Ateismo e presidenziali negli Stati Uniti

a cura di Lorenzo Lozzi Gallo

Secondo uno studio dell’istituto Gallop (la Doxa americana), gli atei sono la categoria verso la quale la maggior parte della popolazione diffiderebbe in caso di votazioni presidenziali: mentre il 37% della popolazione sarebbe contraria alla candidatura di un omosessuale (la seconda categoria più discriminata), ben il 48% contrasterebbe l’elezione di un ateo, mentre il 49% si dichiara a favore.

Tutti i quattro candidati alla presidenza e vicepresidenza hanno fatto commenti inquietanti basati sulla fede. Il senatore Lieberman (candidato alla vicepresidenza di Al Gore) ricorda che la costituzione garantisce «Libertà di religione, non libertà dalla religione» e il suo candidato presidente non è da meno: nel maggio del 1999, Gore ha lanciato la sua fede di «nuova partnership», in cui ha tuonato contro il «vacuo secolarismo» e annunciato «credo fermamente nella separazione tra stato e chiesa. Ma la libertà di religione non significa libertà dalla religione: c’è un modo migliore». Inoltre, Lieberman ha raccolto citazioni dei padri fondatori distorcendone il significato (come John Adams: «la nostra Costituzione fu creata solo per un popolo morale e religioso», senza considerare che in una lettera a Thomas Jefferson, lo stesso Adams affermava: «questo sarebbe il migliore dei mondi possibili, se non ci fosse la religione»). In questa rincorsa verso la religione come strumento elettorale, dunque, l’uniformità tra democratici e repubblicani appare evidente. C’è da ricordare che, in febbraio, in un’intervista a Newsweek, Al Gore aveva detto che l’elezione di un ateo alla Casa Bianca non lo avrebbe scandalizzato perché «credo che qualcuno possa comprendere la nostra Costituzione e il vero spirito di tolleranza senza affermare un credo specializzato e particolare in Dio. È necessario per tutti coloro che affermano il rispetto della tolleranza».

(dal sito di American Atheists, 12 agosto 2000)