Giovani in fuga dall’ora di religione

Scuola e Vangelo: Sono sempre di più i ragazzi che si fanno esonerare.
Per il filosofo Giovanni Reale è una non scelta

di Aurora Gabbiani

Quest’anno, tutti - o quasi - a «lezione di nulla». È la sconsolata ammissione di monsignor Giovanni Giavini, responsabile del servizio per l’insegnamento della religione cattolica della diocesi di Milano, che commenta i dati, diffusi dal Provveditorato provinciale e confermati dalla Curia ambrosiana, per cui più di uno studente su due, nelle scuole di Milano, sceglie di non avvalersi dell’insegnamento del catechismo a scuola (ma in alcune scuole superiori si sfiora il 60 per cento delle rinunce e in 182 classi non ci sono alunni che scelgono il catechismo). E, piuttosto che seguire lezioni alternative o trascorrere un’ora di studio individuale, oltre il 70 per cento degli studenti non ha dubbi: meglio un po’ di più a letto, o tornare prima a casa. Chi non sceglie la religione cattolica, sceglie il nulla, appunto.

L’analisi milanese conferma i dati nazionali: l’emorragia all’ora di religione a scuola è in aumento. Iniziata a metà degli anni ’90, quando una sentenza della Corte Costituzionale diede la facoltà, a chi non voleva mettere il Vangelo fra i libri di testo, di uscire prima, oggi ha raggiunto picchi elevati. Non in tutte le regioni, naturalmente, ma la media non è incoraggiante. A denti stretti, lo ammette anche la CEI. Don Giavini attribuisce la responsabilità alla «secolarizzazione progressiva della società» (Giovanni Reale, docente di Storia della filosofia antica all’Università “Vita e Salute” del San Raffaele, parla invece di «accentuato nichilismo consumista»). Un “suo” insegnante, Alberto Giannino (che è anche presidente nazionale della Associazione dei docenti cattolici), attribuisce invece all’«immobilismo e alla rassegnazione» del sacerdote la vera colpa, ma anche al modo di vivere dei giovani che «scelgono il sesso sfrenato e aspettano il sabato sera per bere alcolici e sballarsi». Poca consolazione, se poi lo stesso docente rileva che «solo i giovani dei movimenti ecclesiali e dell’Azione Cattolica sono credenti praticanti». Certo, forse si tratta di scaramucce “fraterne”. Ma c’è da preoccuparsi se anche nel feudo di Comunione e Liberazione, il liceo classico “Berchet” di Milano, 678 studenti su 1210 escono all’ora di religione. E in Italia il problema non cambia. Anzi, a detta dello stesso don Giavini, il cardinale Dionigi Tettamanzi non è tranquillo.

In realtà, nonostante le rassicurazioni delle fonti ufficiali di Chiesa, il problema è serio. L’ultimo annuario del servizio nazionale per l’IRC, recentemente divulgato, parla chiaro: si registra «una lieve crescita nelle percentuali di non avvalentisi», ammettono a Roma. Ma, a spulciare i dati, il quadro complessivo dice molto di più. Se, infatti, la media nazionale di studenti che non fanno catechismo a scuola è del 7,3 per cento, le scuole superiori fanno registrare un numero di disaffezioni che si aggira intorno al 14 per conto, con punte elevatissime del 17 per cento in Toscana, che si riconferma la “regione anarchica”, in Piemonte e in Lombardia, mentre raggiungono i migliori risultati per la frequenza gli studenti di Basilicata, Campania e Calabria. Anche se la frequenza è confortante nelle scuole del Centro e del Sud, questo risulta essere comunque l’anno, fra gli ultimi 10, in cui l’affluenza attorno al Vangelo è più bassa. Gli studenti meno allineati con le indicazioni del Vaticano sono gli alunni degli Istituti Professionali, mentre i più diligenti (e non poteva essere altrimenti) sono i bambini delle scuole materne. Cosa fanno i ragazzi che non scelgono religione? Quasi la metà preferisce uscire da scuola. E la CEI denuncia «l’assenza di valide alternative didattiche», oltre al «crescente indebolimento (nelle materne, ndr) dei docenti disponibili e idonei». Sarà che, come ammette il presidente dell’Associazione nazionale insegnanti di religione, Sergio De Carli, i ragazzi non scelgono l’ora di catechismo a scuola essenzialmente per una «questione di privacy portata all’estremo, per cui si ha paura di mettere in piazza il proprio più intimo», anche se è «assurdo che la scuola garantisca l’ignoranza», permettendo allo studente di uscire prima («il richiamo del corridoio è più forte di quello dell’insegnamento», concorda don Bruno Porta, responsabile per Torino). Sarà anche che, le città con picchi elevati di astensione sono poi quelle con un maggior numero di immigrati (a Torino sono 3000 gli alunni extracomunitari: soprattutto islamici, buddhisti e taoisti). Ma la situazione è comunque grave, se anche città “tranquille” come Piacenza e Como registrano un calo, e se a Trento l’astensione è aumentata del 4 per cento rispetto all’anno scorso.

Non mancano, per questo, appelli a riconfigurare l’insegnamento della religione cattolica come insegnamento della storia delle religioni. Ma, a parte che le modifiche concordatarie del 1984 non lo prevedono, c’è anche chi, come il filosofo Reale (che ha iniziato la sua carriera proprio insegnando religione), avverte: «Se non si ha un’identità propria, non si capisce niente». Leggermente migliore è, invece, la situazione a Roma ma lì, come ammette il sociologo De Rita, si tratta di «una città cattolica, con un’identità di pensiero fra l’essere romani e l’essere cattolici». Fuga dall’ora di religione, dunque? Pare di sì. E a nulla serve che, con il Vangelo in mano, invece di monsignori in talare ci sono graziose signorine (oltre il doppio dei colleghi maschi). Di questo passo, se anche i laici non riescono a catturare l’interesse dei ragazzi, che preferiscono uscire prima di scuola e perdere tempo, l’ora di religione diventerà lezione di “passeggiamento”.

L’Indipendente, 24 novembre 2004