Ricorso crocifisso Padova: memoria conclusiva

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL VENETO

MEMORIA CONCLUSIVA

per L.S., con l’avv. Luigi Ficarra,

contro

IL MINISTERO DELLISTRUZIONE, DELLUNIVERSITÀ E DELLA RICERCA, in persona del Ministro in carica, nel ricorso n. 2007/2002 - Sezione I

Chiedendo l’annullamento della decisione assunta il 27 maggio 2002 dal Consiglio di Istituto dell’I.C. “Vittorino da Feltre” di Abano Terme di lasciare esposti negli ambienti scolastici i simboli religiosi, la ricorrente propone al T.A.R. Veneto una questione evidentemente grave e delicata. Una recentissima ordinanza del Tribunale dell’Aquila (la stampa ne ha dato notizia il 26 ottobre 2003) che ha ordinato la rimozione del crocefisso dalle aule scolastiche ha suscitato infatti uno straordinario clamore, benché fosse stata preceduta da una sentenza della Corte di Cassazione (IV sez. penale, 1° marzo 2000, n. 439) che, per dichiarare legittimo il rifiuto di uno scrutatore di prestare servizio in un’aula arredata col crocefisso, ha affermato gli stessi principî giuridici che, per quanto se ne sa, sono stati applicati nell’ordinanza aquilana. Il chiasso provocato da questa sarebbe stato minore se l’opinione pubblica non fosse ignara degli orientamenti giurisprudenziali e scientifici sull’argomento, quali si ricavano sfogliando le ultime annate della Giurisprudenza costituzionale dove, annotate favorevolmente, sono numerose le sentenze in tema di laicità dello Stato, tutte conformi ai principî cui s’è attenuta la Cassazione e ora il Tribunale dell’Aquila e ai quali, confida la ricorrente, vorrà pure attenersi il T.A.R. Veneto.

L’opinione pubblica era informata, invece, sulla direttiva del 3 ottobre 2002 con cui il competente dipartimento ministeriale ha disposto, per eliminare ogni perplessità al riguardo, che in tutte le aule scolastiche sia esposto il crocefisso. Perplessità che in passato avevano indotto lo stesso Ministero a rivolgere un quesito al Consiglio di Stato per «conoscere se le disposizioni di cui all’art. 118 del R,D. 30 aprile 1924, n. 965, e quelle di cui all’allegato C del R.D. 26 aprile 1928, n. 1297, concernenti l’esposizione dell’immagine del crocifisso nelle scuole, possano considerarsi tuttora vigenti oppure debbano ritenersi implicitamente abrogate, perché in contrasto con il nuovo assetto normativo della materia». Con parere del 27 aprile 1988, n. 67, la seconda sezione del Consiglio di Stato rispondeva affermativamente al quesito, muovendo dalla constatazione che l’esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche non è stata oggetto di considerazione né nel Concordato del 1929 né nella legge 25 marzo 1985, n. 121, di ratifica dell’accordo con cui lo stesso è stato modificato, sicché le norme del 1924 e del 1928 non sarebbero state abrogate né esplicitamente né implicitamente. D’altra parte, ha soggiunto la Sezione consultiva, «la Costituzione repubblicana, pur assicurando pari libertà a tutte le confessioni religiose, non prescrive alcun divieto all’esposizione nei pubblici ufficî di un simbolo che, come quello del crocifisso, fa parte del patrimonio storico; né pare che la presenza dell’immagine del crocifisso nelle aule scolastiche possa costituire motivo di costrizione della libertà individuale a manifestare le proprie convinzioni in materia religiosa».

È opportuno precisare che le suindicate norme del 1924 e del 1928 sono di carattere regolamentare «e si connettono all’art. 140 r.d. 15.9.1860, n. 4336, contenente il regolamento per l’istruzione elementare della I.13.111859, n. 3725 (c.d. legge Casati), che prescriveva appunto il crocefisso tra gli arredi delle aule scolastiche». Così la citata sentenza 1° marzo 2000, n. 439, della Corte di Cassazione, che prosegue (punto 7 della motivazione): «Esse (sic, le norme del 1924 e del 1928), quindi, non diversamente da quella legge (sic, la legge Casati) trovano riferimento nel principio della religione cattolica come sola religione dello Stato, contenuto nell’art. I dello Statuto A.o: principio che proprio il punto 1 del protocollo addizionale di revisione del 1984 considera espressamente, se pur ve ne fosse stato bisogno dopo l’entrata in vigore della Costituzione, non più in vigore, con conseguenti ricadute implicite sulla normativa secondaria derivata. Il rapporto di incompatibilità, nel detto parere (sic, del Consiglio di Stato in sede consultiva sopra menzionato) sbrigativamente ritenuto insussistente con i sopravvenuti Accordi del 1984, rilevante per l’abrogazione ai sensi dell’art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale, si pone quindi direttamente non con quelle norme regolamentari bensì con il loro fondamento legislativo: l’art. I dello Statuto A.o dichiarato non più in vigore “di comune intesa” (preambolo del prot. add.) con la Santa Sede».

