Per gentile concessione dell’Autore, pubblichiamo il capitolo tredicesimo (note escluse) del libro di Francesco D’Alpa  Dov’è finita l’anima cristiana. Piccola contro storia di un mito”, Edizioni Laiko.it,  Catania 2007 (www.laiko.it).

 

 

Oltre l’anima cristiana

 

Nel Seicento comincia ad elaborarsi una immagine meccanicistica della natura che fa a meno di tutte le qualità, sostanze ed essenze fino ad allora prospettate ed il pensiero filosofico si demarca nettamente dalla teologia.

Cartesio, orientando in maniera determinante tutto il successivo pensiero occidentale, è fra i prini a puntare ad una analisi prettamente descrittiva (ed in chiave psicofisica materialistica) dell’essere e dell’agire umano, prescindendo da valutazioni morali. Ma nonostante ciò, non rinuncia ad un dualismo di fondo fra lo spirituale («res cogitans») ed il materiale («res extensa»), che fra l‘altro lo porta a separare nettamente il campo di ricerca delle scienze fisico-matematiche da quello filosofico-teologico. Per lui l’anima esiste, ed è ancora una ‘sostanza’; ma ha chiare difficoltà nel cercare di spiegarne i rapporti con il corpo, e nei suoi ultimi scritti teorizza una sostanziale omogeneità fra la mente ed il corpo.

Anche Leibniz, in controtendenza allo svolgersi del pensiero filosofico-scientifico, considera anima e corpo ancora in chiave dualistica: come congiungimento e rapporto armonico fra la monade-anima e le monadi-corpo. Nell’uomo, a fianco di  forme o funzioni innate, esistono una coscienza ed un pensiero che prescindono dalle esperienze percettive: il mondo umano ha valori e finalità proprie, che non esistono nel mondo animale. La vita coinciderebbe con l’energia dinamico-sensitiva presente nei fenomeni naturali, e non ha nulla di misterioso e di non analizzabile

Per Spinoza esiste invece una piena identità fra mente e corpo; essi sono una stessa cosa «concepita ora sotto l’attributo del pensiero, ora sotto l’attributo dell’estensione»: l’uomo può essere compreso in termini esclusivamente corporei, e come tale indagato scientificamente; la ragione è essenzialmente una tecnica. Ciononostante, l’uomo ha una irriducibile dignità, e il suo agire morale include l’autocontrollo e la liberazione dalle passioni e dai moti irrazionali dell’anima.

Come in Cartesio, le istanze metafisiche restano latenti anche nel pensiero di Condillac, per il quale  l’anima è il centro dell’essere umano, sede di eleborazione delle sensibilità e ‘attivatrice’ del corpo. Ma gli illuministi (in particolare gli ‘idéologiques’, come Cabanis e Destutt de Tracy si oppongono decisamente: per loro le operazioni intellettuali hanno un fondamento fisiologico e dipendono strettamente dal funzionamento generale dell’organismo, che è autonomo ed autosufficiente (il corpo dunque non è né una ‘macchina’ né una ‘statua’). Non solo; per Cabanis, esistono funzioni sensitive autonome della coscienza, ed esiste una dimensione inconscia dell’essere umano, costituita da tutte quelle sensazioni che non arrivano all’Io cosciente (identificato con il cervello). Ogni dualismo tradizionale viene così definitivamente superato, in favore di una interpretazione prettamente psico-fisiologica.

Ancora più radicale è la posizione di La Mettrie. Per lui, l’anima è un concetto (o un principio) assolutamente non necessario, un ‘termine vano’; l’organismo umano funziona senza l’aggiunta di null’altro; tutte le facoltà dell’anima dipendono a tal punto dall’organizzazione del cervello e di tutto il corpo, che sono palesemente questa stessa organizzazione. La vita psichica e la coscienza di sé sono il prodotto più alto della materia del mondo fisico: esse non sono altro che funzioni piuttosto complesse di quella particolare forma della materia che si chiama ‘cervello umano’.

Per William James (1842-1910) l’anima è solo un modo di definire una mera collazione di un certo numero di fenomeni psichici. E Bertrand Russell (1872-1970) descriverà ironicamente lo spirito umano come ‘materia allo stato gassoso’.

