Il nostro Darwin

di Maria Turchetto

In dodici anni di vita L’Ateo ha pubblicato una considerevole quantità di articoli su Darwin e sulla teoria dell’evoluzione: e non solo da quando in tutta Italia i Circoli UAAR organizzano il Darwin Day, iniziativa che cerchiamo di preparare adeguatamente offrendo materiali di lettura sulla nostra rivista.

Il primo contributo su Darwin pubblicato dall’Ateo risale a dieci anni fa: nel n. 3/1999, riprendendo una discussione portata avanti nella rubrica Lettere e Polemiche, Domenico Sgobba argomentava contro l’opinione secondo cui tra scienza e religione non vi sarebbe alcun conflitto, data la diversità degli scopi, rintracciando nell’Autobiografia di Darwin un percorso che a partire dalla conoscenza scientifica conduce all’ateismo [Domenico Sgobba, A proposito di religione e scienza, 3/1999 (11), p. 17]. Darwin impiegava com’è noto il più cauto termine “agnosticismo”, suggerito dal suo amico Huxley, il quale ne aveva dato tuttavia una definizione tutt’altro che reticente: «agnosticismo significa semplicemente che un uomo non dice di sapere o credere in ciò in cui non ha ragioni per credere». Darwin, appunto, non ha ragioni per credere: «quanto più conosciamo le leggi della natura, tanto più è difficile credere ai miracoli»; «per tutte queste riflessioni […] persi gradualmente la fede nella religione cristiana in quanto verità rivelata»; «dopo la scoperta della selezione naturale, cade il vecchio argomento di un disegno della natura». E ancora: «Quale potrebbe essere il vantaggio di far soffrire milioni di animali inferiori per un tempo praticamente illimitato […] Questo antichissimo argomento che si vale del dolore per negare l’esistenza di una causa prima dotata d’intelletto mi sembra molto valido». Sgobba illustra molto bene come in Darwin il razionalismo – l’approccio scientifico alla conoscenza – conduca all’agnosticismo, cioè all’ateismo. È un percorso che ci appartiene, per questo sentiamo profondamente che Darwin – con buona pace di chi non vorrebbe, si scandalizza, ancora finge di non capire – ci appartiene.

A partire dal primo Darwin Day, celebrato a Roma nel febbraio 2003 in occasione della Settimana Anticoncordataria [si vedano Sergio D’Afflitto, «La terza Settimana Anticoncordataria (9-18 febbraio 2003) nel segno di Charles Darwin», 1/2003 (25), pp. 10-12 e Maria Turchetto, «Darwin Day», 2/2003 (26), pp. 18-20] i contributi su Darwin e sulla teoria dell’evoluzione si sono fatti sempre più frequenti e sistematici, e hanno approfondito diversi aspetti.

In difesa di Darwin

Molti articoli si sono fatti carico della difesa della teoria dell’evoluzione darwiniana contro gli attacchi dei creazionismi e degli antievoluzionismi di ritorno. I “venti dell’antidarwinismo” spirano da molto tempo, ci ricorda Francesco D’Alpa [Francesco D’Alpa, «Da un anniversario all’altro: i venti dell’antidarwinismo», 2/2006 (43), pp. 6-7], ma da una decina d’anni, soprattutto negli USA, sembrano rinforzare. Un quadro molto completo, in questo senso, è contenuto in un contributo di Guido Barbujani, che riassume le fasi di questo nuovo attacco, dapprima ingenuo (la cosiddetta “teoria del mondo giovane”, mera riproposizione del testo biblico), poi più aggressivo ma palesemente difensivo, nel senso che da una proposta alternativa difficilmente sostenibile si è passati a sottolineare le inevitabili debolezze delle ricostruzioni evoluzionistiche, accontentandosi di evocare in loro vece un generico “disegno intelligente”. Barbujani smonta accuratamente le speciose argomentazioni degli antievoluzionisti, mostrando come al fondo esse non comprendano l’effettivo procedere della ricerca scientifica [Guido Barbujani, Darwin e gli antievoluzionisti, 2/2005 (37), pp. 16-18]. Nello stesso senso il contributo di Roberto Anzellotti: «gli antievoluzionisti, e in special modo i creazionisti ‘scientifici’, continuano, oggi con rinnovato vigore, a contestare l’evoluzione, cosa di per sé più che legittima, commettendo, però, un grave errore: non essere in grado di presentare una teoria alternativa, coerente con i risultati sperimentali e che si accordi alle testimonianze fossili in nostro possesso». Per contro, «sono ormai duecento anni che a favore dell’evoluzione si vanno accumulando prove paleontologiche, anatomiche, genetiche e geologiche» [Roberto Anzellotti, «Evoluzione», 5/2005 (40), pp. 24-26]. Nella stessa direzione si muove il contributo di Paolo Turco, che chiarisce cosa debba intendersi per ipotesi e teoria scientifica, contro l’argomento che si avvale della natura ipotetica della teoria dell’evoluzione per rivendicare pari opportunità (di fatto, l’inclusione nell’insegnamento e nei testi scolastici) al mito della Bibbia [Paolo Turco, «I nemici del darwinismo e le ipotesi scientifiche», 1/2006 (42), pp. 7-8].

