Parola di Dio nei Testi Sacri

di Giuseppe F. Merenda
 

Chi facendosi vincere dalla bramosia dello studioso volesse andarsi a cercare la Parola di Dio nei Testi Sacri delle religioni più diffuse (in ordine alfabetico: Buddhismo, Confucianesimo, Cristianesimo, Ebraismo, Induismo, Islamismo, Mazdaismo, Shintoismo, Sikhismo e Taoismo) si accorgerebbe di essere di fronte a una impresa impossibile, ovverosia al doversi perdere (ammesso di aver superato le difficoltà linguistiche) nella lettura di migliaia di testi assolutamente ponderosi, considerando che il solo Canone Tibetano della religione buddhista è suddiviso in due raccolte: il Kangyur di 600 testi in 98 volumi e il Tanjur di 3.626 testi in 224 volumi o in 333 volumi in una edizione più completa.

Più facilmente si può risalire al periodo in cui i Testi Sacri sono stati scritti. Così per i Veda si può dire con quasi certezza che il Mahabbarata fu scritto nel 3.100 a.C.; il Ramayana nel 4.300 a.C. e il Manu addirittura nel 6.776 a.C. Queste date sono confermate dagli avvenimenti astronomici che per forza debbono essere stati visti da chi li ha descritti. Il Rigveda, infatti, riporta una ellissi centrale di sole che è stata datata dagli astronomi il 26 luglio del 3928 a.C. [1].

Per quanto riguarda le date di trascrizione della Bibbia le ipotesi sono più aleatorie, perché il Libro dei Libri è privo di riferimenti astronomici circostanziati e i calcoli sono molto più approssimativi. Sappiamo però che i popoli della Mesopotamia e gli Egizi nel quarto millennio della E.V. avevano cominciato a trascrivere testi storici, religiosi e letterari su tavolette di creta utilizzando inizialmente la scrittura pittografica e poi quella cuneiforme A tutt’oggi sono state portate alla luce circa due milioni di tavolette cuneiformi e ogni anno se ne rinvengono di nuove, per cui dato che solo un decimo delle iscrizioni cuneiformi rinvenute sono state tradotte [2] è possibile che fra le tavolette indecifrate vi siano anche i primi testi della Bibbia vergati dai contemporanei di Mosè e di Giosuè all’incirca 3.500 anni fa [3], dopo che per un periodo di tempo di 1.000/1.500 anni i racconti, le leggi, le profezie e i salmi erano stati tramandati oralmente [4].

L’individuazione della data di scrittura dei Testi Sacri origina dalla curiosità di sapere quando Dio ha iniziato a parlare all’uomo e quando l’uomo ha cominciato a fissare su materiale non neuronale la sua parola, perché, come affermano i rappresentanti di quasi tutte le religioni, i Testi Sacri sono d’ispirazione divina e dunque contengono la trascrizione della Parola di Dio. Prova ne sia che nell’Antico Testamento i capitoli iniziano con la frase «Il Signore disse…» riferita a Yahweh; che i Canoni Buddhisti iniziano con l’espressione «Così ho udito…» riferita al Buddha Sakyamuni e che nel Nuovo Testamento sono di frequente riscontro le parole «In verità, in verità vi dico…» assegnate al Figlio di Dio.

Sulla base delle attuali conoscenze possiamo pertanto concludere che dopo due milioni e mezzo di anni di evoluzione Dio parlò all’uomo per la prima volta circa 5.000 anni fa e, restringendo la ricerca per le difficoltà di lettura sopra accennate ai testi delle tre religioni abramitiche, possiamo anche affermare che la Parola di Dio fu per la prima volta ufficialmente trascritta nero su bianco in lingua ebraica sul Pentateuco. E in quella occasione il Signore era molto arrabbiato: «Sterminerò dalla terra l’uomo che ho creato, con l’uomo anche il bestiame e i rettili e gli uccelli del cielo perché sono pentito di averli fatti» (Genesi 6,7).

Yahweh, il Signore-Dio della Bibbia, si era pentito. Inutilmente bestiame, rettili e uccelli protestarono dichiarandosi innocenti. L’Onnipotente scatenò il Diluvio Universale e poi, ripentitosi, diede una chance di salvezza agli uomini e agli animali facendoli stipare dentro una barca. Fatica inutile, perché il mondo ritornò punto e a capo, e così accadde che a Sodoma due angeli emissari del Signore dovettero subire delle umilianti attenzioni da parte degli abitanti. La reazione di Dio fu nuovamente assai violenta: «Il Signore fece piovere sopra Sodoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco proveniente dal Signore. Distrusse queste città con tutta la valle, con tutti gli abitanti delle città e la vegetazione del suolo» (Genesi 19,24).

