Comunicato stampa del 14/11/2006: Arroganza del vescovo di Padova e servilismo dei politici

Ci sono molte buone ragioni per negare a qualsiasi religioso il permesso di fare visite pastorali nelle scuole pubbliche.

In Italia non c’è una religione di Stato dal 1985 perché se ci fosse, sarebbe incompatibile col principio di uguaglianza di tutti i cittadini.

Con il Concordato del 1984 lo Stato ha assicurato alla Chiesa cattolica ingenti mezzi finanziari e altri privilegi; vedi 8x1000, esenzione ICI… per svolgere nei propri luoghi (parrocchie, campi scout, scuole private cattoliche…) l’educazione dei bambini di famiglie cattoliche. In cambio la Chiesa non dovrebbe interferire con l’ordinamento statale, laico e pluralista come stabilito dalla Costituzione.

Gli atti di culto in orario scolastico sono espressamente vietati dalle Intese sottoscritte dallo Stato con le confessioni religiose di minoranza: non solo, i TAR dell’Emilia-Romagna (giugno 1993) e del Veneto (marzo 1995) hanno giustamente evidenziato che le pratiche religiose (messe, preghiere, benedizioni, visite pastorali…) non sono equiparabili a manifestazioni e attività extrascolastiche e che quindi esse non possono essere deliberate dagli organi collegiali. È da sottolineare inoltre che il nuovo Concordato si riferisce esclusivamente all’insegnamento della religione cattolica e non può essere invocato per autorizzare cerimonie e atti di culto. Le sentenze citate si sono basate sulla Costituzione e sulle leggi, quindi sul patto di civile convivenza che lega tutti i cittadini; al contrario di recenti sentenze “innovative” e decisioni ministeriali che si riferiscono a valutazioni personali e non condivise della storia, delle tradizioni, delle radici dei cittadini italiani. Dall’altra parte un vescovo non può “comunicare” a una scuola che vi si recherà per una visita: deve almeno chiedere prima il permesso ai dirigenti scolastici!

Il Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione (D. lgs. 16/4/1994, n. 297) stabilisce che «…l’insegnamento religioso e ogni eventuale pratica religiosa, nelle classi in cui sono presenti alunni che hanno dichiarato di non avvalersene, non abbiano luogo in occasione dell’insegnamento di altre materie, né secondo orari che abbiano per i detti alunni effetti comunque discriminanti». E la Sentenza 250/93 del TAR Emilia-Romagna dice che «Al di là però dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole dello Stato, non è consentito andare: pertanto, ogni altra attività, squisitamente religiosa (atti di culto, celebrazioni) non è prevista e non è consentita nelle aule scolastiche e meno ancora in orario di lezione e in luogo dell’insegnamento delle materie di programma […] Del resto, la norma concordataria sull’insegnamento della religione cattolica nelle scuole statali, divenuta norma del diritto nazionale in virtù della legge di esecuzione, deve ritenersi norma di carattere eccezionale rispetto al principio della laicità dello Stato italiano enunciato dal primo comma dell’art. 7, della Costituzione. E perciò deve ritenersi norma di stretta interpretazione […] Così da non consentire, per una pretesa analogia, di ricomprendervi attività assolutamente a esso non attinenti, quali il compimento di atti di culto o la celebrazione di riti religiosi […] Gli atti di culto e le celebrazioni religiose si compiono unicamente nei luoghi a essi naturalmente destinati, che sono le chiese e i templî e non nelle sedi scolastiche, in sedi cioè improprie e destinate alle attività didattiche e culturali, finalità appunto della scuola (art. 9 della legge n. 121) e alla attività educativa di essa» (Per informazioni e materiali: www.uaar.it/laicita/visite_pastorali).

Molti dirigenti scolastici giustificano la difesa della laicità delle scuole pubbliche con la presenza di alcuni alunni musulmani. Invece la laicità della scuola, al pari di tutte le istituzioni pubbliche, è dovuta in quanto principio supremo della Costituzione (sentenze nn. 203 del 1989 e 149 del 1995 della Corte costituzionale) e, se vogliamo proprio far valere i numeri, perché la maggior parte della popolazione italiana non pratica alcuna religione. Recenti statistiche evidenziano che unioni di fatto e matrimoni civili superano in numero i matrimoni religiosi; le coppie di oggi non si aspettano certo che i propri figli a scuola vengano educati a valori in cui legittimamente non si riconoscono.

In Italia 650.000 studenti “non si avvalgono” dell’insegnamento della religione cattolica e sarebbero milioni, se l’ora alternativa fosse valida e funzionante, se fosse finanziata come l’ora di religione (i cui insegnanti sono stipendiati dallo Stato, mentre per le materie alternative ogni scuola deve provvedere a se stessa, con fondi che non ha). Molti alunni di famiglie atee sono costretti a seguire l’ora di religione perché altrimenti vengono discriminati ed emarginati da compagni e docenti (Vedi www.oraalternativa.it).

La nostra solidarietà va a dirigenti, insegnanti e genitori che difendono la scuola pubblica da ingerenze clericali.