L’[in]esistenza di Dio: gli argomenti dei non credenti

L’ASSENZA DI EVIDENZE
IL RASOIO DI OCCAM
LA NON CREDENZA
LA PLURALITÀ DELLE RELIGIONI E DEGLI DEI
NESSUN MOTIVO
L’INGIUSTIZIA
LA SPROPORZIONE DELLA PENA
IL DOLORE E IL MALE (TEODICEA)
L’INCOERENZA DEGLI ATTRIBUTI DIVINI
LA COMPLESSITÀ DI DIO
LE NEUROSCIENZE

L’ASSENZA DI EVIDENZE

LA TESI. L’ateismo nasce, si può dire costitutivamente (la –a privativa del nome), come confutazione delle pretese dei credenti che Dio esista: benché, per essere atei, sia più che sufficiente non essere persuasi dell’esistenza di Dio. Si è quindi caratterizzato a lungo per dare una fondamentale importanza alla parte critica, piuttosto che alla formulazione di argomenti “positivi” in favore della miscredenza.
Così facendo, gli atei ritengono che l’assenza di evidenze a favore dell’esistenza di Dio prodotte dai credenti, a cui spetta l’onere della prova, sia già un argomento sufficiente per negare qualsiasi entità sovrannaturale (così come, per gli agnostici, è già un argomento sufficiente per non esprimersi affatto sulla questione). Come ha sostenuto Cristopher Hitchens citando Euclide, «ciò che può essere asserito senza prove concrete può essere anche rifiutato senza prove concrete». Se per credere in Dio bisogna rinunciare alla ragione, e sostenere che la ragione umana è troppo presuntuosa, quando pretende di dire la sua su questioni che «la ragione stessa non può dimostrare», allora si può teoricamente credere a qualunque cosa, anche a una teiera di porcellana orbitante tra la Terra e Marte (Bertrand Russell).
È una posizione simile a quella della scienza, secondo la quale non bisogna prendere per veritiere asserzioni completamente prive di evidenze: è teoricamente possibile, ad esempio, che esistano esseri extraterrestri con una lunga proboscide fatta a forma di trombetta, ma l’infinitesimale possibilità che ciò possa essere reale non è una valida ragione per crederla vera.
Molti atei sostengono inoltre che la scienza è competente a intervenire sulle questioni religiose: se si pretende che la divinità interagisca con la sfera materiale (ad esempio con i miracoli), allora la scienza ha tutte le credenziali per studiare la congruità dell’affermazione.
Da un punto di vista logico, infine, si è anche sostenuto (Ayer) che tutte le asserzioni su Dio sono letteralmente prive di significato, in quanto nulla può valere come verifica della loro verità o falsità. Non si prova l’esistenza di qualcuno, ma la si constata.

LA REPLICA. Sull’argomento dell’assenza di evidenze si è espresso, ad esempio, il filosofo William James: «Non me la sento di accettare le regole agnostiche per la ricerca della verità o di acconsentire volontariamente a tenere fuori dal gioco la mia natura volitiva. Non lo posso fare per il semplice motivo che una regola di pensiero che mi impedisse assolutamente di riconoscere certi tipi di verità qualora questi tipi di verità esistessero realmente, sarebbe una regola irrazionale».

IL RASOIO DI OCCAM

LA TESI. Il frate francescano Guglielmo di Occam (William of Ockam, m. 1350) sostenne che, per spiegare una qualunque cosa, non bisogna aggiungere, quando non servono, elementi ulteriori che si rivelano inutili.
Tale teoria, nota come Rasoio di Occam, è stata in seguito utilizzata per mettere in discussione la stessa esistenza di Dio, poiché può semplificare l’affermazione «Dio, che è sempre esistito, ha creato l’universo» in «l’universo è sempre esistito». Postulare che Dio ha creato il mondo non è una risposta definitiva, perché viene inevitabile chiedersi subito dopo chi abbia creato Dio. La semplificazione riduce Dio a un ente inutile: la sua inesistenza non pregiudica affatto il funzionamento dell’universo, che si può spiegare molto meglio evitando di ricorrere a un’entità sovrannaturale. Il mondo è autosufficiente.

LA REPLICA. È una tesi riduzionista, in quanto la semplificazione non porta necessariamente alla verità: su questo punto ha particolarmente insistito Immanuel Kant.
Prima ancora, Gottfried Wilhelm Leibniz sostenne che Dio ha creato il mondo con tutte le possibili creature.
La “legge contro l’avarizia” di Karl Menger ha riformulato tali posizioni: «è vano fare con poco ciò che richiede molto».

LA NON CREDENZA

LA TESI. Molte persone non credono. Non è “colpa” loro: alcune di esse vorrebbero sinceramente poter credere.
Non può dunque esistere una divinità che possa e voglia essere creduta (e magari adorata) da tutti, e contemporaneamente non sia in grado di dare la fede a tutti.

LA REPLICA. Dio vuole mettere alla prova gli esseri umani per vedere chi ha più fede in lui, ed è per questo che ha donato all’uomo il libero arbitrio.