Una strage terribile, eppure gli uomini dimenticarono presto la lezione. In particolare gli Egiziani continuarono a vessare gli Israeliti migrati nelle loro terre. L’Altissimo intervenne a difesa del suo popolo prediletto e mandò ai reprobi egizi nove piaghe atroci, sopratutto la prima caratterizzata da fiumi, canali, stagni e raccolte d’acqua che divennero sangue. Yahweh, non pago e non contento, travolse e affogò nel Mar Rosso l’esercito del Faraone (Esodo 7,19 e 14,27), però a quel punto capì che doveva dettare agli uomini dei comandamenti, delle leggi di buona condotta. Scese sul monte Sinai, che per l’occasione divenne «tutto fumante perché su di esso era sceso il Signore del Fuoco» (Esodo 19, 18) e parlò con voce di tuono a Mosè. Gli dettò 17 comandamenti (Esodo 20,1-17). Mosè si attivò a inciderli su due tavole di pietra ma poi in uno scatto d’ira ruppe le tavole, per cui Yahweh, molto pazientemente, fu costretto a ridettargli i comandamenti aggiungendone altri quattro di modo che divennero 21 (Deuteronomio 5, 6-21). Ai nostri giorni i comandamenti, in seguito a varie vicissitudini, si sono ridotti a 12.

Dovendo in questo articolo trattare solo il tema della violenza è il caso di soffermarsi sul comandamento che più interessa questa materia, ossia sul comandamento del “Non ammazzare” che in Deuteronomio occupava la 17 posizione, in Esodo la 13 e che oggi nella versione diffusa nel contesto cattolico è risalito al 5° posto. Il “Non ammazzare” sarebbe il più importante dei comandamenti se obbiettivamente non fosse inapplicabile, perché tutti gli esseri viventi per vivere debbono mangiare e quindi dovendo mangiare debbono ammazzare. Ciononostante Yahweh vi ha aggiunto degli emendamenti, delle postille e delle eccezioni che lo hanno ancora di più relativizzato: «Uccidi chiunque abbia una religione diversa dalla tua» (Deuteronomio 17, 2-7). «Uccidi tutti quelli che adorino altri Dèi» (Esodo 22,20; Deuteronomio 13, 6-10). «Uccidi tutti gli abitanti delle città dove andrai che adorino altri Dèi» (Deuteronomio 13, 12-16). «Passate e ripassate dall’accampamento da una porta all’altra: uccida ognuno il proprio fratello, ognuno il proprio amico, ognuno il proprio parente» (Esodo 32,27). «Non lascerai vivere colei che pratica la magia» (Esodo 22,17).

Le eccezioni e le controindicazioni al “Non ammazzare” non si fermano qui. Il Dio degli Ebrei ha ordinato ai suoi seguaci di estendere la pena di morte anche agli omicidi colposi e preterintenzionali: «Colui che colpisce un uomo causandone la morte sarà messo a morte» (Esodo 21,12).

E guai a chi osa lamentarsi e protestare: «Ora il popolo cominciò a lamentarsi malamente agli orecchi del Signore. Li udì il Signore e il suo sdegno si accese. E il fuoco del Signore divampò in mezzo a loro» (Numeri 11,1). E guai a chi osa mormorare. Yahweh sentendo il popolo mormorare contro Mosè e Aronne, suoi rappresentanti sulla terra, intervenne con una punizione feroce. La sua ira divampò incontenibile, inviò un flagello tremendo e «quelli che morirono in quel flagello furono quattordicimilasettecento» (Numeri 17,14).

Non solo Yahweh impone ai suoi seguaci di uccidere chiunque abbia una religione diversa, ma si gloria del merito di sterminare i miscredenti. Questa è la differenza importante fra Yahweh e Allah: il dio dei Mussulmani nel Corano incita i suoi ad ammazzare i nemici; il dio degli Ebrei e dei Cristiani nell’Antico Testamento, oltre a incitare i suoi, è lui stesso che dà l’esempio compiendo delle carneficine: «Quando il Signore, tuo padrone, avrà sterminato davanti a te le genti del paese in cui stai per entrare in possesso, allorché tu lo occuperai e lo abiterai, guardati bene dal cadere nel laccio: non farti loro seguace dopo che quelle saranno state annientate davanti a te; non cercare i loro dèi…» (Deuteronomio 12, 29-31).