Così la mente (o metaforicamente l’anima), è oramai, e definitivamente, oggetto di un’indagine scientifica che fa a meno della metafisica e della teologia. Anche se le funzioni cognitive hanno una base fisica, la mente non è una struttura precisamente localizzabile ma una funzione, sintesi di tutti i flussi informazionali che collegano il cervello al corpo ed all’ambiente circostante.

Ma ciò con impedisce al dualismo di sopravvivere, anche se non così netto come nella tradizione cristiana. John Eccles (1903-1997), ad esempio, ha concepito da credente una sorta di dualismo neo-cartesiano, secondo il quale la mente (o l’anima) non è più un preciso organo o non è più collegato ad uno specifico organo, ma opera in qualche modo sul cervello, con modalità extra-fisica, a livello delle sinapsi dei moduli corticali dei neuroni. Ma la sua ipotesi, più che portare argomenti al dualismo metafisico, ne porterebbe all’idea di una animazione comune a tutta la materia (come affermavano le concezioni gnostiche e neo-platoniche dell’ ‘anima mundi’), di fatto annullando il peculiare specifico dualismo dell’essere umano professato dal cristianesimo.

La relazione mente corpo

Il problema della relazione fra mente e corpo è stato impostato per primo da Platone, nei termini di rapporto fra l’anima ed il corpo, intesi come due sostanze separate che interagiscono causalmente, ma con l’anima in posizione dominante (motore o auriga).

Secondo Tommaso d’Aquino, il rapporto fra anima razionale e corpo non va inteso come relazione fra ‘contenente’ e ‘contenuto’, in quanto le entità immateriali come l’anima controllano e organizzano («gubernant et regent») la materia globalmente e non in modo localizzato, come invece sostenevano i neo-Platonici.

Nel mondo moderno, in particolare dopo Leibniz, la questione è divenuta invece: che relazione esiste fra ciò che è psichico (Io, soggettività, mente) ed il cervello? Dunque si indaga sulla relazione mente-corpo, quanto un tempo su quella anima-corpo. Ma il concetto attuale di mente non è esattamente sovrapponibile a quello tradizionale di anima, in quanto per ‘mente’ si intende sostanzialmente una ‘funzione’, mentre per ‘anima’ si intendeva di fatto la ‘struttura’ che esercita quella funzione; in metafisica ci si riferiva invece rispettivamente alla ‘facoltà’ ed alla ‘entità’ che tipicamente possiede quella facoltà.

L’attenzione è attualmente centrata sulla coscienza, fenomeno elusivo, ritenuto a lungo come interdetto alla ricerca scientifica e per questo abbandonato alle speculazioni metafisiche. Secondo Francis Crick e Gerald M. Edelmann è oggi posibile definire in termini neurofisiologici alcuni dei processi fondamentali del fenomeno consapevolezza. Più estensivamente, pensatori come Helmuth Feigl hanno un atteggiamento radicalmente riduzionista, che richiama le posizione di certi illuministi: tutti i processi umani e tutti gli stati e le operazioni della mente (intenzionalità, comportamento, cognizione, libero arbitrio, ecc.) possono essere spiegati adeguatamente a partire dalle operazioni del cervello.

Più che chiedersi cosa tiene unita l’anima al corpo, alcuni neuroscienziati si chiedono allora: cos’è che mantiene le strutture dell’organismo al loro posto, ed in ultima analisi ne coordina la funzione?

Il dato centrale è l’evidenza di una ‘autocoscienza’ e di un principio interno, alla base di qualunque attività e comportamento. Questa autocoscienza, oltre che in senso assolutamente riduzionista, viene spiegata con il cosiddetto ‘materialismo emergentista’: esiste effettivamente solo la materia, che però si esprime in livelli ontologicamente differenti; il cervello differisce dagli altri oggetti fisico-materiali non solo quantitativamente ma anche qualitativamente, ed è dotato di plasticità, ovvero della capacità di programmarsi ed organizzarsi.

Il dualismo mente-corpo sopravvive nel pensiero moderno soprattutto in autori cone Karl Popper, i cui tre mondi richiamano la partizione in corpo, anima e intelletto attivo e le reciproche relazioni; come in Platone, è l’Io a possedere il cervello e a guidare il corpo. Non viene comunque risolto il problema di come l’Io consapevole (l’antica anima) si relazioni con il ‘soggetto’ delle funzioni neurofisiologiche operanti nel cervello.