LA PLURALITÀ DELLE RELIGIONI E DEGLI DEI

LA TESI. Nel mondo vi sono migliaia di religioni, ognuna delle quali è sorta per precise ragioni storico-culturali. E milioni di divinità diverse (dal dio antropomorfo a quello assolutamente astratto) sono state venerate negli ultimi millenni dagli esseri umani. In nessuna età storica una religione è stata praticata dalla maggioranza della popolazione mondiale.
Se una religione fosse nel vero, il fatto che non sia diffusa in qualche zona del Paese destinerebbe intere popolazioni all’inferno: una tesi un poco razzista.
Inoltre, le religioni si contraddicono l’una con l’altra, e questo diminuisce ulteriormente la loro attendibilità.
L’esistenza di tante religioni e tante diverse divinità è quindi la dimostrazione che nessuna di esse ha mai portato prove irrefutabili.

LA REPLICA. Dio potrebbe aver prescelto solo pochi eletti, e/o aver subordinato la diffusione della “sua” religione alla libera adesione degli esseri umani.
L’esistenza di Dio non è subordinata alla diffusione su scala planetaria di un certo credo, e non è peraltro detto che in un prossimo futuro ciò non avvenga.

NESSUN MOTIVO

LA TESI. L’argomento è stato formulato da Scott Adams nel libro God’s Debris.
Adams sostiene che un essere onnipotente e/o perfetto non avrebbe alcun motivo di agire, in particolar modo creando l’universo: Dio non proverebbe infatti alcun desiderio, in quanto il concetto stesso di desiderio è specificatamente umano. Ma l’universo esiste, e quindi c’è una contraddizione: conseguentemente, un dio onnipotente non può esistere.

LA REPLICA. Dio non ha creato il mondo per aumentare la propria potenza, ma solo per manifestare la sua bontà con la più libera delle decisioni.

L’INGIUSTIZIA

LA TESI. Nella vita di ogni giorno possiamo osservare come spesso il giusto sia punito e l’ingiusto sia premiato. Malfattori che sfuggono alla giustizia, uomini che ricoprono importanti incarichi ben al di là dei propri meriti, poveri nati poveri e impossibilitati ad aspirare ad altro che a una vita da poveri. Come può esistere un Dio (un Dio “giusto”) che tollera simili iniquità?

LA REPLICA. Bisogna accettare con rassegnazione il nostro destino terreno: Dio, nell’aldilà, provvederà a fare la vera e definitiva giustizia, punendo gli ingiusti e premiando i giusti.

LA SPROPORZIONE DELLA PENA

LA TESI. È un’evoluzione basata sulla replica al precedente argomento. Dio, se punisse i malvagî con un castigo eterno, commetterebbe un’evidente ingiustizia: una colpa, per quanto grande essa sia, è limitata all’esistenza umana, e non può essere sanzionata con una pena infinita. La sproporzione è evidente.

LA REPLICA. I disegni divini sono imperscrutabili: ciò che è giusto per lui non è necessariamente giusto per noi.

IL DOLORE E IL MALE (TEODICEA)

LA TESI. Chi più, chi meno, ci troviamo tutti a condividere parte della nostra esistenza con il dolore fisico. Non solo, nel mondo esiste, e spesso predomina, il male. Perché Dio dovrebbe tollerare la tortura fisica, le indicibili sofferenze di un malato terminale, la morte di un bambino inerme, Auschwitz, le guerre e le catastrofi naturali? Sta forse a guardare mentre accadono? Alcuni esseri viventi nascono soltanto per soffrire: come si giustifica questa inutile sofferenza, come si giustifica l’esistenza di ‘creature’ destinate soltanto a essere cibo di altre ‘creature’?
Sono stati gli uomini a dover inventare gli ospedali e i vaccini: laddove non sono stati costruiti, Dio non interviene a salvare i malati. Una variante sul tema è stata proposta da Stephen Law: se la credenza in un dio malvagio è irragionevole (e sicuramente ritengono sia tale), perché la credenza in un dio buono è significativamente più ragionevole?

LA REPLICA. La teodicea è quel ramo della teologia che intende spiegare il senso della giustizia divina in relazione alla presenza del male nel mondo. Il termine fu inventato da Leibniz nel 1710.
La risposta, soprattutto cristiana, è che la sofferenza è necessaria per espiare i proprî peccati e per accedere alla vita eterna.
In un mondo senza sofferenza, non vi sarebbe modo per coloro che hanno particolari virtù (ad esempio, il coraggio e l’amore verso il prossimo) di manifestarle. Dio non può prevenire e impedire il male, se non togliendo all’uomo la sua libertà. Secondo Giuliana di Norwich, una mistica del XIV secolo, Dio fa ogni cosa per amore.
E anche in questo caso vale l’argomento dell’imperscrutabilità dei disegni divini.