Se riflettiamo attentamente su queste parole del Signore-Dio riportate nel Deuteronomio, vi troviamo gli stessi precetti che i fondamentalisti islamici hanno estratto dal Corano: conquistare le terre degli infedeli e sgozzarli se continuano a credere nei loro dèi. «Non c’è alcuna differenza fra Bibbia e Corano», ha asserito seraficamente Jorge Bergoglio il 20/12/2015 a Roma, parlando di tolleranza religiosa in un ecumenico “volemose bene”. «Per secoli, il sangue è stato versato inutilmente a causa del desiderio di separare le nostre fedi… Insieme, siamo in grado di determinare un periodo di pace senza precedenti… Corano e Bibbia sono due facce di una stessa medaglia, di uno stesso Dio…».

Il papa dal pugno facile ha ragione. Su due punti la Bibbia e il Corano concordano: la predicazione dell’odio e lo scontro fra bene e male. Ritorniamo a leggere la parola di Allah: «Uccidete chi vi combatte ovunque li incontriate, e scacciateli da dove vi hanno scacciati: la persecuzione è peggiore dell’omicidio» (Corano 2,191). «Vorrebbero che foste miscredenti come lo sono loro e allora sareste tutti uguali. Non sceglietevi amici tra loro, finché non emigrano per la causa di Allah. Ma se vi volgono le spalle, allora afferrateli e uccideteli ovunque li troviate. Non sceglietevi tra loro né amici, né alleati» (Corano 4,89).

Parole taglienti e chiarissime per tutti. Non possumus. I Mussulmani non possono essere miscredenti come i Cristiani, non possono accettare la loro rilassatezza di costumi. Gli imam, veri sacerdoti, non possono diventare crapuloni e pederasti come i preti. I Mussulmani, veri credenti, non possono trasgredire i comandamenti del loro profeta, il vero profeta, per correre sotto la bandiera gialla del Vaticano. Al massimo possono intrupparsi dietro la bandiera nera dell’IS. E se ci fossero dei dubbi ecco come Allah ribadisce il concetto: «Altri ne troverete che vogliono essere in buoni rapporti con voi e con la loro gente. Ogni volta che hanno occasione di seduzione, vi si precipitano. Se non si mantengono neutrali, se non vi offrono la pace e non abbassano le armi, afferrateli e uccideteli ovunque li incontriate» (Corano 4,91).

Le parole di Allah non sono diverse dalle parole che Yahweh dice a Mosè sul monte Sinai: «Trattate i Madianiti da nemici e uccideteli, perché essi vi hanno trattati da nemici con le astuzie mediante le quali vi hanno sedotti…» (Numeri 25,17-18).

Concordemente il dio degli Ebrei e il dio degli Israeliti hanno detto: «Non lasciatevi sedurre dai nemici», quindi è assolutamente inutile tentare di blandire gli appartenenti all’altra fede. Non lo permettono le parole che ciascuna Divinità ha voluto fossero eternate sul suo Testo. Del resto è palese che per ognuna delle tre religioni abramitiche tutto ciò che non rientra nei canoni deve essere espulso o ucciso perché è pericolosissima fonte di contagio e di contaminazione. Ecco dell’altra violenza nelle parole di Yahweh: «Il Signore disse a Mosè. Uccidete ogni maschio fra i fanciulli e uccidete ogni donna che si è unita con un uomo, ma tutte le fanciulle che non si sono unite con uomini conservatele in vita per voi» (Numeri 31,15-18).

Quello che Allah fa scrivere nel Corano non è molto più tenero: «La ricompensa di coloro che fanno la guerra ad Allah e al Suo Messaggero e che seminano la corruzione sulla terra è che siano uccisi o crocifissi, che siano loro tagliate la mano e la gamba da lati opposti o che siano esiliati sulla terra: ecco l’ignominia che gli toccherà in questa vita; nell’altra vita avranno castigo immenso» (Corano 5,33). «Getterò il terrore nei cuori dei miscredenti: colpiteli tra capo e collo (decapitateli), colpiteli su tutte le falangi!» (Corano 8, 12). «Non siete certo voi che li avete uccisi: è Allah che li ha uccisi…» (Corano 8,17).