Turco ricostruisce soprattutto le vicende statunitensi dell’attacco a Darwin – che per altro ha prodotto non pochi danni, cfr. Flavio Pietrobelli, «Solo un terzo degli americani pensa che la teoria di Darwin sia supportata da prove scientifiche», 1/2005 (36), pp. 11-12 – ma sappiamo bene che anche in Italia ci hanno provato, eccome: con DL 19 febbraio 2004 n. 59 l’allora ministro dell’istruzione Letizia Moratti tolse la teoria dell’evoluzione dai programmi scolastici del primo ciclo. Di fronte alla levata di scudi dell’intero mondo scientifico, fece marcia indietro: non solo promise di reintegrare nei programmi le teorie darwiniane, ma istituì una commissione, presieduta da Rita Levi Montalcini, con il compito di indicare i modi e i criteri migliori per l’insegnamento delle materie scientifiche in generale e dell’evoluzione in particolare. Ma il rapporto della commissione sparì, per ricomparire gravemente censurato oltre un anno dopo… La vicenda – vero «giallo darwiniano al ministero», come fu definita da Telmo Pievani su MicroMega – viene ricostruita in Maria Turchetto, «Darwin censurato. MicroMega e i misteri dei ministeri», 1/2006 (42), pp. 8-10. Com’è andata a finire? Ce lo ha raccontato Alessandra Magistrelli, in un articolo dedicato all’insegnamento delle scienze naturali [Alessandra Magistrelli, «Insegnare scienze naturali nella scuola superiore italiana», 1/2007 (49), pp. 5-6]: «il nostro eroe (Darwin) è tornato» nei programmi scolastici, quasi nascosto – infilato in un decreto legge che riguarda tutt’altro argomento – e messo lì un po’ a vanvera perché proprio non si poteva farne a meno e speriamo nessuno se ne accorga … «chiuso tra due punti, senza né ah né bah, sembra invitato a togliersi al più presto dai piedi».

E la Chiesa? La Chiesa anglicana, recentemente, si è scusata per bocca del reverendo Malcolm Brown: «Charles Darwin, a duecento anni dalla tua nascita la Chiesa d’Inghilterra si scusa con te per non averti capito, reagendo inizialmente in modo sbagliato, e incoraggiando altri a non capirti» (ce ne parla, in questo numero della rivista, Francesco D’Alpa). Quella cattolica si barcamena, parla con lingua biforcuta, si arrampica sugli specchi, si contraddice: teme di perdere credibilità sposando le tesi creazioniste più ingenue e oltranziste, finge di non doversi scusare di nulla. Secondo il cardinale Ravasi, «non c’è incompatibilità a priori fra le teorie dell’evoluzionismo e il messaggio della Bibbia e della teologia» e la Chiesa cattolica non avrebbe mai condannato l’evoluzionismo. In realtà gli anatemi non sono mancati e resta il fatto che l’evoluzionismo risulta inconciliabile con la teologia consolidata. Le posizioni della Chiesa cattolica sono puntualmente ricostruite e documentate da Francesco D’Alpa, «La Chiesa contro Darwin. Parola di papa», 2/2007 (50), pp. 10-13. La vera resistenza opposta a Darwin dalle religioni risiede in ultima analisi, secondo Federica Turriziani Colonna, nella vanità: nella nostra presunta superiorità sugli altri viventi, nell’idea che la natura sia stata creata per noi, nella sciocca pretesa di avere un’ascendenza divina: per questo «la religione, in cui sono riposti e mascherati tutti i limiti umani, insieme con le paure» è la più grande nemica di Darwin [Federica Turriziani Colonna, «Vanità: la più pericolosa nemica di Darwin», 2/2008 (56), pp. 13-14].

