Osservazioni UAAR sulla Carta dei Diritti Europea

di Vera Pegna

 

L’Unione europea - che, fino a poco tempo fa, si è occupata quasi esclusivamente di questioni economiche - punta ormai a diventare un’unione politica. Dopo l’adozione del Trattato di Maastricht e del “patto di stabilità”, che hanno notevolmente ristretto i margini di manovra dei governi nazionali in campo di politica economica; dopo l’istituzione della Banca Centrale Europea, che ha messo fine alla sovranità monetaria dei paesi membri; i sindacati hanno chiesto con insistenza l’adozione di un’“agenda sociale” vincolante e di una Carta dei diritti fondamentali basata sui principî della piena occupazione, del rispetto del servizio pubblico, della supremazia dell’interesse generale e della solidarietà. Stabilire il patrimonio comune dei diritti inviolabili che gli stati membri s’impegnano a rispettare è il primo passo che conduce alla futura Costituzione europea.

Per i dirigenti di Bruxelles - ma anche per i governi e per le forze politiche nazionali - la decisione, presa a Colonia nel 1999, di dotare l’Unione europea di una Carta dei diritti fondamentali rappresentava una grande occasione per valutare lo spessore della nostra democrazia e insieme arricchirla di una nuova dimensione. Una grande occasione per coinvolgere i cittadini europei nella costruzione dell’Europa unita, in particolare alla vigilia dell’allargamento ai paesi dell’est europeo. Ma è stata colta, questa occasione? Sono stati coinvolti i cittadini? Sembra proprio di no. Sembra che nessuno dei governi europei abbia voluto muoversi in questo senso. In Italia, né la Camera né il Senato ha ancora dedicato una sola seduta alla discussione della Carta che dovrebbe essere approvata alla Conferenza Intergovernativa di Nizza a dicembre. C’è da temere quindi che ci cadrà addosso dall’alto, bell’e pronta, senza che ai cittadini europei sia data la possibilità di scegliere se prenderla o lasciarla.

La Convention, ossia la commissione incaricata di preparare la Carta, ha proceduto ad alcune consultazioni. Sono state ascoltate le organizzazioni padronali e le confederazioni sindacali ed è di questi giorni la notizia che i sindacati sono riusciti a introdurre nella Carta un diritto fondamentale che mancava: nientemeno che il diritto di sciopero. Numerose associazioni di cittadini, la cosiddetta “società civile”, hanno espresso il proprio punto di vista in merito ai diritti che di più corrispondono alla loro sensibilità. La Federazione umanista europea (FHE/EHF) è riuscita a ottenere che «la libertà di sposarsi e di fondare una famiglia» diventassero due diritti distinti e, per il suo tramite, l’UAAR ha chiesto che fosse menzionata esplicitamente la laicità delle istituzioni europee e, nell’articolo 10 sulla Libertà di pensiero, di coscienza e di religione, laddove viene indicata la libertà di cambiare religione o convinzione, che fosse aggiunta anche la libertà di non credere, che figura per esempio nella Costituzione spagnola. Quella francese non soltanto afferma il carattere laico della Repubblica ma stabilisce altresì il divieto di esporre simboli religiosi negli edifici pubblici. Mentre noi italiani, per salvaguardare la laicità delle nostre istituzioni, siamo costretti a lanciare una campagna fra i cittadini per scrocifiggere l’Italia!

La Carta dei diritti è preceduta da un Preambolo. Preambolo che fino a qualche giorno fa si limitava ad affermare i grandi principi che figurano nelle costituzioni di tutti gli stati di diritto. Ma l’ultima bozza presentata l’11 settembre dal Presidium o Ufficio di Presidenza contiene una brutta novità. La frase che richiamava il patrimonio culturale e le tradizioni dell’Unione europea è stata sostituita con la seguente: «Ispirandosi al suo retaggio culturale, umanistico e religioso, l’Unione si fonda sui principi indivisibili e universali di dignità della persona, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà…». Il richiamo alla religione è grave e inquietante. Nessuno nega che la cultura dei popoli europei sia impastata di elementi religiosi ma il richiamo specifico alla religione nel Preambolo della futura Costituzione europea, con l’ipoteca che ciò comporta da parte delle autorità ecclesiastiche, significa ritornare indietro nei secoli, rimettere in gioco le conquiste di uguaglianza fra i cittadini, consolidare privilegî ed esclusioni e quindi preparare un terreno fertile per tensioni e conflitti in futuro. Significa spegnere il “lume della ragione”. D’altronde, non è la prima volta che la COMECE, la Conferenza dei vescovi europei, cerca di imporre il suo punto di vista. Anche sui singoli articoli della Carta riguardanti la vita, la libertà di pensiero, la famiglia e l’educazione non sono mancate le sue proposte limitative e viete. Ma è l’intera bozza della Carta e non solamente il Preambolo che ha suscitato vivaci critiche. Perfino la moderata CES, la Confederazione europea dei sindacati, ha dichiarato il proprio disappunto, mentre il Forum permanente della società civile l’ha bocciata in quanto la considera minimalista e incompiuta.

Pertanto la partita è aperta e richiede la massima vigilanza e mobilitazione. Non sappiamo come reagiranno i nostri eletti al Parlamento italiano e a quello europeo. L’UAAR ha stabilito un primo contatto con quelli coinvolti direttamente, seppure in misura diversa, nel gruppo di lavoro Convention. Sono quattro:

 

  • L’On. Elena Paciotti, deputata al parlamento di Strasburgo. Coordina gli articoli della Carta relativi ai diritti fondamentali.
  • L’On. Stefano Rodotà rappresenta il Capo del Governo italiano.
  • L’On. Andrea Manzella rappresenta il Senato della Repubblica.
  • L’On. Pietro Melograni rappresenta la Camera dei Deputati.

Riportiamo qui i loro nomi affinché chiunque li conosca o sia in grado di fare sentire la propria voce presso di loro lo faccia al più presto.

 

La bozza della Carta dei diritti fondamentali si trova sul sito ue.eu.int.