Uccidere degli infedeli nel nome di Allah non è omicidio perché è Allah in persona che li uccide. La stessa cosa dirà (nel suo piccolo) cinque secoli dopo Bernard de Clairvaux: «Uccidere un mussulmano non è un omicidio ma è un malicidio». Per cui prima di andare a cercare le motivazioni e le spiegazioni delle stragi terroristiche cerchiamo di riflettere su quello che è stato scritto sulla Bibbia e sul Corano: «Quando poi siano trascorsi i mesi sacri, uccidete questi associatori ovunque li incontriate, catturateli, assediateli e tendete loro agguati. Se poi si pentono, eseguono l’orazione e pagano la decima, lasciateli andare per la loro strada. Allah è perdonatore, misericordioso» (Corano 9,5).

Allah il misericordioso ribadisce che esistono delle ragioni assolutamente valide per uccidere: «Quando (in combattimento) incontrate i miscredenti, colpiteli al collo (decapitateli) finché non li abbiate soggiogati, poi legateli strettamente. In seguito liberateli graziosamente o in cambio di un riscatto, finché la guerra non abbia fine. Questo è (l’ordine di Allah). Se Allah avesse voluto, li avrebbe sconfitti, ma ha voluto mettervi alla prova, gli uni contro gli altri. E farà sì che non vadano perdute le opere di coloro che saranno stati uccisi sulla via di Allah» (Corano 47:4).

In questa frase, una delle tante frasi ambigue che si riscontrano nella Bibbia e nel Corano, è difficile comprendere come si possano liberare i miscredenti “dopo averli decapitati”. Si capisce bene, invece, che i Cristiani se la sono cercata perché hanno “dimenticato” quello che il primo profeta Gesù aveva loro detto: «Con coloro che dicono: “Siamo cristiani”, stipulammo un Patto, ma essi dimenticarono una parte di quello che era stato loro ricordato. Suscitammo tra loro odio e inimicizia fino al Giorno della Resurrezione. Presto Allah li renderà edotti su quello che facevano» (Corano 5:14).

Chiudo l’articolo riportando come la violenza è stata espressa nel Nuovo Testamento e ascoltando come risuona la parola del figlio di Dio fra le pagine del Vangelo: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra. Non sono venuto a portare la pace, ma una spada. Sono venuto infatti a mettere in lotta il figlio contro il padre, la figlia contro la madre, la nuora contro la suocera, e i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa» (Matteo 10, 34-36). «Gesù entrò poi nel Tempio e scacciò tutti quelli che vi trovò a comprare e a vendere; rovesciò i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe» (Matteo 21,12-13).

Da sempre e volutamente i rapporti fra violenza e religione sono stati trascurati. Solo di recente gli studi di René Girard hanno cominciato a esplicitare la ferocia di certi passi dei Libri Sacri [5]. Le religioni ponendosi come verità assolute generano violenza, principalmente perché gli adepti ritengono che la verità assoluta è assolutamente dalla loro parte essendo stata rivelata dalla loro “divinità”, tuttavia la cosa più sconcertante è che molto spesso i massimi esponenti delle principali fedi religiose ipocritamente fanno finta di non avere letto quello che il loro dio gli ha dettato.

Gli imam dicono: «L’Islam è la religione della pace, non della violenza…». Bergoglio insiste: «Nessuno può uccidere in nome di Dio…». Ma Yahweh, Dio, Allah e Gesù hanno raccomandato proprio l’opposto! Il Verbo si è fatto sangue…

Note

[1] Marie Christine Sclifet, Astrologiè Vedique, Web 2002.

[2] Archaeology Odyssey, Sett/Ott 2004. Vol. 7. N. 5, Birth of Narrative Art.

[3] T. Desmond Alexander, David V. Baker, Dictionary of the Old Testament Pentateuch, Downers Grove, InterVarsity Press 2002.

[4] K.A. Kitchen, On the Reliability of the Old Testament, Paperback 2006.

[5] René Girard, La violence et le sacré (1972), trad. it. La violenza e il sacro, a cura di Ottavio Fatica e Eva Czerkl, Adelphi, Milano 1980.

 


Giuseppe F. Merenda, psichiatra e psicoterapeuta, è l’autore di Francino, l’altra storia di Francesco d’Assisi; L’uomo che gustò la morte, l’altra storia di Gesù da Nazareth; Santuzze e Santuzzi; Storie di cani e di umani. È socio del Circolo UAAR di Venezia.

Da L’ATEO 2/2016