Approfondimenti della teoria

Oltre a difendere Darwin, gli articoli pubblicati sull’Ateo hanno fatto il possibile per spiegarlo, dandone una lettura non semplicistica e approfondendo alcuni aspetti importanti del suo pensiero. Un chiarimento preliminare molto significativo è offerto da Lucio Russo che distingue, evitando semplificazioni correnti, tra l’idea generica di evoluzione, il “darwinismo” propriamente detto, che considera la selezione naturale motore essenziale dell’evoluzione, e il darwinismo di Darwin, o “darwinismo classico” come l’autore lo definisce, mostrando di quest’ultimo gli aspetti ancora attuali e quelli oggi superati [Lucio Russo. «Alcune osservazioni sul passato e il presente dell’evoluzionismo», 1/2006 (42), pp. 4-6].

Giulio Barsanti illustra in modo molto chiaro il pluralismo di Darwin, cioè l’impiego di diverse strategie esplicative nella formulazione della teoria, unito all’esercizio sistematico del dubbio e alla piena consapevolezza del carattere limitato e provvisorio delle conoscenze umane: una teoria, dunque, potrà sempre essere corretta e anche radicalmente modificata, è consegnata al lavoro collettivo di una comunità scientifica che la sottopone a una critica ben più puntuale e severa di quella ideologica dei pregiudiziali nemici e dei detrattori. Del resto, proprio questa impostazione aperta e problematica ha fatto sì che «il darwinismo detenga, nella storia delle teorie evoluzionistiche, il record della longevità – grazie al suo agnosticismo, che gli consente ampi margini di integrazione, e al suo pluralismo che gli permette ampi margini di manovra» [Giulio Barsanti, «Il pluralismo di Darwin», 2/2006 (43), pp. 4-5]. Vitalissima teoria anche secondo Giorgio Celli, che chiude una straordinaria ricostruzione della psicologia di Darwin – questo «distruttore di paradisi» – con queste parole: «L’evoluzione, parafrasando Popper, è un programma di ricerca nell’ambito di una metafisica materialista. La sua straordinaria vitalità è dovuta alla capacità di ricondurre una sterminata congerie di fatti a un’ipotesi centrale […]. Paradossalmente non sono i fatti a ‘spiegare’ l’evoluzione, ma è l’evoluzione che ‘spiega’ i fatti. È vera perché produce, e continua a produrre, un aumento di razionalità. Charles Darwin ha reso il mondo più comprensibile» [Giorgio Celli, Darwin è morto, viva Darwin!, 1/2005 (36), pp. 8-9].

Un problema particolarmente approfondito è quello del rifiuto del finalismo che la formulazione darwiniana della teoria dell’evoluzione comporta: giustamente, dal momento che si tratta di un nodo tanto importante e decisivo (secondo Jaques Monod la scientificità si conquista proprio rigettando le spiegazioni in termini di “progetto”) quanto anti-intuitivo. Al problema è dedicato un lungo intervento, suddiviso in due parti, di Marco Marconi [Marco Marconi, «Il problema del finalismo nella teoria dell’evoluzione biologica (prima parte). Il caso dell’interpretazione teleologica della teoria di Darwin», 1/2005 (36), pp. 12-15 e Marco Marconi, «Il problema del finalismo nella teoria dell’evoluzione biologica (seconda e ultima parte). L’azione divina sul mondo: alcuni modelli», 2/2005 (37), pp. 7-11] e un chiarissimo contributo di Telmo Pievani, «Chi ha bisogno delle cause finali?», 2/2007 (50), pp. 4-5.

Su questi e altri aspetti della teoria di Darwin preziosissima la bibliografia di Paolo Coccia [Paolo Coccia, «Darwin e l’evoluzionismo moderno», 1/2005 (43), pp. 9-11], aggiornata a un anno di distanza [Paolo Coccia, «Darwin e l’evoluzionismo nel 2005 (bibliografia)», 2/2006 (43), pp. 12-14].