Ma questa impostazione non ha nulla che richiami il concetto di anima cristiana, che rispecchi l’idea di una immortalità dell’Io personale.

La consapevolezza

Per Platone, l’uomo si identificherebbe soprattutto con la parte razionale dell’anima, che è dunque l’Io consapevole. Se dunque gli animali non hanno un’anima razionale, si esclude anche che abbiano qualunque forma di consapevolezza di se stessi.

La teologia cristiana, che traccia un limite netto fra il possesso o meno di un anima razionale (riservata solo all’uomo) traccia di conseguenza anche un limite netto al possesso della consapevolezza.

Qui la frattura con l’evoluzione del pensiero scientifico è totale. I dati della neurofisiologia indicano chiaramente che all’interno del cervello esistono strutture deputate al controllo del corpo, e che la coscienza (in senso stretto) è un sorta di auto controllo delle funzioni mentali, presente in gradi diversi in tutti i viventi. Non esiste un limite ontologico fra la coscienza umana e l’equivalente degli altri viventi: ogni vivente sente se stesso nella pienezza del suo proprio modo di sentire.

Oltre l’anima

Molti teologi del XX secolo hanno cercato di riattualizzare il concetto tradizionale di anima cristiana. Karl Rahner (1904-1984), ad esempio, ha tentato un compromesso fra creazionismo ed evoluzionismo. Dio sarebbe all’origine della vita (creazione) nell’ambito della ‘causalità primaria’, mentre generazione ed evoluzione agirebbero come ‘causalità secondaria’. La piena potenzialità dell’evoluzione emerge comunque solo perché la causalità divina agisce ancora dall’interno di una causalità finita e limitata, facendola operare al di là delle proprie potenzialità. Da qui l’emergere della persona umana, oltre lo stato dei pre-umani.

Dunque, nel confronto con la modernità, scientifica e filosofica, la Chiesa conciliare è ancora ottimista ed anzi, abbandonata una certa astiosa conflittualità, manifesta ancora la convinzione che la scienza non possa contraddire l’essenza del suo messaggio: «L’esperienza dei secoli passati, il progresso della scienza, i tesori nascosti nelle varie forme di cultura umana, attraverso cui si svela più appieno la natura stessa dell’uomo e si aprono nuove vie verso la Verità, tutto ciò è di vantaggio anche per la Chiesa. Essa, in­fatti, fin dagli inizi della sua storia, imparò ad espri­mere il messaggio di Cristo ricorrendo ai concetti e alle lingue dei diversi popoli; e inoltre si sforzò di illustrar­lo con la sapienza dei filosofi».

In realtà, il modello dell’anima cristiana è ampiamente in crisi, soprattutto da oltre un secolo. Secondo Wilhelm Maximilian Wundt (1832-1920) quello di anima è un ‘concetto sussidiario’, una comoda metafora: serve solo per dare un riferimento ai fenomeni, per un certo bisogno metafisico; in realtà l’essenza dell’anima è la realtà immediata dei processi. Fra ciò che accade nel corpo fisico e ciò che accade nello psichismo esiste uno stretto parallelismo; non si tratta di due oggetti diversi di esperienza, ma semplicemente di due punti di vista diversi di una stessa esperienza. Per Ernst Kretschmer (1888-1964) l’anima è lo ‘sperimentare immediato’. Secondo Hans Driesch (1867-1941) l’anima è «un particolare regno dell’essere che noi riteniamo come oggetto mediato, il quale si comporta come se esso, in quanto questo uno, sussistesse indipendentemente per sé».

Il problema della coscienza ha sostituito definitivamente quello dell’anima. Per cui si parla piuttosto di ‘mente’, secondo la lezione di Spinoza, intendendo con ciò un sistema dinamico di percezioni differenti, interagenti fra di loro.

Così, secondo Antonio Damasio, noi abitualmente usiamo le espressioni ‘il mio corpo’, ‘la mia mente’, ‘il mio cervello’ (anzichè ‘il corpo che sono’, ‘la mente che sono’, ‘il cervello che sono’) solo per comune modo di dire, per utilità, ma in realtà non si ‘possiede’ un corpo così come si possiede un qualunque oggetto. L'unità del corpo è una ‘collezione di processi’, dai più semplici che si svolgono al livello puramente biologico, a quelli più complessi, che si svolgono nella mente: che gli uni siano indipendenti dagli altri, dunque che il ‘se stessi’ sia separato dal ‘corpo’ (più in generale: che esista un dualismo fra una sostanza materiale ed una spirituale) è dunque una sorta di illusione, un equivoco. Mente e cervello sono termini che si riferiscono a due tipi molto diversi di processi, non di oggetti.