L’INCOERENZA DEGLI ATTRIBUTI DIVINI

LA TESI. Questo argomento è un po’ una somma degli argomenti precedenti. I varî attributi divini (onniscienza, onnipotenza, somma benevolenza) sono vicendevolmente escludenti. Perché Dio non impedisce che si compia il male?
Se non lo fa perché non può, vuol dire che non è onnipotente. Se non lo fa perché non vuole, vuol dire che non è sommamente buono. Se non lo fa perché non sa come farlo, vuol dire che non è onnisciente; se Dio è onnisciente, sa in anticipo come modificherà il futuro usando la sua onnipotenza: non può dunque mutare parere, e dunque non è onnipotente.
Un’ulteriore contraddizione si rinviene nella teoria del libero arbitrio: se Dio ha dotato l’uomo di libero arbitrio, ben sapendo che lo avrebbe usato per fare del male, vuol dire che Dio non è sommamente buono; se non lo poteva prevedere, vuol dire che non è onnisciente; oppure è perfido, e si prende gioco sia degli esseri umani che predestina a compiere il male, sia di quelli che predestina al ruolo di vittime.

LA REPLICA. Si rifà sostanzialmente all’argomento dell’imperscrutabilità e ineffabilità di Dio.
Il Catechismo della Chiesa cattolica tratta questo problema come segue (272-274): «La fede in Dio Padre onnipotente può essere messa alla prova dall’esperienza del male e della sofferenza. Talvolta Dio può sembrare assente e incapace di impedire il male. Ora, Dio Padre ha rivelato nel modo più misterioso la sua onnipotenza nel volontario abbassamento e nella Risurrezione del Figlio suo, per mezzo dei quali ha vinto il male. Cristo crocifisso è quindi “potenza di Dio e sapienza di Dio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini” (1Cor 1,24-25). Nella Risurrezione e nella esaltazione di Cristo il Padre ha dispiegato “l’efficacia della sua forza” e ha manifestato “la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti” (Ef 1,19-22). Soltanto la fede può aderire alle vie misteriose dell’onnipotenza di Dio. Per questa fede, ci si gloria delle proprie debolezze per attirare su di sé la potenza di Cristo [Cf 2Cor 12,9; Fil 4,13]. Di questa fede il supremo modello è la Vergine Maria: ella ha creduto che “nulla è impossibile a Dio” (Lc 1,37) e ha potuto magnificare il Signore: “Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e santo è il suo nome” (Lc 1,49). “La ferma persuasione dell’onnipotenza divina vale più di ogni altra cosa a corroborare in noi il doveroso sentimento della fede e della speranza. La nostra ragione, conquistata dall’idea della divina onnipotenza, assentirà, senza più dubitare, a qualunque cosa sia necessario credere, per quanto possa essere grande e meravigliosa o superiore alle leggi e all’ordine della natura. Anzi, quanto più sublimi saranno le verità da Dio rivelate, tanto più agevolmente riterrà di dovervi assentire” [Catechismo Romano, 1, 2, 13]».
Recentissimi tentativi di replica sono stati compiuti da filosofi della religione come Alvin Platinga e Richard Swinburne, i cui lavori sono tuttavia ancora semi-sconosciuti in Italia.

LA COMPLESSITÀ DI DIO

LA TESI. L’argomento è stato presentato da Richard Dawkins nel suo libro L’illusione di Dio. Secondo Dawkins, «un Dio capace di monitorare e controllare in permanenza le condizioni di ogni singola particella dell’universo», di curare simultaneamente «azioni, emozioni e preghiere di ogni singolo essere umano», di «decidere ogni momento di non salvarci miracolosamente quando ci ammaliamo di cancro» non può essere «semplice», come sostengono tanti teologi, ma necessita di una spiegazione «mastodontica» statisticamente improbabile quanto il supposto Creatore.

LA REPLICA. Secondo il domenicano Thomas Crean, a Dawkins sfugge l’idea che il massimo della perfezione e della ricchezza dell’essere possa coincidere metafisicamente con la sua semplicità: un po’ come il pensiero di un architetto, per esempio il progetto di una cattedrale, è all’origine della grandiosa chiesa che verrà costruita ma allo stesso tempo infinitamente più “semplice”.

LE NEUROSCIENZE

LA TESI. Tutte le caratteristiche di Dio sono palesemente “proprietà mentali” (avere un disegno, quindi degli obiettivi, avere una volontà, conoscere, prevedere, decidere, ecc.) Ebbene, come le neuroscienze hanno dimostrato, ogni proprietà mentale presuppone l’esistenza di un cervello. Quindi, se dio esistesse, avrebbe le caratteristiche che gli attribuiscono i credenti e quindi, per quanto sopra, dovrebbe avere un cervello materialisticamente inteso.
Ma siccome il Dio dei credenti è immateriale, non può esistere alcun cervello di Dio. Da cui un’evidente contraddizione che porta a “non credere” nell’esistenza stessa di dio.

LA REPLICA. La correlazione tra proprietà mentali e cervello è solo “indiziaria”: non v’è una dimostrazione scientifica che tale correlazione debba sussistere “necessariamente”. In altre parole, le neuroscienze dimostrano solo che in tutti i casi studiati finora la correlazione esiste, ma non possono dimostrare che la correlazione non può non esistere.