Darwin e la biologia contemporanea

Particolarmente interessante risulta tutta una serie di contributi dedicati agli sviluppi contemporanei della teoria dell’evoluzione. Marcello Buiatti mostra come i più recenti sviluppi della genetica abbiano condotto a riprendere un Darwin trascurato dalla “sintesi moderna” dei neodarwinisti: un Darwin attento a multiversità, storicità e plasticità della natura, contro un’immagine troppo determinista della sua teoria che ancora viene proposta nelle scuole (e anche nelle università). La biologia contemporanea ha scoperto l’ambiguità dei geni, la loro plasticità in risposta a situazioni e ambienti diversi, permettendoci di “cambiare per restare uguali” costruendo istante per istante, contesto per contesto il nostro percorso di vita che, quindi, non è predeterminato [Marcello Buiatti, «L’irriducibile ricchezza della vita», 2/2005 (37), pp. 11-13]. Analogamente, Carlo Alberto Redi spiega la ripresa di Darwin nell’ambito del nuovo campo di ricerca aperto dalla genomica che è la biologia evolutiva dello sviluppo o EVO-DEVO [Carlo Alberto Redi, «Darwin oggi: biologia evolutiva dello sviluppo (EVO-DEVO) e genoma», 2/2008 (56), pp. 5-8]. Andrea Cavazzini illustra la rilettura di Darwin proposta nell’ultima grande opera di Steven Jay Gould [Andrea Cavazzini, «Gould rilegge Darwin. Note su La Struttura della Teoria dell’Evoluzione», 2/2006 (43), pp. 7-9] e spiega molto chiaramente quale sia l’effettivo oggetto del contendere nella nota polemica che oppose Gould e Dawkins nell’interpretazione dei meccanismi evolutivi [Andrea Cavazzini, «Darwinismi: la disputa tra Darwin e Gould sui meccanismi dell’evoluzione», 1/2006 (42), 10-12]. Sulle (proficue) dispute interpretative, che mostrano la ricchezza e l’attualità di Darwin, interviene anche Emanuele Coco, affrontando la dibattuta questione egoismo/altruismo – che rimanda al dilemma selezione di gruppo/selezione di individuo – nelle opere di William Donald Hamilton e Vero C. Wynne-Edwards [Emanuele Coco, «Istruzioni per una corretta sopravvivenza: William Donald Hamilton e l’horribly cruel work of nature di Darwin», 2/2005 (37), pp. 13-16]. Ancora Andrea Cavazzini, infine, evoca una «nuova sintesi» prossima ventura nell’ambito delle scienze della vita ricostruendo una sorta di “evoluzione della teoria dell’evoluzione” dall’epoca di Darwin, in cui «le scienze della vita non erano affatto unificate sotto il cappello dell’evoluzione: il campo biologico del XIX secolo era diviso tra teorie dell’evoluzione (darwiniane e non), la tradizione psicologica […] e il pasteurismo»; alla Sintesi Moderna che, a partire dagli anni ‘30 del XX secolo unificò evoluzione darwiniana e genetica mendeliana; fino ai nostri giorni in cui una rilettura di Darwin e un nuovo concetto di evoluzione, frutto delle critiche ai limiti della Sintesi Moderna, sembrano offrire il quadro teorico di una nuova convergenza disciplinare tra la genetica contemporanea, gli studi EVO-DEVO, le nuove conoscenze offerte dalle neuroscienze sul cervello umano. Il risultato è un nuovo approccio allo studio dell’uomo. «L’antropologia che oggi viene fondata sulle nuove sintesi biologiche concepisce l’esistenza umana come libera rispetto al determinismo biologico» [Andrea Cavazzini, «Dall’evoluzione all’antropologia. La “nuova sintesi” nelle scienze della vita», 2/2008 (56), pp. 8-12].

Il posto dell’uomo nella natura

Alla questione dell’uomo, alla sua difficile collocazione tra natura e cultura, alle conseguenze che dalla teoria di Darwin si possono trarre in termini di antropologia L’Ateo ha dedicato moltissimo spazio. Luciano Terrenato fa il punto sulla storia evolutiva della nostra specie, esponendo i risultati che derivano dallo studio della ricchissima collezione di fossili che ci riguardano da vicino insieme ai più recenti risultati dell’antropologia molecolare, e proponendo una visione completa ed equilibrata dello stato attuale delle nostre conoscenze sulle origini dell’uomo [Luciano Terrenato, «I principi di Darwin», 4/2006 (45), pp. 18-19].

