Lo sbattezzo, diavoleria che infastidisce il curato di campagna

Un parroco della provincia di Ravenna riceve una richiesta di sbattezzo, senza documento d’identità e indirizzo per la risposta. Ne approfitta per esporre al pubblico ludibrio la richiedente pubblicando la lettera sul giornalino parrocchiale e commentandola in maniera sarcastica. Formalmente il parroco rispetta la legge sulla privacy, oscurando i riferimenti personali e riferendosi all’interessata chiamandola con uno pseudonimo (“Giusy”), ma lo scritto è espressione tipica dell’atteggiamento di supponenza e fastidio manifestato da molti sacerdoti di fronte a un fenomeno sempre più diffuso come quello dell’apostasia.

Il prete parla di “nuova diavoleria che il gruppo di atei propone ai giovani come te” riferendosi alla pratica dello sbattezzo (in realtà formalizzata dal Garante per la privacy dal 1999) e tratta Giusy con tono di sufficienza, considerandola tra coloro che “nonostante la maggiore età non hanno capito bene il dono ricevuto”. Prospetta che tra qualche anno magari incontrerà un “ragazzo religioso” che vuole sposarsi in chiesa, cosa che la costringerebbe a “un bel viaggio a Ravenna dal tuo Vescovo per un giuramento che annulli le tue scelte”.

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Con la scusa della mancanza di documento e indirizzo, il sacerdote con fare mellifluo spiega che ha deciso di scrivere pubblicamente “sperando che qualcuno ti rintracci”. Dice inoltre di aver “scandalizzato” un “fervente Musulmano” facendogli leggere la lettera, con il quale si sono fatti “due risate”. Fiero del cameratismo tra integralisti, scivola nella battuta a sfondo sessuale: scrive anche di aver detto al musulmano di essere “fortunato a non essere il suo Imam”, poiché in quanto prete cattolico gli basta fare l’annotazione sul registro battesimale, chiedendosi se per la circoncisione cui sono obbligati i maschi islamici non sia necessario “ricostruire le parti intime con una plastica”.

Ma il prete è magnanimo: riserva una messa per la “guarigione spirituale” e un rosario per la ragazza, la quale è ai suoi occhi una sprovveduta, ed è disponibile a metterla in contatto con un altro sacerdote “specializzato in benedizioni ed esorcismi”. Perché oltre che sprovveduta, per la dottrina cattolica costei è anche malata o indemoniata. Nel post scriptum, il parroco la invita a rivolgersi alla Caritas se ha “tempo da perdere”, per “aiutare qualche bisognoso” senza “spendere soldi in inutili raccomandate”. Non è raro purtroppo che i preti diano risposte di basso livello agli sbattezzandi, creino lungaggini non necessarie o usino l’autorità e le conoscenze che hanno per intimidire le persone che fanno apostasia, anche segnalando alle famiglie. Come avvenuto ad esempio l’anno scorso nella zona di Pistoia.

Ricordiamo che per ottenere l’annotazione sul registro battesimale della propria volontà di non far parte della Chiesa cattolica (il cosiddetto “sbattezzo”), occorre inviare il modulo scaricabile dal sito Uaar, compilato e firmato, alla parrocchia dove è avvenuto il rito, allegando copia di un documento d’identità e inviando il tutto tramite raccomandata a/r, avendo cura di indicare un indirizzo presso cui ricevere la risposta (meglio se è presente una persona, alcune parrocchie rispondono per raccomandata). In questo modo il parroco è tenuto a inviare risposta scritta. Se ci sono problemi, consigliamo di rivolgersi al nostro sportello sbattezzo (gratuito) all’indirizzo soslaicita@uaar.it.

Grazie alla segnalazione sul gruppo Facebook Uaar.

Valentino Salvatore

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