Nella biblioteca UAAR non poteva mancare la segnalazione di un vero e proprio classico: a dirla tutta, l’unico testo veramente fondamentale che abbia prodotto il nostro Paese sulla storia dei rapporti tra Stati e Chiese. E questo nonostante indubbiamente risenta dell’epoca in cui fu scritto: solo quattro anni prima della madre di tutte le leggi laiche, quella francese del 1905. Un’epoca di fortissime contrapposizioni, come ricorda l’autore: «tutte quante le Chiese non vogliono sentir parlare di una qualunque libertà per gli atei e in genere per i liberi pensatori. Questi, dal canto loro, non hanno punto come intento supremo quello di propugnare e di conseguire una libertà uguale per chi non crede come per chi crede». Oggi i tempi sono cambiati… o forse sono cambiati solo in parte, perché l’annotazione di cui sopra si adatta, ancora oggi, molto di più ai leader religiosi.
In questa contrapposizione, Ruffini riaffermò con forza che «la libertà religiosa non prende partito né per la fede, né per la miscredenza»: ma riaffermando nel contempo che «l’esistenza di uno Stato confessionale […] non si conviene più allo Stato moderno», e che la libertà religiosa (più propriamente “libertà di coscienza, o di fede, o di confessione”) consiste nella «facoltà dell’individuo di credere a quello che più gli piace, o di non credere, se più gli piace, a nulla». Una definizione, come si può notare, assai ardimentosa per l’epoca in cui fu scritta, e non solo per quella: la stessa Costituzione italiana, di quasi mezzo secolo successiva, non citò esplicitamente la libertà di non credere, e fu necessario attendere la Corte Costituzionale, nel 1979, per il riconoscimento formale di tale diritto.
Il testo è un lungo excursus storico che, partendo dall’antichità classica e dall’intolleranza cristiana, si sofferma sulla nascita, lo sviluppo e l’applicazione concreta dell’idea in età moderna, Stato per Stato, fino agli albori del XIX secolo. Un’idea che, come ricorda Ruffini, ha avuto una genesi italiana, grazie ai senesi Sozzini, ma che è stata costretta, ancora una volta, a trovare nella “fuga” all’estero la possibilità di un’applicazione pratica. Un’idea che ha permesso ai non credenti di uscire dalle catacombe in cui erano stati rinchiusi dall’intolleranza cattolica.
Dalla larghissima messe di informazioni presentate nel testo è possibile estrarre qui e là notizie preziose sul durissimo trattamento legislativo che ha contraddistinto la loro storia europea, tanto da far affermare all’autore che «l’ateismo non riesce neppure oggidì a trovare grazia», anche perché i non credenti, difettando «di una qualunque organizzazione, non solamente non profittano del separatismo, ma rimangono isolati ed indifesi di contro alle diverse associazioni religiose organizzate, le quali sotto la salvaguardia del regime separatistico hanno troppo buon gioco a spiegare il loro spirito di intolleranza». Non esisteva ancora l’UAAR…
È questo un libro che trabocca dello spirito civico del suo autore. Francesco Ruffini, uno dei soli sei senatori a votare contro l’approvazione dei Patti Lateranensi e uno dei soli dodici docenti universitari, su oltre 1.200, a rifiutarsi di giurare fedeltà al fascismo: meriterebbe di essere ricordato a prescindere dalla sua opera più influente. Ma chi ha ancora oggi a cuore le sorti della laicità dello Stato, e crede fermamente all’uguaglianza di tutti i cittadini indipendentemente dalle loro opinioni in materia religiosa, non può lasciarsi sfuggire la lettura di questo libro, ulteriormente arricchito da un’introduzione di Arturo Carlo Jemolo e da una postfazione di Francesco Margiotta Broglio.
Raffaele Carcano
maggio 2007