Ma al di là dell’antropologia biologica resta il problema dell’antropologia culturale, ancora presentata e studiata – appunto – come un mondo al di là in cui la biologia non ha più nulla da dire: resta, insomma, il problema dei rapporti tra questi ambiti del sapere. Un esame critico dei tentativi compiuti in ambito filosofico e scientifico per gettare un ponte tra natura e cultura è stato condotto da Luigi Cavallaro [Luigi Cavallaro, «Natura e cultura: prove (malriuscite) di sintesi», 1/2007 (49), pp. 17-19] e, su un vastissimo spettro di posizioni, da Carlo Talenti [Carlo Talenti, «Il posto dell’uomo nella natura», 6/2006 (47), pp. 23-26; Carlo Talenti, «Antropologia culturale e antropologia biologica: pro e contro Darwin», 1/2007 (49), pp. 14-16; Carlo Talenti, «Antropologia culturale e antropologia biologica: una storia di destini incrociati», 2/2007 (50), pp. 8-10 e Carlo Talenti, «Antropologia culturale e antropologia biologica: il mito della natura umana incompiuta», 1/2008 (55), pp. 23-25], che ha anche fornito una preziosa bibliografia ragionata sull’argomento Carlo Talenti, «Evoluzione e antropologia: una bibliografia ragionata», 1/2008 (55), pp. 23-25]. Un’altra ricca bibliografia ragionata è proposta da Ferdinando Vidoni, «L’animale uomo tra natura e cultura. Una bibliografia ragionata», 1/2007 (49), pp. 19-21. I difficili rapporti tra darwinismo e scienze sociali – che scontano la malaugurata avventura del cosiddetto “socialdarwinismo”, che in realtà con Darwin ha assai poco a che fare – sono affrontati in Maria Turchetto, «Salti ontologici. Darwinismo, evoluzionismo e scienze sociali», 1/2008 (55), pp. 20-22, mentre Carmelo Viola ammonisce contro l’uso grottesco dell’evoluzionismo per legittimare il capitalismo [Carmelo R. Viola, «Libertà laica e scienza sociale», 2/2007 (50), pp.13-15].

… e altro ancora

La ricchezza di stimoli che l’opera di Darwin ha fornito in tutti gli ambiti della cultura è tale che molti altri contributi pubblicati su L’Ateo sfuggono a questo tentativo di catalogazione. Così ricordiamo due interventi sull’influenza che la teoria ha avuto in ambito letterario, nell’opera di Thomas Hardy che esplicitamente vi si richiama [Ilaria Mallozzi, «Darwin e la letteratura, la scienza e la coscienza nell’opera di Thomas Hardy», 4/2008 (58), pp. 9-12] come, più in generale, nel genere dell’avventura [Alberto Carli e Margherita Turchetto, «Tarzan of the apes: tra suggestione archetipica e riflesso scientifico», 4/2008 (58), pp. 13-14]. Ancora, gli sviluppi del paradigma evoluzionistico nell’ambito della medicina darwiniana [Sergio Ghione, «Riflessioni in tema di medicina darwiniana», 2/2006 (43), pp. 10-12]. Un tema particolarissimo: dopo Darwin, dopo che il discorso sulla specie umana è stato sottratto alla religione e alla metafisica, ora che non siamo più legittimati a pensare che la specie umana “vale di più”, come cambiano i nostri rapporti etici e giuridici con le altre specie viventi? [Valerio Pocar, «Dopo Darwin. Le ragioni dell’antispecismo», 3/2006 (44), pp. 16-19]. Infine, una (fondata) provocazione: L’Evoluzione è Maschio o Femmina? Felicita Scapini si riferisce agli studiosi, ai ricercatori e al loro atteggiamento mentale, spesso condizionato da pregiudizi e mai al riparo dalle ideologie, inevitabilmente influenzato dai condizionamenti sociali e dallo “spirito del tempo”: e se non c’è riparo, l’unica soluzione è averne coscienza. L’autrice propone un parallelo tra l’atteggiamento maschile e l’atteggiamento femminile nell’approccio alla ricerca, da un lato, e, dall’altro, le impostazioni “olistiche” e “riduzionistiche” tra cui la biologia sembra costantemente oscillare nel corso della sua storia [Felicita Scapini, «L’Evoluzione è Maschio o Femmina?», 2/2007 (50), pp. 6-8].

Questa ricostruzione “ragionata” dei contributi che L’Ateo ha proposto nell’arco di dieci anni sul tema dell’evoluzione è disponibile sul sito www.uaar.it, corredata dei vantaggi che il potente linguaggio “ipertestuale” di Internet offre rispetto alle nostre semplici paginette di carta: i titoli citati sono collegati al testo completo dell’articolo, che dunque è possibile ottenere con un semplice “clic”. Buona navigazione ai navigatori della grande rete. I comuni lettori saranno comunque agevolati da questo scritto e dall’elenco che segue nello scartabellare tra i vecchi numeri dell’Ateo che – non ne dubito – conservano… irreligiosamente nei tradizionali scaffali. A tutti, buona lettura e rilettura.