Il termine ‘Io’ non va dunque riferito a qualcosa di preciso (come un tempo si pensava fosse l’anima) ma ad un aspetto particolare della coscienza, che a sua volta è costituita da molti livelli di organizzazione, ognuno con le sue proprietà. Il termine ‘Io’ è la traduzione linguistica di un processo che si sta sviluppando in un preciso momento, che si svolge nel tempo, e che è fondato su un determinato livello biologico. La mente individuale esiste solo fino ad un certo punto, essendo in gran parte espressione di un complesso intreccio di interazioni collettive e sociali. In tal senso l’unità dell’Io è in gran parte solo apparente.

Ma anche il mondo delle macchine spinge ad una drastica ridefinizione teologica. I prodotti della creatura umana hanno in buona parte acquisito quelle che erano ritenute caratteristiche esclusive dell’anima cristiana: ragionano, scelgono; producono e si riproducono; godono di una esistenza per certi versi autonoma. Le macchine mettono in pericolo non solo il concetto di anima umana, ma l’uomo stesso, qualunque cosa esso sia. L’allarme è già scattato da almeno mezzo secolo: «Lo strumento manuale dell’uomo e la macchina appartengono ad ordini diversi. Lo strumento, anche se in sè materia inerte, può rientrare inte­ramente e perfettamente nell’ordine della .vita e dello spirito come mezzo per i suoi fini. La mac­china mai, perché inerte ed automatica, quindi materia del tutto incapace di ubbidire e di essere dominata. È l’unica creazione umana che ha una analogia lontana ma ben pericolosa con la viva essenza della creazione divina: l’uomo crea mate­ria semovente, l’automatico [...] Lo strumento mira a rendere col suo aiuto e solo col suo aiuto  l’opera quanto più umana è possibile, spiritualizzandola al massimo e quasi trasformandola nello spirito. Lo scopo invece e la perfezione della pura macchina è divenire sempre più automatica e indipendente dallo spirito dell’uomo […] La perfezione dell’automatico, con cui non il Creatore ma l’uomo agita e plasma la materia per i suoi fini, sta nel rendersi sempre più indipenden­te. Diventa allora a poco a poco padrone dell’uo­mo, da cui può essere costruito ma non dominato nella sua intima struttura. Ed è questa una vera rivoluzione, enorme e mostruosa, perché soggioga l’uomo al suo ultimo e infimo prodotto: la macchina».

È assolutamente da sottolineare questo cambio di prospettiva: mentre fino ad ora la teologia doveva difendere la metafisica dalla sua riduzione al materialismo, ora l’attacco viene dalla materia che progressivamente conquista spazi finora ritenuti esclusivi dello spirito. I cristiani avvertono il pericolo e spostano l’attenzione dall’anima in sé al discorso della salvezza che sta dietro l’anima. Così ad esempio Cornelio Fabro sostiene: «benché la Scrittura, e in particolare il Nuovo Testamento, non intenda di offrire una “dottrina” sistematica dell’anima, essa offre tuttavia una concezione compiuta e ben coordinata della sua natura, origine e destino in vista essenzialmente del problema della salvezza ovvero della vita eterna. Il linguaggio biblico non è legato direttamente ad alcuna particolare filosofia: esso vale per sé e non abbisogna di alcuna trascrizione in una metafisica sistematica e si costituisce pertanto come il punto di partenza e di arrivo ad un tempo di ogni riflessione».

Non mi sembra un punto di vista adeguatamente motivato. È un dato di fatto che, da sempre, i due termini di paragone sono stati la ‘Rivelazione’ ed i sistemi filosofici (in particolare la filosofia greca). La ‘Rivelazione’ (in particolare il contenuto di “Genesi”) sarebbe un dato assoluto che la riflessione teologica successiva chiarisce o all’inverso corrompe. Ma la cosmologia veterotestamentaria deriva da concezioni preesistenti, in particolare dell’area egiziana; il concetto di anima si presenta e si sviluppa quando la cultura giudaica si apre agli apporti delle cultue e filosofie contemporanee. Quando il cristianesimo comincia a sistematizzare una sua propria teologia, diventa difficile fare coesistere in un’unica verità il monismo veterotestamentario con il crescente dualismo. Tommaso d’Aquino farà con un certo successo l’ultimo tentativo, ma le strade della filosofia e della teologia si separeranno sempre più.

