L’involontario anticlericalismo della satira

di Sergio Staino

 

Perché la satira se la prende tanto con i preti? Oppure, che poi è la stessa cosa, perché i preti se la prendono tanto con la satira? I preti di qualunque religione, intendo, e non è un caso che quando il mondo islamico si scagliò contro le “vignette sataniche” che scherzavano su Maometto fino a invocare la fatwa contro i loro autori, il primo a solidarizzare con il fanatismo maomettano fu proprio Benedetto XVI. La risposta è insita nel concetto stesso di “satira”, un’operazione dello spirito che cerca di spogliare le istituzioni, le persone, gli eventi, dai loro rivestimenti più appariscenti per portare alla luce le verità nascoste. La satira quindi, quando non è propaganda di parte ma disinteressata opera di racconto politico e sociale, è una grande “seminatrice di dubbi”. Con la sua lente di ingrandimento analizza e distorce, esagera ed enfatizza, allude in forma irrispettosa, ma, almeno si spera, senza alcun pregiudizio. Quel che ne esce fuori è spesso un qualcosa di apparentemente surreale e ridicolo e, forse proprio per questo, più descrittivo della realtà di altre rappresentazioni ufficiali.

Operazione assai simile a quella raccontata dalla favola dei vestiti nuovi dell’imperatore: mettere a nudo il re e trasformare la sua fatua vanità in oggetto della risata dei suoi sudditi. Ma il bambino della favola, così come l’autore satirico, non ha agito pregiudizialmente contro il sovrano, non è che ce l’avesse con lui, che avesse programmato di andare al corteo per deriderlo, niente di tutto ciò, si è solo limitato a dire la semplice verità. È proprio questa voglia di dire quelle verità che il potere, qualunque esso sia, cerca di tenere nascoste che rende la satira pericolosa per lo stesso potere. E più questi rivestimenti a cui ricorre il potere sono ampollosi, retorici, fondamentalisti, più la satira si diverte a distruggerli o a renderli trasparenti. Non importa quindi che l’autore satirico sia coscientemente oppositore del potere di turno, è la sua capacità di generare la risata liberatoria che è vista come un pericolo mortale da costui.

Ciò detto si capisce perfettamente come l’attività satirica sia una delle più belle espressioni di un animo laico e sufficientemente anarchico. E si capisce chiaramente come ogni potere che per essere tale ha bisogno di seminare dogmi e fondamentalismi, vede nella satira uno dei suoi principali nemici. Dai regimi totalitari fascisti o comunisti, ai regimi di natura religiosa, alle istituzioni più centralizzate e antidemocratiche. E si capisce anche che l’attività satirica, proprio per questo, avrà vita difficile ma molto duratura. Per morire bisognerebbe che un giorno, mettiamo per esempio uno di questi giorni, l’Osservatore Romano se ne uscisse con una bella vignetta in prima pagina con un Boffo che fa il gesto dell’ombrello ad un Gotti Tedeschi che viene cacciato a pedate dallo IOR. Per ora noi satirici dormiamo sonni tranquilli.

 

 

Sergio Staino è nato a Piancastagnaio (Siena) nel 1940. Si laurea in Architettura e insegna materie tecniche nelle scuole medie fiorentine, ma presto capisce che la sua vera vocazione è il fumetto. Crea il suo personaggio più famoso, Bobo, nel 1979 sulle pagine di Linus, e collabora con Il Messaggero, il Venerdì di Repubblica, Il Corriere della Sera, L’Espresso, Panorama, l’Unità, ecc. Fonda e dirige il settimanale satirico Tango(1986). Sceneggiatore e regista di due film: Cavalli si nasce(1988) e Non chiamarmi Omar(1992). Vive e lavora sulle colline di Scandicci (Firenze). È Presidente Onorario dell’UAAR dal 2004.