D’altra parte, per tornare al parere del Consiglio di Stato così puntualmente criticato dalla Corte di Cassazione, l’appartenenza della croce al patrimonio culturale del Paese non esclude che essa abbia un forte valore simbolico e che la sua esposizione, per legge, nelle scuole contrasti col principio di laicità dello Stato; laicità intesa come garanzia del pluralismo confessionale e culturale. Un principio più volte energicamente riaffermato dalla Corte costituzionale (sent. 12 aprile 1989 n. 203, sent. 19 dicembre 1991 n. 467), che ha dichiarato essere la laicità principio “supremo” dell’ordinamento costituzionale, «uno dei profili della forma di Stato delineata nella carta costituzionale della Repubblica» (sent. 12 aprile 1989 n. 203), una «supernorma» (sent. 8 ottobre 1996 n. 334) che su ogni altra ha «priorità assoluta e carattere fondante» (sent. 5 maggio 1995 n. 149).

Nel suo parere del 1988 il Consiglio di Stato non ha tenuto conto del fondamentale principio di laicità dello Stato probabilmente perché esso, intravisto dalla Corte costituzionale sin dal 1979 (sent. 10 ottobre 1979 n.l17) si è consolidato nella sua giurisprudenza soltanto dal 1989 in poi.

All’approfondimento del principio così autorevolmente e solennemente affermato è di sicura utilità l’esperienza di altri paesi europei, nei quali il problema della esposizione dei simboli religiosi nelle scuole è stato considerato dalla giurisprudenza ai più alti livelli.

Anzitutto dal Tribunale federale svizzero che, con una sentenza del 26 settembre 1990, ha rigettato il ricorso di un comune del cantone Ticino contro una sentenza del giudice amministrativo che aveva annullato l’ordine del comune di esporre il crocefisso nella scuola comunale. Il supremo tribunale di un paese che porta la croce nella propria bandiera (lo sottolinea J. Luther riferendone con indicazione della fonte in AA. VV, Democrazia, diritti, costituzione a cura di G. Gozzi, Il Mulino, 1995, p. 106) ha dichiarato che la libertà di coscienza impone una neutralità dello Stato intesa non come indifferenza ma come rispetto della libertà dei cittadini in una società pluralista, e che il crocefisso all’interno dell’aula di una scuola pubblica potrebbe significare un’identificazione dello Stato con la religione della maggioranza, il che implicherebbe un giudizio di disvalore nei confronti delle altre religioni e delle convinzioni areligiose.

Richiamandosi ad analoghi principî il Bundesverfassungsgericht, con un’elaborata sentenza del 16 maggio 1995 (ivi, p. 101 ss.), ha dichiarato incostituzionale, per violazione della libertà di coscienza e di religione, l’esposizione obbligatoria di crocefissi nelle aule scolastiche delle scuole pubbliche elementari, prescritta da un regolamento del Land della Baviera. Nella sentenza si dichiara che se lo Stato non si dimostra neutrale in tema di fede, se tende a identificarsi con comunità religiose specifiche (come accade quando colloca il simbolo della fede cristiana nelle scuole statali) mette in pericolo la pace religiosa nella società, e che il conflitto tra libertà religiosa positiva e negativa non può essere risolto in base al principio di maggioranza perché il fondamentale diritto alla libertà religiosa tende essenzialmente a tutelare le minoranze.

La recentissima ordinanza del Tribunale dell’Aquila argomenta in questo ordine di idee, stando all’informazione diffusa dai giornali, che purtroppo tendono, in modo distorto, a presentare invece la questione come un conflitto fra opinioni religiose. Qui la ricorrente, che non ha opinioni religiose, ritiene di dover sottolineare che non si tratta di tutelare la libertà di coscienza di questo o di quel soggetto ma di tutelare la formazione stessa della coscienza. Non v’è dubbio che l’esposizione di un simbolo religioso nelle aule scolastiche ha lo scopo di educare la coscienza degli alunni verso determinati valori religiosi, quelli e non altri, ciò che uno Stato laico non deve fare. E se quello non ne è lo scopo ne è comunque l’effetto, che uno Stato laico non può certo perseguire.

Una persona matura è in grado di distinguere Stato e religione; ma il crocefisso nell’aula rischia di suggerire al bambino che l’insegnamento della scuola e quello della chiesa rivelino una stessa verità. Una persona matura può (dovrebbe) vedere nel crocefisso l’esaltazione dei diritti fondamentali dell’umanità: il diritto alla vita conculcato nel supplizio, la libertà di coscienza soppressa nel martire, la dignità sociale negata allo schiavo; ma il crocefisso nell’aula rischia di suggerire al bambino che le altre religioni sono errate o semplicemente da tollerare se non da combattere (non è stato cosi in passato?), che comunque quelli che le seguono sono diversi da lui, che questa differenza si sovrappone alla comune cittadinanza. La rimozione dei crocefissi può provocare disagî, come nel corso del consiglio di istituto dell’I.C. di Abano Terme ha rilevato la prof Vocetti. Ma può essere oggetto di un proficuo dialogo educativo, come ha notato la sigra Carli. Sta di fatto che la presenza del crocefisso può offendere qualcuno: chi, non essendo cristiano, rischia di non sentirsi in casa propria nella scuola di Stato, mentre la sua assenza non offende nessuno, perché il simbolo religioso è essenziale solo nei luoghi di culto e la scuola non lo è.

La ricorrente insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

Padova-Venezia 29/10/2003