Francis Crick, uno degli scopritori del DNA, ritiene che l’anima (o meglio la coscienza) possa essere definitivamente spiegata in termini biologici, come funzione di gruppi neuronali. Non si potrebbe giungere a conclusioni diverse, se solo si tiene conto di tutti i dati clinici e sperimentali sull’uomo e sugli animali. Base della coscienza sarebbe una particolare struttura cerebrale, mentre il suo funzionamento è indubbiamente legato alle reazioni biochimiche del cervello; non ha dunque alcun senso parlare di sopravvivenza dell’anima e di vita eterna.

Questa teoria, ovviamente, non dice nulla ai cattolici: per loro è come affermare (semplicisticamente, riduttivamente) che una cattedrale è un insieme di pietre.

La questione potrebbe essere vista sotto un’altra prospettiva. Se si prescinde dalla tripartizione dell’anima e si considerano le tappe dello sviluppo di un nuovo essere, si può pensare che ad un certo grado del suo sviluppo esso divenga capace di relazionarsi con il trascendente. A questo punto avverrebbe l’animazione razionale, o diventerebbe attiva l’anima. Inversamente, in un essere che non può raggiungere questo grado di sviluppo l’anima non sarebbe attiva o non sarebbe stata ancora infusa. Ma allora esisterebbero esseri ‘umani’ solo fino ad un certo punto, in quanto non animati. Oggi sembra un eresia professarlo, ma nel medioevo i teologi cattolici ne erano convinti e ci vollero dei pronunciamenti magisteriali per chiudere la questione.

La filosofia si trova invece a dovere superare la critica radicale di Kant. Il filosofo Michel Henry (1922-2002) ritiene che esista una ‘struttura dell’essere del nostro Io’ (una ‘essenza dell’ipseità’) che va oltre la ‘esperienza interna’ descritta da Kant; quest’ultima non sarebbe altro che una semplice ‘rappresentazione’, mentre invece «l'essere dell'io non può sorgere, né mostrarsi, nel cuore dell'esteriorità». Per Henry la soggettività non è trascendente e la relazione soggettiva dell'Io col proprio corpo non è nient'altro che la relazione fondamentale del corpo con se stesso; l’anima (‘ipseità’) non è altro che la coerenza interna primaria dell’ «abitacolo che noi siamo, in cui siamo e in cui siamo dei viventi»: il corpo è la realtà ontologica costitutiva della natura umana, è un ‘corpo soggettivo’, che può essere ripreso e giudicato, e l’anima non è altro che l’ego di questo corpo.

Parallelamente, la biologia contemporanea ha identificato e precisa sempre meglio quali siano le basi del comportamento: umorali, neurofisiologiche, genetiche. Dalle semplici sensazioni alle più sofisticate attività psichiche (capacità di scelta, tendenze etc…), tutto è in qualche modo ricollegabile ad una certa struttura; alla base di ogni comportamento c’è una ragione scritta nel corpo, e prima ancora nei geni.

Alla teologia non basta dunque più adagiarsi sulla convinzione che nessuno potrà mai trovare fisicamente l’anima nel corpo per sostenere per esclusione che quest’anima (immateriale) è differenziabile dal corpo; oggi occorre controbattere le crescenti evidenze sulle basi biologiche delle presunte ‘attività’ dell’anima.

Fra le tante articolazioni del discorso anima-corpo ve n’è una del tutto particolare. Nell’ “Antico Testamento” è palese la contrapposizione uomo-donna, in tutte le sue forme: anima-materia, spirito-corpo, ragione-sentimento, cultura-natura; ma si sostiene anche che la dannazione passi dalla donna, così come la redenzione verrà tramite una donna.

La teologia femminista utilizza proprio queste immagini per rivalutare la posizione della donna e la corporeità, aprendo prospettive radicalmente innovative al discorso cristiano sull’anima; piuttosto che essere l’anima ad informare il corpo, è possibile che ora sia il corpo (anche con la sua dualità di genere) ad informare l’anima.